Abuso d’ufficio, art. 323 c.p.

Il delitto di abuso d’ufficio è punito dall’art. 323 c.p., il quale recita:

“Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato” (clausola di sussidiarietà) , “il pubblico ufficiale, o l’incaricato di pubblico servizio, che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero reca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi un cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità”.

La norma è diretta a tutelare il buon andamento della P.A., cui si accompagna l’esigenza di tutelare il privato dalle prevaricazioni dell’autorità.

Il soggetto qualificato per realizzare un abuso d’ufficio  deve commettere una violazione di legge o di regolamento oppure una violazione del dovere di astensione su di lui incombente, in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, o di eventuali altri casi in cui l’astensione sia imposta dalla legge.

La condotta deve, inoltre, essere compiuta nello svolgimento delle funzioni o del servizio, non rilevando il compimento di atti in occasione dell’ufficio e il mero abuso di qualità, cioè l’agire al di fuori dell’esercizio della funzione o del servizio.

Quanto alla violazione del dovere di astensione, ai fini della configurabilità del reato di abuso d’ufficio, è necessario che tale violazione sia strumentale al perseguimento intenzionale di un vantaggio patrimoniale ingiusto, elemento che fa parte della struttura oggettiva della fattispecie. Si pensi al medico in servizio presso una ASL , che dopo aver visitato un paziente lo indirizzi verso un laboratorio medico non convenzionato di cui è socio, non avvertendo il paziente della possibilità di eseguire l’esame anche presso una struttura convenzionata e violando di conseguenza il dovere di astensione cui era tenuto al fine di conseguire un vantaggio economico ingiusto.

Con riferimento alla violazione di legge, è stato invece posto il problema se si intendesse negare rilevanza ad un comportamento non in contraddizione con una specifica disposizione, ma nel quale fosse ravvisabile la figura dell’eccesso di potere, quale vizio dell’atto amministrativo.

Secondo una prima linea interpretativa la violazione di norme può essere riferita anche alle disposizioni costituzionali, cosicché pare possibile fare appello all’articolo 97 della Costituzione, che postula i principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione. Questo tipo di interpretazione può lasciare perplessi soprattutto perché si pone in rotta di collisione con le intenzioni dichiarate dal legislatore che erano di ridimensionare la portata applicativa dell’articolo 323.

Una seconda corrente di pensiero, ritiene invece che il concetto di violazione di legge debba essere interpretato in senso restrittivo ed altrettanto vale per la violazione di regolamento. Sarebbe, pertanto, esclusa la rilevanza dell’eccesso di potere e, comunque, di qualunque forma di strumentalizzazione dell’attività o del potere da parte del soggetto qualificato che non si ponga in chiara contraddizione con norme specifiche.

Quanto al soggetto attivo del reato, l’abuso d’ufficio può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio, nello svolgimento delle funzioni o del servizio. Il soggetto avvantaggiato dall’abuso d’ufficio non necessariamente concorre nel reato proprio, in quanto l’abuso d’ufficio non risulta un reato plurisoggettivo obbligatoriamente qualificato dalla presenza dell’extraneus (si tratta di un reato proprio esclusivo).

Ciò non esclude che si possa delineare una responsabilità, ai sensi dell’articolo 110 c.p., quando il soggetto avvantaggiato abbia posto in essere una condotta aggiuntiva ulteriore, che vada oltre la condotta minima non punibile di parte speciale, ossia il semplice usufruire del vantaggio patrimoniale. In pratica, quando il soggetto compie un ulteriore comportamento (per esempio istigare il pubblico ufficiale ad intervenire in suo favore) non è messo a riparo dalla disciplina del 323 e ne risponde ex art. 110 c.p.

Nell’ipotesi, poi, in cui si scopra che il soggetto passivo ha remunerato il soggetto qualificato per commettere un abuso d’ufficio, entrambi risponderanno del più grave reato di corruzione propria.

Il reato di abuso d’ufficio è norma tipicamente residuale e come tale, in virtù della clausola di riserva, è applicabile solo quando non si configuri un reato più grave. Ad esempio, il reato di corruzione assorbe quello di abuso d’ufficio nell’ipotesi in cui l’abuso d’ufficio consista in condotte funzionali all’accordo corruttivo, in virtù della clausola di sussidiarietà presente nell’articolo 323 e della natura sussidiaria della fattispecie reato.

È importante sottolineare che la clausola di sussidiarietà opera qualora sia avvenuta una sola condotta che violi più fattispecie di reato, con conseguente esclusione del concorso formale di reati in quanto se le condotte risultano diverse e cronologicamente non coincidenti il reato di abuso d’ufficio concorre materialmente con altri reati.

L’abuso d’ufficio rappresenta un reato di evento, il cui disvalore penale si realizza al momento della effettiva produzione di un ingiusto vantaggio patrimoniale o di un danno ingiusto ad altri.

Per quanto riguarda l’ingiusto vantaggio, esso può essere soltanto patrimoniale (non quindi qualsiasi utilità, nè di tipo morale o politico ad esempio) e configura una situazione favorevole per il complesso dei diritti soggettivi a contenuto patrimoniale del soggetto pubblico, indipendentemente da un effettivo incremento economico. Il danno per il terzo non viene invece specificato e pertanto può consistere in qualsiasi aggressione ingiusta nei confronti della sfera personale o patrimoniale del soggetto passivo.

È richiesta la c.d. doppia ingiustizia del danno, nel senso che ingiusta deve essere sia la condotta (in quanto connotata da violazione di legge), sia il vantaggio patrimoniale conseguito.

Il reato richiede il dolo generico, connotato dalla intenzionalità, la quale determina l’impossibilità di configurare il delitto nei casi di mero dolo eventuale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.