L’atto di appello nel processo penale

L’appello nel processo penale è il mezzo di impugnazione, disciplinato dagli articoli 593 e seguenti del codice di procedura penale, esperibile – nei casi previsti dalla legge – avverso le sentenze emesse all’esito del giudizio di primo grado.

Mediante l’appello, la parte legittimata ad impugnare chiede l’annullamento o la riforma totale o parziale della decisione emessa dal Giudice, in quanto ritenuta illegittima o ingiusta (in fatto e in diritto), mediante lo svolgimento di un secondo grado di giudizio, il giudizio d’appello appunto.

L’appello è un mezzo di impugnazione di tipo ordinario, in quanto la sua proposizione impedisce che la sentenza passi in giudicato, e devolutivo, in quanto comporta un riesame della controversia (anche nel merito) limitatamente ai capi e punti della sentenza appositamente impugnati con i motivi di appello.

Giudice competente per l’ appello

Competente a decidere sui motivi di impugnazione è il Giudice dell’Appello, ovvero la Corte di Appello, la Corte di Assise di Appello o il Tribunale, a seconda che la sentenza impugnata sia stata emessa dal Tribunale, dalla Corte di Assise o dal Giudice di Pace.

I soggetti legittimati a proporre appello

I soggetti legittimati a proporre appello avverso le sentenze di condanna o di proscioglimento sono il Pubblico Ministero e l’imputato. La parte civile può invece impugnare le sentenze di proscioglimento ai soli effetti della responsabilità civile (c. art. 576 cod. proc. pen.).

Legittimato a impugnare le sentenze di condanna è l’imputato, nonché il P.M., ma solo quando il giudice abbia “modificato il titolo del reato o abbia escluso la sussistenza di una circostanza aggravante ad effetto speciale o abbia stabilito una pena di specie diversa di quella ordinaria del reato”.

Non tutte le sentenze di condanna sono, tuttavia, appellabili.  Sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda e quelle di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento).

Avverso le sentenze di proscioglimento possono invece proporre appello la parte civile, il Pubblico Ministero e l’imputato. Non sono, tuttavia, appellabili: le sentenze di proscioglimento emesse ex art. 469 c.p.p. prima del dibattimento, quando non vi è opposizione del P.M. e dell’imputato; le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa; le sentenze di proscioglimento emesse dal Giudice Pace; nonché quelle di non luogo a procedere emesse nel corso dell’udienza preliminare (per le quali l’art. 428 c.p.p. prevede il rimedio del Ricorso per Cassazione).

I poteri decisori del Giudice dell’appello mutano a seconda che ad impugnare sia l’imputato o il P.M. Quando appellante è il pubblico ministero:
a) se l’appello riguarda una sentenza di condanna, il giudice può, entro i limiti della competenza del giudice di primo grado, dare al fatto una definizione giuridica più grave, mutare la specie o aumentare la quantità della pena, revocare benefici, applicare, quando occorre, misure di sicurezza e adottare ogni altro provvedimento imposto o consentito dalla legge;
b) se l’appello riguarda una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna ed emettere i provvedimenti indicati nella lettera a) ovvero prosciogliere per una causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata;
c) se conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere, nei casi determinati dalla legge, le pene accessorie e le misure di sicurezza.

Quando appellante è il solo imputato invece, troverà applicazione il divieto di reformatio in peius, secondo cui il giudice non può irrogare una pena più grave per specie o quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, prosciogliere l’imputato per una causa meno favorevole di quella enunciata nella sentenza appellata né revocare benefici, salva la facoltà di dare al fatto una definizione giuridica più grave, purché non venga superata la competenza del giudice di primo grado. Il Giudice potrà, in sostanza, statuire solo a vantaggio dell’imputato o, in mancanza, limitarsi a confermare la sentenza di primo grado.

I termini per proporre appello

I termini per appellare sono quelli previsti dalle disposizioni generali in materia di impugnazioni, pertanto l’appello è esperibile nel termine di 15, 30 o 45 giorni a seconda, rispettivamente che la motivazione sia contestuale al dispositivo, depositata nei 30 giorni successivi oppure in un termine ancora più lungo (cfr. art. 585 cod. proc. pen.).

Effetto estensivo dell’atto di appello

Nel caso di concorso di più persone nello stesso reato (v. art. 110 c.p.), l’impugnazione proposta da uno degli imputati, purché non fondata su motivi esclusivamente personali, giova anche agli altri imputati (effetto estensivo dell’impugnazione, cfr. art. 587 c.p.p.).

Nel caso di reati diversi, ma riuniti nello stesso procedimento perché connessi, l’impugnazione proposta da un imputato giova a tutti gli altri imputati soltanto se i motivi riguardano violazioni della legge processuale e non sono esclusivamente personali.

L’impugnazione proposta dall’imputato giova anche al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria; mentre, l’impugnazione proposta dal responsabile civile o dalla persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria giova all’imputato anche agli effetti penali, purché non sia fondata su motivi esclusivamente personali.

Appello Incidentale

Anche nel processo penale è previsto l’istituto dell’appello incidentale (v. art. 595 c.p.p.). La parte che non ha proposto impugnazione può infatti proporre appello incidentale entro 15 giorni da quello in cui ha ricevuto la comunicazione o la notificazione della proposizione dell’appello principale.

L’efficacia dell’appello proposto in via incidentale è condizionata da quella dell’appello principale, sicché l’appello incidentale perde efficacia in caso di inammissibilità dell’appello principale o di rinuncia  allo stesso a norma dell’art. 589 c.p.p.

Si noti che nel caso in cui l’appello incidentale sia proposto dal P.M., esso non produce effetti nei confronti del coimputato non appellante che non ha partecipato al giudizio di appello.

Il concordato sui motivi di appello

Una significativa novità introdotta dalla riforma Orlando è costituita dalla reintroduzione del concordato sui motivi (artt. 599 bis e 602 c.p.p.), già previsto nella versione originaria del codice e successivamente dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega.

Sono esclusi dal concordato i procedimenti per i delitti di cui all’art. 51 comma 3 bis e 3 quater c.p.p., nonché i delitti per alcuni reati a sfondo sessuale specificamente indicati, nonché quelli contro coloro che siano stati dichiarati delinquenti abituali professionali o per tendenza.

Deve considerarsi impropria,la denominazione corrente nella prassi di indicare tale istituto quale “patteggiamento in appello”. Non solo si tratta di uno strumento del tutto estraneo all’applicazione della pena a richiesta, essendo altro il suo oggetto, ma elemento ancora più rilevante riguarda l’assenza totale di qualsiasi connotazione premiale.

Invero, si tratta di una semplice rinuncia ad alcuni motivi e dell’accoglimento di altri, con le conseguenti ricadute sulla pena, in ordine alla quale – a tutto volere – si potrà riconoscere una propensione indulgenziale, peraltro sempre contenuta nei parametri della commisurazione legale.

La decisione nel Giudizio di appello

In grado di appello si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni relative al giudizio di primo grado, salvo quanto previsto dagli articoli seguenti (c. testuale l’art. 598 c.p.p.).

Quando l’appello ha esclusivamente per oggetto la specie o la misura della pena, anche con riferimento al giudizio di comparazione fra circostanze, o l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche, di sanzioni sostitutive, della sospensione condizionale della pena o della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, la corte provvede in camera di consiglio con le forme previste dall’articolo 127 c.p.p.

La Corte provvede in camera di consiglio anche quando debba pronunciarsi sul concordato dei motivi in appello.

La fase dibattimentale e quella preparatoria sono disciplinate dagli artt. 601 e seguenti del c.p.p. Dopo la notificazione dell’impugnazione, il Presidente della sezione adita ordina la citazione dell’imputato appellante o di quello appellato qualora impugnante sia il P.M.. Il termine per comparire deve essere non inferiore ai 20 giorni.

Dopo il controllo del Presidente o di un suo delegato sulla regolare costituzione delle parti, seguirà una breve relazione dello stesso relativa all’iter procedimentale e processuale di primo grado, nonché sui motivi dell’impugnazione.

Salvo alcuni casi, non è prevista per il giudizio di appello una fase istruttoria, ma solo dibattimentale in senso stretto. Dopo la relazione, si passa infatti direttamente alla discussione delle parti.

La rinnovazione delle prove o l’introduzione di nuove prove è prevista in casi eccezionali e tassativi, previsti nell’art. 603 c.p.p. (es. nuove prove o prove conosciute successivamente all’esito del primo grado di giudizio).

Fuori dei casi previsti dall’articolo 604, il giudice di appello pronuncia sentenza con la quale conferma o riforma la sentenza appellata.

L’atto di appello può altresì essere dichiarato inammissibile, ove ad esempio sia proposto da una parte non legittimata o fuori dai termini previsti per proporre impugnazione.

Diversamente, ai sensi dell’art. 604 c.p.p., il giudice di appello dichiara la nullità in tutto o in parte della sentenza appellata e dispone la trasmissione degli atti al giudice di primo grado:

  • quando vi è stata condanna per un reato diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la quale la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti (nullità per difetto di contestazione; cfr. art. 522 c.p.p.).
  • se accerta una delle nullità indicate nell‘articolo 179, da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado;
  • se accerta una delle nullità indicate nell’articolo 180 che non sia stata sanata e da cui sia derivata la nullità del provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado (ove si tratta di altre nullità che non sono state sanate, il giudice di appello può ordinare la rinnovazione degli atti nulli o anche, dichiarata la nullità, decidere nel merito, qualora riconosca che l’atto non fornisce elementi necessari al giudizio)

Quando vi è stata condanna per un reato concorrente o per un fatto nuovo, il giudice di appello dichiara nullo il relativo capo della sentenza ed elimina la pena corrispondente, disponendo che del provvedimento sia data notizia al pubblico ministero per le sue determinazioni, senza quindi rinviare al giudice del primo grado.

 

Avverso la decisione di appello è proponibile, entro i consueti termini stabiliti dall’art. 585 cod. proc. pen., Ricorso per Cassazione nei casi indicati tassativamente dall’art. 606 c.p.p.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.