Art. 578 codice penale: delitto di infanticidio

Il delitto di infanticidio punisce la condotta della madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, con la reclusione da 4 a 12 anni.

Tale delitto costituisce un’ipotesi speciale attenuata di omicidio volontario, posto a tutela dell’integrità fisica del neonato.

Si tratta di reato proprio, che può essere commesso solo dalla madre naturale. Qualora vi sia concorso di soggetti estranei, ai sensi del comma 2 dell’art. 578 c.p., a questi si applica la norma generale di omicidio di cui all’art. 575, a meno che non abbiano agito per favorire la madre. In tal caso troverà applicazione la norma in esame e la pena può essere diminuita da un terzo a due terzi.

E’ elemento fondamentale che il fatto sia commesso immediatamente dopo il parto, non tanto quale requisito cronologico, ma piuttosto come riferimento a quella fase di perturbamento psichico conseguente al parto.

Il delitto si differenzia infatti da quello di cui all’articolo 575, in quanto è richiesto non solo che il fatto sia commesso immediatamente dopo il partoma anche che l’abbandono sia stato determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, in tal guisa considerando il legislatore connotata da minor disvalore penale la condotta della madre che si trovi in una situazione di profondo disagio.

Le condizioni di abbandono materiale e morale rappresentano l’elemento specifico del reato in esame e si riferiscono non solo ad una situazione economica gravemente deficitaria, ma anche all’assenza di una qualsivoglia assistenza, pubblica o privata ed affettiva.

Le condizioni di abbandono materiale e morale, richieste dalla dall’art. 578 c.p., in quanto elemento costitutivo del reato, devono sussistere oggettivamente e congiuntamente, e devono essere connesse al parto nel senso che, in conseguenza della loro obiettiva esistenza, la madre non ritiene di poter assicurare la sopravvivenza del figlio subito dopo la nascita; ma la valutazione della ricorrenza, nel caso concreto, di tale requisito obiettivo deve essere “individualizzata” sulla peculiare situazione della partoriente, come da lei percepita, prescindendo dall’oggettiva presenza, nel contesto territoriale di appartenenza, di adeguate strutture e presidi sanitari al cui ausilio la madre sarebbe potuta ricorrere durante la gravidanza e in occasione del parto, allorché la condizione di solitudine esistenziale in cui versa la donna, determinata anche da un ambiente familiare non comunicativo e totalmente incapace di cogliere l’evidenza del suo stato e di avvertire l’esigenza di aiuto e sostegno necessari al dramma da lei vissuto, le impedisca tuttavia di cogliere tali opportunità, inducendola a partorire in uno stato di effettiva derelizione.

Come l’omicidio, il reato in oggetto è a forma libera e può essere realizzato sia con condotte commissive che omissive (dato l’obbligo giuridico di protezione della madre nei confronti della prole).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.