Acquisto e commercio di merce contraffatta: articoli 648 e 474 codice penale

Accade frequentemente che le forze dell’ordine, impegnate nella lotta alla contrattazione e nella repressione di delitti contro il patrimonio, si imbattano in merce contraffatta esposta in vendita (borse, abbigliamento, accessori vari, etc.). In tali ipotesi, il venditore può incorrere in penale responsabilità, per aver violato:

  • l’art. 648 c.p. (rubr. “ricettazione“), il quale punisce “fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sè o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare…“. Per la configurabilità di tale delitto, occorre – quale presupposto materiale – che anteriormente a esso sia stato commesso un altro delitto (il reato presupposto) al quale però il ricettatore non abbia in alcun modo partecipato (“fuori dei casi di concorso nel reato”);
  • e l’art. 474 c.p. (rubr. “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”), il quale punisce “chiunque, fuori dei casi di concorso nei delitti preveduti dall’articolo precedente, introduce nel territorio dello Stato per farne commercio, detiene per vendere, o pone in vendita, o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o prodotti industriali, con marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire quattro milioni. Si applica la disposizione dell’ultimo capoverso dell’articolo precedente”. Tale delitto è posto a tutela non già della libera determinazione del singolo acquirente, bensì della pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione (in tal senso cfr. più di recente Cass. n. 28423/2012). Perchè il falso possa essere considerato innocuo e grossolano, e dunque, perchè il reato possa essere ritenuto impossibile, occorre che le caratteristiche intrinseche del prodotto e del marchio che con esso si identifica siano tali da escludere immediatamente la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno: tale giudizio va formulato con criteri che consentano una valutazione «ex ante» della riconoscibilità «ictu oculi» della grossolanità della falsificazione (v. Cass. n. 16821/2008).

Secondo insegnamento delle Sezioni Unite infatti, i due delitti appena citati “possono concorrere, in quanto, da un lato, tra le fattispecie incriminatrici non sussiste un rapporto di specialità, e dall’altro, non ricorrono gli estremi dell’assorbimento del primo delitto nel secondo” (v. Cass. Sez. Un. 23427/2001). Infatti, se la detenzione implica per sua natura un’apprensione, questa non integra sempre la ricettazione, potendosi verificare un acquisto senza la consapevolezza del carattere contraffatto dei segni (elemento essenziale del reato di ricettazione) con posticipata presa di coscienza e deliberazione di porre in circolazione i relativi prodotti (v. Cass. n. 16915/2016).

Discorso diverso vale invece per l’acquirente finale di un prodotto contraffatto, dove per “acquirente finale” deve intendersi, restrittivamente, colui che non partecipa in alcun modo alla catena di produzione o di distribuzione e diffusione dei prodotti contraffatti, ma si limita ad acquistarli esclusivamente per uso personale..

L’acquirente finale di un prodotto con marchio contraffatto o comunque di origine e provenienza diversa da quella indicata risponde dell’illecito amministrativo previsto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, conv. in I. 14 maggio 2005, n. 80, nella versione modificata dalla I. 23 luglio 2009, n. 99, e non di ricettazione o di acquisto di cose di sospetta provenienza (art. 712 c.p..), attesa la prevalenza del primo rispetto ai predetti reati alla luce del rapporto di specialità desumibile, oltre che dall’avvenuta eliminazione della clausola di riserva “salvo che il fatto non costituisca reato”, dalla precisa individuazione del soggetto agente e dell’oggetto della condotta nonchè dalla rinuncia legislativa alla formula “senza averne accertata la legittima provenienza”, il cui venir meno consente di ammettere indifferentemente dolo o colpa (c. Cass. sez. un. n. 22225/2012).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.