Appello di penalisti e accademici a Mattarella sulla riforma della prescrizione

A seguito dell’approvazione definitiva della Legge Anti-Corruzione, l’Unione delle Camere Penali italiane ha consegnato al Presidente della Repubblica un appello firmato da 110 docenti di diritto penale, di procedura penale e di diritto costituzionale, affinché valuti i profili di incostituzionalità della norma che ha inteso modificare il regime della prescrizione dei reati.

L’appello, datato 19 dicembre 2018, richiama i rilievi già evidenziati nelle varie audizioni in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati, rispetto all’intervento di riforma contenuto nel testo di legge,  che nel prevedere “la sospensione sine die dei termini di prescrizione del reato, a seguito della pronuncia di primo grado – sia di condanna che di assoluzione – oltre a frustrare le diverse funzioni della pena che ispirano la ratio estintiva del trascorrere del tempo, si scontra” ad avviso dei firmatari “con diversi principi costituzionali e convenzionali“, quali:

a) la presunzione di innocenza (art. 27, comma secondo, Cost., art. 6/2 CEDU), atteso che considerare l’imputato – specie se assolto in primo grado – quale “eterno giudicabile”, assoggettato ad una pretesa punitiva priva di termini temporali e sostanzialmente illimitata altro non significa che trattarlo alla stregua di un “presunto colpevole”, così trasformando il principio in dubio pro reo nel principio, illiberale, in dubio pro republica;
b) il diritto di difesa, “inviolabile” ai sensi dell‟art. 24, comma secondo, Cost., è nondimeno gravemente pregiudicato dalla riforma proposta: a distanza di molto tempo le possibilità di difendersi provando, nel contraddittorio delle parti, si contraggono significativamente, essendo difficile non solo raccogliere eventuali prove a discarico, ma persino ricostruire compiutamente e correttamente i fatti;
c) la durata necessariamente limitata e ragionevole del processo (art. 111, secondo comma, Cost.; art. 6/1 CEDU), perché quest’ultimo è di per sé una poena naturalis e la sua protrazione illimitata implica una sofferenza tanto più intollerabile in un contesto ordinamentale, quale quello italiano, dove i tempi della giustizia penale sono irragionevolmente lunghi; e dove – in assenza di una disciplina della prescrizione del processo – la prescrizione sostanziale rappresenta l‟unico, estremo presidio garantistico a tutela dell’individuo contro un “processo senza fine”;
d) la stessa funzione rieducativa della pena (art. 27, comma terzo, Cost.) è profondamente compromessa – e negata in radice – da una sanzione che intervenga a notevole distanza di tempo rispetto al fatto commesso, quando l‟autore “non è più la stessa persona”, e potrebbe non necessitare più di alcun trattamento rieducativo.

L’appello si conclude, pertanto, alla luce delle superiori ragioni, con la richiesta al Presidente Sergio Mattarella di volere valutare l’ipotesi di rinviare il testo alle Camere con messaggio motivato.

La Legge Anti-Corruzione, ed in particolare la riforma della prescrizione ivi contenuta, è stata oggetto di critiche anche del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), che ha sulla stessa espresso parere motivato trasmesso al Ministero della Giustizia.

Dopo aver ampiamente ripercorso le caratteristiche e l’evoluzione dell’istituto della prescrizione, il CSM osserva preliminarmente come l’intervento normativo abbia inciso sull’art. 159 c.p., prevedendo formalmente una causa di sospensione che presenta l’anomalia di non presupporre – diversamente dagli altri casi di “sospensione” – la ripresa del corso della prescrizione. Inoltre, “le modifiche introdotte in tema di sospensione della prescrizione non appaiono idonee ad incidere, altresì, sul funzionamento del processo penale accelerandone la conclusione, non contenendo alcuna previsione in tal senso.

A sistema giudiziario invariato, non può inoltre escludersi che i gradi di giudizio successivi al primo, all’esito del quale interverrà la causa di sospensione della prescrizione, si svolgano più lentamente che in passato, venendo meno uno dei principali fattori che determinano, di norma, un’accelerazione dei tempi di definizione dei processi, legato al pericolo di prescrizione del reato sub iudice“.

“Il rischio di un effettivo allungamento dei processi all’esito della introduzione di detta modifica, avrà certamente importanti ricadute anche sulla posizione delle vittime di reato e degli imputati.

Rispetto alle prime, infatti, la domanda di giustizia rischierebbe di trovare definitiva soddisfazione solo dopo il decorso di molti anni dal fatto”.

“Rispetto agli imputati”, occorre avere riguardo alla “necessità di evitare che il processo, a causa dei suoi tempi dilatati, gravi sugli stessi ‘come fosse una vera e propria pena supplementare e anticipata (irrogata anche a chi poi risulti innocente)‘, dovendosi in ogni caso assicurare la ‘ragionevole durata del processo‘ nel rispetto dell’art. 111 Cost. e dell’art. 6 CEDU e scongiurare che sull’imputato, eventualmente anche assolto in primo grado, possano essere riversate le inefficienze del sistema, come accadrebbe se si giungesse a concepire un ‘processo tendenzialmente illimitato‘.

L’eventuale allungamento della durata dei processi, quale possibile conseguenza della novella, aggraverebbe dunque il vulnus al principio di cui all’art. 111 Cost., rispetto al quale l’Italia ha già subito condanne dalla CEDU e darebbe luogo ad una potenziale lesione del diritto di difesa dell’imputato garantito dall’art. 24 Cost. Sotto quest’ultimo profilo è, infatti, indubbio che la ricerca di prove diventi tanto più difficile quanto maggiore è la distanza temporale che separa il giudizio dal tempus commissi delicti“.

“Appare infine doveroso rammentare che, per il solo anno 2017, i procedimenti potenzialmente a ‘rischio Legge Pinto‘ sono stati individuati dal Ministero della Giustizia in 224.602 per il primo grado e in 110.450 per il grado di appello. Anche sotto questo profilo, pertanto, l’eventuale allungamento dei processi conseguente alla novella rischierebbe di acuire una problematica già economicamente significativa per lo Stato italiano”.

Conclude, pertanto, il CSM nell’affermare che “sebbene l’idea di fondo della novella sia quella di scongiurare gli effetti caducanti della prescrizione dopo che il processo sia pervenuto alla definizione in primo grado, l’approccio alla ‘emergenza prescrizione’, per risultare efficace e coerente con tutti i principi che devono ispirare il processo penale, richiederebbe un intervento strutturale che tenga conto anche di ulteriori linee di intervento.

In relazione a questo profilo potrebbe essere utile intervenire sulla fase delle indagini preliminari, più incisa dalla prescrizione (in questa fase è maturata la prescrizione di diverse decine di migliaia di prescrizioni nel solo 2017), così come accade negli altri ordinamenti europei, nei quali pure opera il meccanismo della sospensione/interruzione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado.

In questo contesto, l’introduzione della sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, in assenza di altre misure, se quindi elimina il rischio del maturare della prescrizione nelle fasi successive, non risolve però la criticità dell’eccessiva durata dei processi, ed anzi, potrebbe contribuire con l’accentuarla per il prevedibile aggravio dei ruoli che essa determinerà”.

Fonti:

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.