L’esercizio dell’azione penale (art. 50 c.p.)

azione penale

Il titolo II del libro I del codice di rito è dedicato alla figura del pubblico ministero. Esso si apre, in particolare, con l’art. 50 c.p., dedicato all’azione penale.

Il legislatore ha, in sostanza, inteso individuare immediatamente la funzione davvero tipica del pubblico ministero, la quale non può essere affidata al giudice senza intaccare il ruolo di organo imparziale di cui all’art. 101, co. 2 Cost.

L’art. 50 co. 1 c.p. conferisce, infatti, al pubblico ministero la titolarità dell’azione penale. Deve, tuttavia, a tal proposito tenersi presente la previsione di cui all’art. 21 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, secondo cui per i reati procedibili a querela è ammessa la citazione a giudizio dinanzi al giudice di pace della persona alla quale il reato è attribuito su ricorso della persona offesa.

Si noti, incidenter, che sono presidiate dalla previsione di una nullità di tipo assoluto (v. art. 179, co. 1 c.p.p.) unicamente le attività inerenti all’inizio dell’azione penale, e non già al suo proseguimento.

In piena aderenza al dettato di cui all’art. 112 Cost., il medesimo comma 1 dell’art. 50 c.p. prosegue sancendo il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, il quale trova il suo unico limite nella sussistenza delle condizioni per richiedere l’archiviazione della notizia di reato.

Secondo un consolidato indirizzo della Corte Costituzionale, il principio in discorso si risolverebbe nella proiezione processuale del diritto di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale, postulando l’indipendenza dell’organo cui l’azione stessa è demandata, dagli altri poteri (cfr. sent. 88/1991).

Quanto ai modi di esercizio dell’azione penale, essi sono tassativamente elencati all’art. 405 c.p.p. , i quali risultano tutti accomunati dalla presenza costante di un atto: la formulazione dell’imputazione, la quale permette di individuare il momento di inizio del processo penale in senso proprio, riservando la fase delle indagini preliminari al mero procedimento. Al contempo, la lettura coordinata con l’art. 60, dedicato all’assunzione della qualità di imputato, chiarisce parimenti come quest’ultima discenda unicamente dalla formulazione dell’imputazione.

Ai sensi, poi, del successivo comma 2 dell’art. 50 quando non è necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata di ufficio, circoscrivendo così l’efficacia delle condizioni di procedibilità alle figure ivi richiamate. L’elenco così fornito non è, però, esaustivo. Sono ad esempio generalmente ritenute condizioni di procedibilità la presenza nel territorio dello Stato per i delitti comuni del cittadino e dello straniero commessi all’estero (art. 10 c.p.), ovvero l’assenza di una sentenza o di un decreto penale di condanna irrevocabili pronunciati nei confronti della medesima persona per il medesimo fatto (v. art. 649 c.p.p.).

Trattandosi di fatti o atti giuridici, in mancanza dei quali il pubblico ministero non può esercitare l’azione penale, le condizioni di procedibilità sono in concreto suscettibili di collidere con il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Se la questione è agevolmente superabile ove la scelta sia demandata ai soggetti privati, in quanto essi sono liberi di scegliere se avvalersi o meno della protezione loro accordata dalla legge penale, lo stesso non può dirsi quando la medesima opzione spetti ad organi pubblici. In tali casi infatti, secondo la dottrina più attenta, occorre che l’esigenza di siffatte condizioni sia posta a tutela di interessi costituzionalmente rilevanti, così da prevalere, in sede di bilanciamento, con il principio di cui all’art. 112 Cost.

Il comma 3, invece, dispone il tradizionale principio dell’irretrattabilità dell’azione penale: questa, una volta esercitata, esce dalla sfera di disposizione del suo autore e genera un dovere decisorio in capo al giudice. Ciò equivale a dire che l’oggetto del processo penale è indisponibile.

È stata, infatti, affermata l’abnormità del provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare, investito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dall’ufficio del pubblico ministero, disponga l’archiviazione del procedimento ai sensi dell’art. 415 (v. Cass. Sez. II, n. 1268/1993).

Al principio di irretrattabilità dell’azione penale consegue, altresì, la tassatività delle cause in presenza delle quali si dispone la sospensione o l’interruzione dell’azione penale.

Diverse le cause di sospensione del procedimento, inteso quale fase delle indagini preliminari. Accanto a quella facoltativa in caso di dichiarazione di ricusazione del giudice (art. 41, co. 2 c.p.p.) ed a quella obbligatoria in caso di accertata incapacità dell’indagato di partecipare coscientemente al procedimento (art. 71 , co. 5), è successivamente stata aggiunta la sospensione, per così dire automatica, conseguente all’insorgere di indizi del reato di false informazioni rese al pubblico ministero (art. 371 bis c.p.) o di false dichiarazioni rese al difensore (art. 371 ter).

Infine, va rilevato come il decorso del termine per il compimento delle indagini preliminari non comporti la decadenza del p.m. dal potere di esercitare l’azione penale, salva l’ipotesi in cui il procuratore generale abbia esercitato il suo potere di avocazione ai sensi dell’art. 412 c.p.p.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.