Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto: la responsabilità dello spacciatore per morte del consumatore da overdose

Dispone l’art. 586 che “quando da un fatto preveduto come delitto doloso deriva, quale conseguenza non voluta dal colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni di cui all’art. 83, ma le pene stabilite negli artt. 589 e 590 c.p. sono aumentate”.

L’articolo in commento disciplina un reato comune ( è infatti configurabile a carico del quisque de populo)  di danno, rappresentando l’offesa in senso naturalistico del bene protetto un elemento costitutivo.

L’elemento oggettivo del reato de quo consiste nel porre in essere un delitto, diverso rispetto a quelli contro l’incolumità personale ( es. percosse o lesioni, altrimenti deve ritenersi configurabile l’art. 584 c.p. – omicidio preterintenzionale), dal quale derivi – come evento non voluto – la morte o  la lesione di una persona.

Quanto alla consumazione, essa si identifica con la morte o la lesione personale ed il tentativo va ritenuto inammissibile, essendo una fattispecie ove l’evento più grave è involontario.

Il  bene giuridico tutelato attraverso l’incriminazione in esame va individuato in quello dell’incolumità pubblica.

A ben vedere, la norma di cui all’art. 586 c.p. costituisce una speciale applicazione dell’art. 83 c.p., prevedendo una sanzione più severa in ragione dell’importanza del bene protetto (incolumità personale e  bene vita).

La questione maggiormente controversa attinente l’interpretazione dell’art. 586 c.p. è certamente rappresentata dall’individuazione del rapporto tra il delitto doloso di base e l’evento di morte o di lesione non voluto.

La lettera della norma depone nel senso di un rapporto contraddistinto in termini di pura e semplice causalità materiale. È inoltre necessario che l’evento lesivo costituito dalla morte e dalle lesioni, non sia voluto neppure in via indiretta o con dolo eventuale dall’agente, poiché questi, se pone in essere la propria condotta pur rappresentandosi la concreta possibilità del verificarsi di ulteriori conseguenze di essa e ciononostante accettandone il rischio, risponde, in concorso di reati, del delitto inizialmente preso di mira e del delitto realizzato come conseguenza voluta del primo (Cass. Pen. n. 31841/2014).

Alla luce di ciò, si è pertanto discusso in merito al criterio di imputazione soggettiva dell’evento più grave. Diverse le soluzioni prospettate da dottrina e giurisprudenza.

  • Secondo un primo approccio, la norma prevedrebbe una ipotesi di responsabilità oggettiva, sicché morte e lesioni vanno addebitate all’autore del delitto base doloso in ragione del mero nesso di causalità materiale, a condizione che lo stesso non risulti interrotto dall’intervento di quei fattori sopravvenuti di cui all’art. 41, comma 2, c.p.
  • Una seconda impostazione invece, ravvisa nella fattispecie prevista dall’art. 586 c.p. un’ipotesi di responsabilità per colpa specifica, legata all’inosservanza della norma penale incriminatrice del reato base doloso. L’evento lesivo non voluto, verrebbe imputato al colpevole a titolo di colpa per violazione di legge.

L’impostazione testé illustrata tuttavia non parrebbe discostarsi, dal punto di vista sostanziale, da quella di cui al primo approccio, atteso che l’imputazione dell’evento più grave discenderebbe da una vera e propria presunzione di colpa, che prescinde dalla natura cautelare della norma di legge violata, rappresentata dalla norma incriminatrice del reato base.

Per tale ragione, secondo lo scrivente, pare preferibile un terza impostazione, più in linea con le interpretazioni fornite negli anni dalla Corte Costituzionale in fatto di colpevolezza.

  • Secondo tale ulteriore e differente approccio, deve ritenersi che l’art. 586 introduca un caso di dolo misto a colpa generica da verificarsi in concreto in termini di prevedibilità e, quindi, non presumibile in astratto.

Una tra le più interessanti applicazioni dell’art. 586 c.p.  riguarda la responsabilità dello spacciatore per morte del consumatore a seguito di overdose.

Sul punto si registrano numerosissime pronunce dei Giudici della legittimità in cui è dato leggere, in conformità all’orientamento secondo cui l’art. 586 introduca un caso di dolo misto a colpa generica, che la morte dell’assuntore di sostanza stupefacente è imputabile alla responsabilità del cedente, sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale diversa dalla norma che incrimina la condotta di cessione e con prevedibilità ed evitabilità dell’evento da valutarsi alla stregua dell’agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall’agente reale (v. ex multis Cass. Pen. n. 50557/2013).

È necessario inoltre accertare che non ricorrano circostanze imprevedibili utili ad interrompere il decorso causale innescato attraverso la cessione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’art. 41, co. 2. A riguardo giova rammentare, incidenter, come il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisca solo all’ipotesi di un processo causale del tutto autonomo, ma anche al caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, caratterizzato da un’evoluzione causale completamente atipica, anomala ed eccezionale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.