Tutti gli ordinamenti che hanno accolto sistemi processuali di tipo accusatorio, prevedono il potere del difensore di compiere investigazioni. L’Italia soltanto nel 2000 con L. 397 ha provveduto a disciplinare espressamente le investigazioni difensive, muovendosi sull’onda della revisione costituzionale (L. cost. n. 2/1999) che ha introdotto all’art. 111 Cost. i principi del giusto processo.
La su citata L. 397/2000 ha introdotto nel codice di procedura penale il titolo VI-bis, dedicandolo alla disciplina della materia in esame. La regolamentazione, invero, non appare esaustiva: essa va, infatti, completata con le prescrizioni contenute nelle Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni; trattasi di un testo approvato dalle Camere penali nel luglio del 2001, successivamente modificato nel 2007, che ha valore convenzionale, vale a dire che tali regole sono vincolanti solo per gli avvocati iscritti alle Camere penali. Tuttavia, il recentemente approvato Codice deontologico (31 gennaio 2014, C.n.f.) disciplina dettagliatamente i rapporti con i testimoni e le persone informate sui fatti, la violazione delle cui regole configura un illecito disciplinare ed è vincolante per tutti gli Avvocati.
La finalità delle indagini difensive è descritta all’art. 327 bis c.p.p. e consiste nel ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito. Si noti la collocazione strategica di tale norma, situata immediatamente dopo la disposizione relativa alla direzione delle indagini da parte del Pubblico Ministero (art. 327) e immediatamente prima della disposizione che concerne il ruolo svolto dal G.i.p. (art. 328 c.p.p.).
Diversamente da quel che viene imposto al Pubblico Ministero, i difensori delle parti private non hanno l’obbligo di ricercare e presentare al Giudice gli elementi sfavorevoli alla parte assistita. Il difensore resta libero, valutando il risultato della prova acquisito mediante le proprie indagini, se produrlo o meno al Giudice, a seconda della convenienza che tale elemento può apportare alle proprie argomentazioni difensive.
I poteri di indagine conferiti ai difensori, inoltre, differiscono da quelli conferiti dalla legge al Pubblico Ministero, soprattutto perché privi del carattere di coercitività. Questi possono, pertanto, svolgere atti di indagine solo finché la persona, “oggetto” dell’investigazione, presti il suo consenso. In caso di dissenso, al difensore residua la sola possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria e chiedere a quest’ultima di esercitare coercitivamente l’assunzione della prova.
Il potere di investigazione difensiva è riconosciuto al difensore dell’imputato e della persona offesa in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione (art. 327 bis comma 2). Una rilevante novità, contenuta nell’art. 391 nonies, consiste nella legittimità dell’attività investigativa c.d. preventiva, vale a dire svolta per l’eventualità che si instauri un procedimento penale. In questo caso, la nomina del difensore deve essere effettuata mediante un mandato che rechi l’indicazione dei fatti cui si riferisce. E ciò vale tanto per l’imputato, che per la persona offesa.
Il difensore, oltre che personalmente, può svolgere investigazioni anche per mezzo di un sostituto processuale, tramite consulenti tecnici o investigatori privati autorizzati, a cui conferisce il relativo incarico. A tali soggetti si estendono le garanzie che l’art. 103 c.p.p. prevede per il difensore e il consulente tecnico.
Il titolo VI bis disciplina le attività di indagine tipiche. Tuttavia, non è esclusa la facoltà, insita nel diritto di difendersi provando, dello svolgimento anche di atti di investigazione atipici, quale un pedinamento, registrazione di colloqui in luoghi pubblici, conversazioni informali mediante telefono, e così via. Essi vengono generalmente posti in essere dagli investigatori privati autorizzati incaricati.