Carcere: luogo aperto al pubblico o privata dimora?

Ai fini della configurabilità del reato di oltraggio ex art. 341-bis c.p., la cella e – più in generale – il carcere è luogo aperto al pubblico e non di privata dimora: tali ambienti, infatti, si trovano nella piena e completa disponibilità dell’amministrazione penitenziaria, che ne può fare uso in ogni momento per qualsiasi esigenza di istituto; viceversa, non possono considerarsi nel “possesso” dei detenuti, ai quali non compete alcuno ius excludendi alios. Così la Cassazione sez. VI, con sent.  n. 26028/18, depositata lo scorso 7 giugno.

Centrale, nella definizione delle celle ed delle altre parti degli istituti penitenziari come luoghi aperti al pubblico, nella più risalente giurisprudenza di legittimità, è il rilievo che tutte le parti degli stabilimenti carcerari sono aperte ad una quantità indeterminata di persone, cioè a coloro che debbono esercitare la vigilanza sui detenuti stessi (cfr., in particolare, Sez. III, n. 2144 del 1979, Strambelli).

In linea generale, infatti, la giurisprudenza tende a ritenere che il luogo aperto al pubblico è anche quello al quale può accedere una specifica categoria di persone che abbia determinati requisiti; tale nozione è stata affermata, a titolo esemplificativo, anche con riguardo al reato di atti osceni in luogo pubblico, in relazione al pronto soccorso di un ospedale (Sez. III, n. 12988 del 03/12/2008, dep. 2009, Bruno); al gabinetto di radiologia di un ospedale pubblico, cui poteva accedere solo il personale infermieristico e medico (Sez. III, n. 8616 del 01/06/1983, Scope).

Tale nozione non può che essere ribadita nel caso di specie, avuto riguardo alla natura ed alla destinazione, giuridica e di fatto, dellistituto penitenziario poiché, anche se non aperto all’accessibilità non generalizzata e libera per tutte le persone che vogliano introdurvisi, ne è consentita la fruizione, anche se limitata, controllata e funzionalizzata ad esigenze non private, ad un numero indeterminato di soggetti, che hanno qualificato titolo di accedervi, senza legittima opposizione di chi sull’ambiente stesso eserciti un potere di fatto o di diritto.

Ai fini definitori non rileva l’ossimoro linguistico (luogo aperto/carcere) denunciato dalla difesa, né che i soggetti ristretti nell’istituto penitenziario siano soggetti determinati (e non chiunque); né, ancora, che i detenuti non vi accedano liberamente e di loro spontanea iniziativa, ma coattivamente, e per la soddisfazione di un interesse pubblico, quale quello del trattamento punitivo, e non di un interesse voluttuario – associato alla fruizione di un film, di una rappresentazione teatrale, di una mostra, di una celebrazione liturgica, ovvero per assolvere ad altre incombenze sociali e civili, se si pensa all’ospedale, alla scuola, ad una caserma – poiché ciò che rileva è che, nel rispetto dei criteri che regolano l’accesso e la permanenza, un numero indeterminato di soggetti si trovino a convivere nella struttura.

Conclusivamente, ciò che è essenziale, ai fini della qualificazione dell’ambiente come luogo aperto al pubblico, è la sua destinazione alla fruizione di un numero indeterminato di soggetti che abbiano la possibilità pratica o giuridica di accedervi, a condizioni poste, come, appunto, si verifica per i detenuti e per il personale di Polizia Penitenziaria nell’ambito dell’Istituto.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.