Abolitio criminis e abrogatio sine abolitione; i profili successori del reato di induzione indebita ex art. 319 quater c.p.

Al fine di analizzare i criteri di distinzione tra abolitio criminis e abrogatio sine abolizione, vanno premessi brevi cenni all’impianto codicistico relativo all’efficacia nel tempo della legge penale.

L’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, statuendo che «La legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo», scolpisce la regola universale dell’irretroattività della legge, valida per tutti i settori dell’ordinamento.

Del fenomeno della successione di leggi penali si occupa anche la Costituzione,che all’art. 25, comma 2, coniugando in un’unica norma il principio della riserva di legge e quello di irretroattività, afferma: «Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso».

Dal punto di vista delle fonti sovranazionali, l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – nel sancire il canone nullum crimen, nulla poena sine lege, con una previsione più articolata rispetto all’art. 25, comma 2 Cost. – statuisce che: «Nessuno può essere condannato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui fu commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o secondo il diritto internazionale. Non può del pari essere inflitta una pena maggiore di quella che sarebbe stata applicata al momento in cui il reato è stato commesso», così espressamente prevedendo anche l’irretroattività della legge penale sfavorevole sopravvenuta.

Il fenomeno successorio in materia penale riceve tuttavia una più compiuta definizione nell’art. 2 c.p.

Mentre il comma 1 ribadisce, per la legge penale, la regola generale appena enunciata, il comma 2 prende in considerazione il fenomeno dell’abolitio criminis, derogando al principio generale dell’intangibilità del giudicato che potrà ben essere travolto dall’entrata in vigore di una lex mitior. Ancora, il comma 4 disciplina l’ipotesi della successione delle leggi modificative, imponendo, anche in questo caso, l’applicazione della legge più favorevole al reo tra le due che si avvicendano nel tempo.

Uno degli aspetti più discussi relativi al fenomeno dell’abolitio criminis riguarda la sua linea di confine con il diverso fenomeno dell’abrogatio sine abolitione. Secondo nota distinzione, l’abolitio ricorrerebbe tutte le volte in cui si verifichi l’abrogazione di una determinata norma incriminatrice, sì che una condotta prima punibile per effetto della norma abrogata diviene penalmente irrilevante.

L’abrogatio sine abolitione invece, ricorrerebbe nel caso in cui , seppure avvenga l’abrogazione di una norma incriminatrice, la condotta in essa punita non “scompare” dall’ordinamento, ma finisce per essere inglobata in una nuova norma incriminatrice introdotta in via sostitutiva o per essere ricompresa in una norma che già preesisteva.

Di tutta evidenza è che tale distinzione finisca per sortire effetti importanti e diversi dal punto di vista pratico. Qualora ci trovassimo innanzi ad un’abolitio criminis troverà, infatti, applicazione l’art. 2 co. 2 c.p.; qualora invece si realizzasse un’abrogatio sine abolizione troverebbe applicazione il co. 4. e conseguentemente ben potrà essere applicazione – nei giudizi in corso – la legge cui le disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che si stata già pronunciata sentenza irrevocabile (principio dell’intangibilità del giudicato).

I criteri distintivi generalmente utilizzati per distinguere i due distinti fenomeni sono quelli del c.d. fatto concreto (per cui occorre guardare al fatto concreto, che se risulta doppiamente punibile in virtù delle due norme succedutesi nel tempo realizzerà l’ipotesi di abrogatio sine abolitio), della continuità del tipo di illecito (per cui occorre verificare se le due norme abbiano di mira la tutela del medesimo bene giuridico e prevedano entrambe una condotta similare), nonché quello di rapporti strutturali tra norme (rapporto di specialità).

In relazione a tale ultimo criterio, le norme devono porsi a confronto al fine di stabilire se tra di esse sussista una relazione di genere a specie. In tali ipotesi, occorrerà altresì stabilire se la norma successivamente emanata sia generale e si sostituisca a quella precedente di tipo speciale; solo in tal caso si assisterà a un fenomeno di modificazione delle leggi penali in senso stresso. Al contrario, se la norma che sostituisce quella precedente, generale, è di tipo speciale, si avrà sempre una modifica per le ipotesi in comune, ovvero che ricadano comunque sotto la punibilità della nuova norma, mentre si avrà abrogazione per quelle non più contenute nella norma speciale.

Con legge 6 novembre 2012, n. 190 (nota come legge anticorruzione), il Legislatore, come è noto,  nel novellare la disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l’art. 317 cod. pen., con l’introduzione di una “diversa” fattispecie di concussione e ha forgiato, all’interno dell’art. 319-quater cod. pen.,  l’inedita fattispecie della “induzione indebita a dare o promettere utilità”, figura sostanzialmente intermedia tra quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e l’accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall’art. 318 o dall’art. 319 cod. pen., anch’essi oggetto di modifica da parte della medesima legge.

Il legislatore ha, per vero, scisso l’originaria ipotesi delittuosa della concussione, che involgeva le due condotte della costrizione e induzione, creando due fattispecie di reato. La prima, che resta disciplinata dall’art. 317 c.p., prevede la punizione del “pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità“: conserva, dunque, i precedenti caratteri ed elementi costitutivi della fattispecie della concussione per costrizione, limitandosi ad incrementare il limite edittale minimo della pena detentiva (da quattro a sei anni di reclusione) e lasciando come soggetto attivo il solo pubblico ufficiale, con esclusione, dunque, della figura di incaricato di pubblico servizio. Scelta, quest’ultima, foriera di probabili incertezze applicative, il cui effetto è ragionevole immaginare sarà quello di far rientrare, in presenza di tutti i presupposti di legge, le condotte costrittive ascrivibili all’incaricato di pubblico servizio nell’alveo operativo del reato di estorsione (eventualmente aggravato dall’aver commesso il fatto con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad un pubblico servizio, ai sensi dell’art. 61 comma 1 n. 9 cod. pen.).

La seconda fattispecie di reato, “scorporata” dal previgente art. 317 cod. pen. ed ora regolata dall’art. 319-quater cod. pen., recante in rubrica la nuova denominazione di induzione indebita a dare o promettere utilità, sussiste, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato“, laddove “il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità“: delitto, dunque, configurabile anche a carico dell’incaricato di pubblico servizio oltre che del pubblico ufficiale, sanzionato con la più mite pena della reclusione da tre ad otto anni, la cui struttura descrittiva, con riferimento alla condotta del pubblico agente (comma 1), mutua significativamente gli elementi qualificanti la “vecchia” figura della concussione per induzione.

Rappresenta, invece, dato di assoluta novità la previsione, nel comma 2 dello stesso art. 319-quater, della punizione anche del soggetto che dà o promette denaro o altra utilità“, il quale, da persona offesa nell’originaria ipotesi di concussione per induzione di cui al previgente art. 317 cod. pen., diventa coautore nella nuova figura dell’induzione indebita.

A nostro giudizio, il profilo più delicato, anche per i molteplici risvolti cui dà luogo, è quello relativo al problema del se la nuova fattispecie di « induzione indebita a dare o promettere denaro o altra utilità », dia luogo ad un fenomeno puramente successorio o, addirittura, ad un’abolitio criminis.

Attraverso l’applicazione di tutti e tre i criteri ermeneutici elaborati per distinguere un fenomeno successorio da uno abolitivo, dobbiamo, almeno a nostro avviso, ritenere che non vi sia continuità del tipo di illecito, bensì abolitio criminis totale, tra l’originaria fattispecie di concussione mediante induzione e la nuova ipotesi criminosa di cui all’art.319–quater c.p.

Perfettamente consapevole che una tesi del genere potrebbe produrre effetti dirompenti nell’ambito dei processi in corso, sino a poter paventare una sorta di “amnistia mascherata”, l’atteggiamento della maggior parte della dottrina e della giurisprudenza nelle prime pronunce sul punto, è stato volto a sostenere, al contrario, un più “rassicurante” fenomeno successorio prediligendo i profili di politica giudiziaria e di difesa sociale, rispetto alla razionalità sistematica della disciplina del diritto intertemporale.

La tesi — nella prospettiva di sostenere la sussistenza di un fenomeno successorio tra l’originaria concussione per induzione e la nuova ipotesi criminosa di induzione indebita — si basa sulla necessaria scissione tra la fattispecie induttiva commessa dal pubblico agente, proprio per ricavarne l’evidente analogia e, dunque, la dimostrazione del fenomeno successorio, dall’ipotesi criminosa relativa al privato, che, secondo l’opinione qui analizzata, costituirebbe una nuova e distinta ipotesi criminosa, come tale, ovviamente irretroattiva.

Sul punto la Cassazione a S.U. (Cass. pen., S.U., 24.10.2013, dep. 14.3.2014, n. 12228), di recente intervenuta, ha affermato che “vè continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, tra la previgente concussione per costrizione e il novellato articolo 317 c.p., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l’effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia norma. Quanto all’abuso costrittivo dell’incaricato di pubblico servizio, illecito attualmente estraneo allo statuto dei reati contro pubblica amministrazione, è in continuità normativa, sotto il profilo strutturale, con altre fattispecie incriminatrici di diritto comune, quali, a seconda dei casi concreti, l’estorsione, la violenza privata, la violenza sessuale (articoli 629, 610 e 609 bis, con l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., comma 1, n. 9). Sussiste poi continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico agente, tra la concussione per induzione di cui al previgente articolo 317 c.p., e il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’articolo 319 quater c.p., considerato che la pur prevista punibilità, in quest’ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell’abuso induttivo, ferma restando, per i fatti pregressi, l’applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma”.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.