Atti osceni in luogo pubblico o aperto al pubblico

Il codice penale punisce chiunque compie atti osceni in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, all’articolo 527 del codice penale, che testualmente recita:

Chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000.

Si applica la pena della reclusione da quattro mesi a quattro anni e sei mesi se il fatto è commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano.

Se il fatto avviene per colpa, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquantuno euro a trecentonove euro.

Fino a non molto tempo fa, l’art. 527 del codice penale puniva il compimento di atti osceni in luogo pubblico con la reclusione da 3 mesi a 3 anni. Oggi a seguito della depenalizzazione, attuata con Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, la norma è stata riscritta e gli atti osceni puniti con con sanzioni amministrative, ad eccezione per alcune ipotesi particolarmente gravi, per le quali resta la pena della reclusione.

Ai sensi dell’art. 529 c.p., si considerano osceni, agli effetti della legge penale, gli atti e gli oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore.

Il pudore può essere qualificato quale sentimento di riservatezza, in ordine a ciò che attiene alla morale sessuale. Secondo giurisprudenza consolidata, il pudore va inteso come “fenomeno biologico umano, che si esprime in una reazione emotiva immediata ed irriflessa di disagio, turbamento e repulsione in ordine a organi del corpo o comportamenti sessuali che, per ancestrale istitutività, continuità pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell’intimità e nel riserbo” (Cass. n. 1809/1976; cfr. anche Cass. n. 48532/2004)

Nella nozione di atto osceno rientra tutto ciò che, tenuto conto della sensibilità dei consociati di normale levatura morale, intellettuale e sociale, nel momento storico in cui si verifica il fatto incriminato, analizzato in base al criterio storico-evolutivo, cagiona la suddetta reazione emotiva e di disagio (Cass. n. 37395/2004).

La mera esposizione della nudità integrale non integra necessariamente il reato di atti osceni, dato che, quando l’atto non è espressione di concupiscenza e dimostrazione di libido, non può dirsi che esso sia osceno, ledendo perlopiù il sentimento della compostezza, nel qual caso potrà nondimeno essere configurabile il meno grave reato atti contrari alla pubblica decenza  di cui all’art. 726 c.p.

Parimenti, può ben integrare il delitto di cui all’art. 527 c.p. il toccamento lascivo di parti intime del corpo, sia pure al di sopra degli abiti, in quanto la nozione di atti osceni non si limita alla sola rappresentazione di un atto sessuale, comprendendo anche l’oscenità insita in azioni e comportamenti che richiamino tale atto, come nel caso di atteggiamenti licenziosi che offendono ugualmente in modo grave il senso di riservatezza che deve presiedere alle manifestazioni in luogo pubblico (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 19178 del 8 maggio 2015).

L’elemento materiale del reato di cui all’art. 527 c.p. consiste nel compimento degli atti osceni  in un luogo pubblico, aperto al pubblico oppure in un luogo esposto al pubblico.

Necessario, dunque, per l’offensività del reato il requisito della pubblicità, da cui deriva la punibilità dell’atto osceno solo quando sia destinato a raggiungere la percezione della collettività, il cui sentimento del pudore è così esposto in pericolo.

Si tratta di un reato comune e di pericolo, per la cui configurabilità non è richiesta la realizzazione dell’evento lesivo, ma è sufficiente l’astratta visibilità dell’atto osceno da parte della generalità dei consociati. La visibilità degli atti va quindi valutata ex ante, in relazione al luogo, all’ora ed alle modalità del fatto.

La qualificazione del reato in disamina come reato di pericolo comporta l’inconfigurabilità del tentativo, dato che se manca la possibilità di offesa al pubblico pudore, viene meno l’oggettività giuridica del reato.

Mentre l’espressione luogo pubblico sta ad indicare il luogo di diritto o di fatto continuativamente libero a tutti o a un numero indeterminato di persone (ad esempio, una piazza), per luogo aperto al pubblico si intende invece, il luogo, anche privato, ma al quale un numero indeterminato, ovvero un’intera categoria, di persone, può accedere, senza limite o nei limiti della capienza, ma solo in certi momenti o alle condizioni poste da chi esercita un diritto sul luogo (ad esempio, un bar). Per luogo esposto al pubblico, infine, si intende un luogo non accessibile a tutti, ma facile oggetto di osservazione da un numero indeterminato di soggetti. Anche la commissione di atti osceni in luogo privato può integrare il delitto in esame qualora si lasci volontariamente aperta la finestra, di modo che chiunque possa vedere.

L’elemento soggettivo del reato è rappresentato dal dolo generico, dato dalla volontà cosciente di compiere l’atto obiettivamente idoneo ad offendere il pudore collettivo, essendo irrilevante il motivo che ha determinato l’agente al comportamento osceno.

Molto simile al reato di atti osceni in luogo pubblico è quello di atti contrari alla pubblica decenza  ex art. 726 c.p.: la differenza tra i due reati, per consolidata giurisprudenza, va ricercata nel contenuto più specifico della norma che punisce gli atti osceni, che si richiama alla verecondia sessuale, rispetto a quello di cui all’art. 726 c.p. che invece sanziona la violazione dell’obbligo di astenersi da quei comportamenti che possano offendere il sentimento collettivo della costumatezza e della compostezza (Cass. n. 26388/2004).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.