Cassazione sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11550

Cassazione sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11550. Data deposito: 09/03/2017-

APPELLO – ACCOGLIMENTO DELLA DOMANDA CAUTELARE IN RIFORMA DELLA DECISIONE DI RIGETTO DEL G.I.P. – ONERE DELLA C.D. MOTIVAZIONE RAFFORZATA – SUSSISTENZA – ESCLUSIONE – RAGIONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
E.E., nato il 25/09/1965 a Gela
avverso l’ordinanza del 28/09/2016 del Tribunale di Caltanissetta
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paolo
Canevelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 28/9/2016 il Tribunale di Caltanissetta, accogliendo parzialmente l’appello del P.M. avverso l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta in data 13/6/2016, ha disposto l’applicazione nei confronti di E.E., inteso E., la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di estorsione di cui ai capi 5 e 6 della contestazione provvisoria, commessi in danno del locale M. e del locale J., escludendo l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991 e respingendo l’appello del P.M. con riferimento al delitto di partecipazione ad associazione mafiosa ed alle restanti ipotesi di estorsione.

2. Ha proposto ricorso l’E. tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla sussistenza dei gravi indizi e mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di estorsione.
A fronte del giudizio di irrilevanza penale dei fatti, espresso dal G.I.P. anche con riguardo alle dichiarazioni dei gestori dei locali, il Tribunale ha fondato la propria valutazione su quelle dichiarazioni, rilevando l’imposizione del servizio di sicurezza, ma senza alcun vaglio critico sulle ragioni di non condivisibilità degli assunti del G.I.P. Inoltre il Tribunale ha valorizzato anche le dichiarazioni del collaboratore D.S., che al di là della successiva ritrattazione non aveva comunque parlato di un coinvolgimento del ricorrente: ma il Tribunale ha mostrato di ricondurre a quest’ultimo anche l’episodio di intimidazione riferito dal Di Stefano, senza considerare che ha rigettato la richiesta di misura per il delitto associativo e ha escluso l’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991.
L’illogicità del provvedimento è poi resa evidente dal fatto che vi si prospetta la gravità indiziaria anche a carico di Tosto, peraltro esclusa dallo stesso Tribunale nella separata ordinanza con cui nei confronti di quest’ultimo è stato rigettato l’appello del P.M. Non è dunque dato comprendere come sulla base del medesimo compendio indiziario sia stata rilevata la sussistenza di gravi indizi a carico del ricorrente, peraltro in assenza di riferimenti ai presupposti necessari per la configurazione del delitto di estorsione, costituiti dalla minaccia e dalla violenza, il che dà luogo a mancanza di motivazione, a fronte della diversa valutazione sul punto espressa dal G.I.P. in ordine all’esclusione di una imposizione minacciata.
Il Tribunale ha sostenuto che i gestori del M. avevano ammesso che il ricorrente si era imposto come addetto alla sicurezza. Ma i predetti avevano semmai parlato di atteggiamento spavaldo e non di imposizione con violenza o minaccia, come emergente anche dalla dichiarazione di T. riportata nel provvedimento e valorizzata dal G.I.P. in senso opposto.

Analogamente il Tribunale non ha considerato le parti delle dichiarazioni rese da G.e Giudice del J. da cui si evince l’insussistenza di indizi di colpevolezza, in ragione della ponderata scelta effettuata dai predetti, fermo restando che costoro hanno escluso di essere stati minacciati, come rilevato dal G.I. P. In tale prospettiva il Tribunale si è sottratto all’onere di fornire una motivazione rafforzata, necessaria anche in caso di riforma sfavorevole in materia di misure cautelari in assenza di mutamenti del materiale probatorio.
Il provvedimento impugnato è dunque il risultato di un vizio di metodo e di incompletezza, rilevante in questa sede, dovendo il Tribunale argomentare circa la configurabilità del diverso apprezzamento come l’unico possibile al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 292, comma 2, lett. c-bis, 121, 178, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., per omessa pronuncia su quanto dedotto nella memoria difensiva depositata in udienza. Il Tribunale aveva omesso di valutare quanto dedotto nella memoria difensiva, ciò che integra una causa di nullità, essendo stato impedito all’indagato di intervenire nel processo ricostruttivo e valutativo in ordine al  fatto-reato, con lesione del diritto di intervento e assistenza difensiva.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione dell’art. 292, comma 2, lett. c) in riferimento all’art. 274 cod. proc. pen., con omessa motivazione circa la sussistenza della concretezza e attualità del pericolo e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari.
Il Tribunale ha valorizzato la gravità del delitto, la personalità negativa e l’unico precedente penale per resistenza, assai risalente nel tempo. Ma la gravità del reato è di per sé irrilevante, mentre l’unico precedente è di natura diversa Inoltre non è stato specificato da quali elementi si trarrebbe il convincimento della negativa personalità. In realtà il giudizio è fondato su clausole di stile che hanno eluso l’analisi della concretezza e attualità del pericolo, richiesta dalla più recente giurisprudenza di legittimità.
Il Tribunale, in relazione all’epoca dei fatti, avrebbe dovuto tener conto della personalità dell’indagato desumibile dall’eventuale presenza di precedenti specifici e dalla condotta successiva ai reati contestati, senza limitarsi a formule di stile.

Ma in mancanza di elementi di valutazione ulteriori avrebbe dovuto escludere la concretezza e l’attualità delle esigenze cautelari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.
2. Non assume tranciante rilievo la censura sollevata con il secondo motivo, alla cui stregua dovrebbe ravvisarsi la nullità dell’ordinanza, in quanto il Tribunale non avrebbe tenuto conto della memoria difensiva depositata in sede di appello cautelare.
Va sul punto osservato che attraverso la memoria la parte interessata interviene nel processo ricostruttivo e valutativo, ponendo a carico del Giudice l’obbligo di confrontarsi con i relativi argomenti. Ciò peraltro non può tradursi in una causa di nullità del provvedimento per lesione del contraddittorio e del diritto di difesa ma può influire sulla congruità e sulla correttezza logico-giuridica della motivazione che definisce la fase o il grado nel cui ambito sono state espresse le ragioni difensive (Cass. Sez. 5, n. 4031 del 23/11/2015, dep. nel 2016, Graziano, rv. 267561; più di recente, nel quadro di una più ampia analisi, Cass. Sez. 6, n. 38757 del 22/6/2016, Alibani, rv. 268093).
In concreto dunque si tratta di verificare se e in che misura le deduzioni difensive possano dirsi ignorate, a fronte della loro rilevanza ai fini della decisione. In tale prospettiva si impone l’analisi del primo motivo, nel quale sono segnalati i vizi della motivazione, da valutarsi anche alla stregua degli argomenti che erano stati difensivamente dedotti.
3. Il primo motivo, incentrato sulla configurabilità di vizi della motivazione in merito alla gravità indiziaria, risulta in effetti fondato.
3.1. Deve al riguardo premettersi che nel caso di specie il Tribunale ha ribaltato le valutazioni formulate dal G.I.P., ravvisando, a seguito di appello del P.M., la gravità indiziaria a carico dell’E. con riferimento ai delitti di estorsione di cui ai capi 5) e 6) della contestazione provvisoria.
Peraltro il Tribunale ha confermato il giudizio del primo Giudice circa la mancanza di gravi indizi, con riguardo ad altre ipotesi di estorsione nonché con riferimento alla partecipazione a sodalizio criminale di tipo mafioso, e ha comunque escluso la configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991.
3.2. Ciò posto, deve escludersi che nel caso in cui con riguardo alla gravità indiziaria intervenga in sede di appello cautelare un ribaltamento in peius della valutazione operata dal G.I.P., possa prospettarsi una situazione corrispondente a quella ravvisabile in caso di assoluzione in primo grado, seguita da condanna in grado di appello.
Va infatti osservato che in sede di giudizio l’onere della motivazione c.d. rafforzata è da ricondursi al canone della certezza che è posto alla base di una condanna: ed invero già con la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, rv. 226093, era stato affermato che sul Giudice che riformi in grado di appello una precedente assoluzione grava l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio alternativo ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza.
D’altro canto, già prima della modifica dell’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., operata dalla legge 46 del 2006 che ha introdotto il canone «dell’oltre ogni ragionevole dubbio», le Sezioni Unite della Corte di cassazione (cfr. Cass. Sez. U. n. 30328 del 10/7/2002, Franzese, rv. 222139) avevano affermato che il criterio di giudizio non può essere diverso da quello poi formalmente consacrato (a tal fine si richiama anche la più recente Cass. Sez. U. n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, su tali specifici aspetti non nnassinnata). Ciò significa che l’onere della motivazione rafforzata è primariamente collegato al canone valutativo richiesto, per giungere all’affermazione della colpevolezza in termini di certezza.
D’altro canto sempre e soltanto ai fini del giudizio di merito sulla colpevolezza può rilevare il principio secondo cui è necessario procedere alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel caso in cui si deduca una valutazione di attendibilità di prove dichiarative decisive difforme da quella che aveva condotto il primo Giudice all’esito assolutorio (sul punto specificamente Cass. Sez. U. n. 27620 del 28/4/2016, Dasgupta, rv. 267489).
3.3. Per contro in sede cautelare il canone di giudizio è quello della gravità indiziaria.
Per quanto debba riconoscersi che la capacità rappresentativa del compendio indiziario deve corrispondere a quella che in sede di giudizio risulta idonea a suffragare la prova della colpevolezza, differenziandosene ontologicamente sotto il profilo della provvisorietà e della proiezione dinamica (in tal senso deve condividersi quanto affermato da Cass. Sez. 1, n. 13980 del 13/2/2015, Cilio, rv. 262300), non può tuttavia sottacersi che è diverso l’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza dell’indagato, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza dell’imputato (Cass. Sez. U. n. 36267 del 30/5/2006, Spennato, rv. 234598). Ne discende che il giudizio cautelare si risolve nell’individuazione di una piattaforma indiziaria di cui si rileva la prospettica idoneità rappresentativa, ciò che non può dirsi coincidente con la formulazione di un giudizio oltre ogni ragionevole dubbio, tale da corroborare la certezza della colpevolezza.
Si condivide dunque l’assunto che «la riforma sfavorevole all’indagato della decisione emessa dal GIP relativamente all’insussistenza dei gravi indizi di reato, non impone, diversamente da quanto richiesto nel giudizio di merito, la dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, della insostenibilità della soluzione adottata dal primo giudice, essendo sufficiente, ai fini dell’applicazione della misura cautelare, la gravità indiziaria, cioè un livello di verosimiglianza della responsabilità penale dell’indagato inferiore alla soglia del ragionevole dubbio» (Cass. Sez. 43146 del 28/6/2016, Battaglia, rv. 268370).
Ciò non significa peraltro che il primo giudizio debba reputarsi tamquam non esset: al contrario l’alternativa, difforme valutazione del giudice dell’appello cautelare non può comunque prescindere, in relazione al canone logico della completezza, dalla verifica, sia pur implicita, dei profili ricostruttivi e degli argomenti che abbiano condotto al giudizio liberatorio, in quanto siano direttamente interferenti con i presupposti della divergente valutazione, risolvendosi l’omissione in un vizio di motivazione, ove il tema risulti  specificamente dedotto attraverso l’indicazione del profilo neppure implicitamente valutato (solo in tali limiti può porsi un profilo di rafforzato onere di motivazione, che invece viene affermato in via generale, in assenza di nuovi elementi, da Cass. Sez. 1, n. 16029 del 27/1/2016, Mautone, rv. 266622).
3.4. Sta di fatto che sul punto della gravità indiziaria i rilievi formulati dal ricorrente pongono in luce rilevanti vizi della motivazione in ordine all’attribuzione di significato agli elementi indiziari valorizzati. Il Tribunale, dopo aver ripercorso il materiale probatorio, con riguardo ai fatti estorsivi di cui ai capi 5) e 6), inerenti all’imposizione del servizio di sicurezza presso i locali M. e J. ha fatto leva (pagg. 22 e segg.) sulle dichiarazioni del collaboratore D.S., nonché sulle dichiarazioni dei gestori dei due locali, nel primo caso S. e T., nel secondo caso G. e Giudice.
Ma in concreto il Tribunale non ha spiegato la ragione della rilevanza attribuita alle dichiarazioni del D.S., giacché, se costui aveva fatto riferimento a minacce e pressioni esercitate nei confronti del Sauna e del T., non aveva invece, per quanto esposto dallo stesso Tribunale, fatto menzione dell’E.
D’altro canto II Tribunale ha sottolineato che a detta dei gestori dei due locali l’E. si era spavaldamente imposto, ai fini dello svolgimento del servizio di sicurezza (come buttafuori), ma non ha in alcun modo chiarito in che cosa fosse consistita la condotta impositiva, non avendo in particolare precisato se la stessa fosse stata accompagnata almeno da minacce.
Va aggiunto che in un passo della sentenza (pag. 13) si richiama l’assunto del T. circa il fatto che era risaputo che l’E. agiva con altri e creava disordini nei locali se non era assecondato.
Ma in concreto si trattava di spiegare se l’E. si fosse procurato con  minacce un profitto ingiusto con altrui danno: deve allora convenirsi che il Tribunale non ha dato compiutamente conto del tipo di minacce cui il ricorrente avrebbe fatto in concreto ricorso nei confronti dei soggetti individuati come persone offese, a fronte del fatto che non sono state poste in luce minacce esplicite e che dunque si sarebbe dovuto far riferimento ad un complessivo atteggiamento inequivocamente minatorio, rivolto contro quei soggetti.
D’altro canto il ricorrente ha segnalato i passi delle dichiarazioni dei gestori che erano stati valorizzati dal primo Giudice per escludere la configurabilità di estorsioni, passi con i quali il Tribunale non si è confrontato, avendo dato rilievo al fatto che l’E. si fosse imposto come «buttafuori»: ma a ben guardare il Tribunale ha omesso di specificare a tal fine gli elementi dai quali si sarebbe dovuto ricavare che l’E. avesse condizionato le scelte dei suoi interlocutori, ingenerando in loro il timore di un male ingiusto, derivante almeno da una situazione ambientale strumentalmente creata e volutamente sfruttata, lacuna che assume tanto più rilievo in concomitanza con l’esclusione dell’aggravante di cui all’art. 7 legge 203 del 1991, incentrata sull’uso del metodo mafioso.
In realtà il Tribunale ha finito per prospettare una condotta sostanzialmente avulsa da un contesto organizzato e nel contempo ha tuttavia preteso di desumere l’effetto intimidatorio da atteggiamenti che in tanto avrebbero potuto assumere rilievo in quanto effettivamente e notoriamente strutturati. Di qui l’evidente inadeguatezza della motivazione al fine di suffragare la gravità indiziaria.
4. Parimenti viziata risulta la motivazione riguardante il tema delle esigenze cautelari e quello dell’adeguatezza della misura applicata.
4.1. Ed invero il Tribunale ha rilevato la gravità della condotta in ragione del fatto che il ricorrente si adoperava per il controllo di un settore lavorativo delicato, in spregio delle regole di settore, e ha inoltre posto in luce la negativa personalità risultante da un precedente per resistenza a pubblico ufficiale, rilevando infine che la condotta si era protratta per più anni fino al 2014. Ma è di tutta evidenza che in tal modo non è stata delineata l’effettiva concretezza ed attualità delle esigenze cautelari.

Ed invero il requisito dell’attualità, pur connesso a quello della concretezza, non si esaurisce in esso: al contrario è stato rilevato che la concretezza è essenzialmente riferita ad un dato personologico che segnala l’attitudine a delinquere del soggetto, destinata a protrarsi nel tempo, mentre l’attualità è correlabile alla sussistenza di occasioni prossime, nelle quali quell’attitudine possa ulteriormente esprimersi (in tal senso può richiamarsi Cass. Sez. U. n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, sul punto non massimata).
A tal fine non occorre considerare solo l’oggettiva esistenza delle occasioni ab extrinseco, ma deve valutarsi anche il contesto di vita attuale del soggetto, nel quale costui, proprio in ragione di quella capacità a delinquere, abbia la possibilità di ricercare o creare lui stesso quelle occasioni.
Sta di fatto che nel caso di specie la gravità del fatto è stata desunta da elementi sostanzialmente corrispondenti a quelli che delineano la tipicità della fattispecie ma senza l’inserimento di tale profilo in un giudizio di tipo personologico; la negativa personalità è stata ricavata da un precedente non specifico, del quale non sono stati tratteggiati gli elementi caratteristici; la non recente epoca dei fatti, rispetto al momento in cui è stata disposta la misura cautelare, non è stata debitamente vagliata ai fini della formulazione di un preciso giudizio circa la disponibilità da parte del ricorrente, a fronte di una  consolidata attitudine a delinquere, di occasioni prossime nelle quali egli potrebbe effettivamente ancora dispiegare quell’attitudine.
4.2. In ordine all’adeguatezza va altresì rimarcato che il Tribunale si è limitato ad affermare che misure più lievi implicano doti di autocontrollo, che nel caso in esame non possono riconoscersi: ma al di là del carattere apodittico di tale affermazione, è agevole rilevare che anche la misura degli arresti domiciliari esige pur sempre autocontrollo e che peraltro ai fini della prevenzione di ulteriori reati è necessario interrogarsi sul tipo di attitudine criminale che venga riconosciuta, anche in relazione alla natura delle condotte addebitate, così da modellare correlativamente il tipo di cautela.  Si tratta di valutazioni che non figurano nell’ordinanza impugnata.

5. Conclusivamente si impone l’annullamento dell’ordinanza in relazione sia al tema della gravità indiziaria sia a quello delle esigenze cautelari, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Caltanissetta.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta.
Così deciso il 15/2/2017

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.