Maltrattamenti in famiglia, per Strasburgo la risposta della giustizia italiana è troppo “lenta”

La Corte di Strasburgo, con sentenza 2 marzo 2017 Affaire Talpis c. Italie, ha condannato l’Italia per l’eccessiva lentezza con cui la giustizia italiana si è mossa, in relazione ad un reato di maltrattamenti in famiglia, perpetrati dal marito sulla moglie e sul figlio, cui è derivata l’uccisione del figlio diciannovenne ed i reati di lesioni e di tentato omicidio ai danni della moglie.

Il nostro ordinamento, com’è noto, prevede il delitto di maltrattamenti in famiglia  all’art. 572 c.p., che dispone la pena della reclusione da 2 a 6 anni per chi maltratta un familiare o convivente. La pena è aumentata fino a 15 anni se ne consegue una lesione gravissima o fino a 24 anni in caso di morte.

La condanna arrivata da Strasburgo non riguarda,tuttavia, la pena da irrogare dopo che il fatto è commesso, ma guarda ai poteri d’intervento dell’autorità prima che il fatto si consumi. La Corte ha affermato, infatti, che “non agendo prontamente in seguito a una denuncia di violenza domestica fatta dalla donna, le autorità italiane hanno privato la denuncia di qualsiasi effetto creando una situazione di impunità che ha contribuito al ripetersi di atti di violenza, che in fine hanno condotto al tentato omicidio della ricorrente e alla morte di suo figlio”.

Sarebbe, pertanto, opportuna una legge che consenta alle forze dell’ordine, su ordine dell’Autorità giudiziaria, di emanare provvedimenti preventivi e cautelativi, al fine di prevenire questi fatti, anziché intervenire solo a seguito della morte o della lesione delle vittime, con il lento incardinarsi di un procedimento che nelle more consenta al familiare violento di innescare una spirale di atti di violenza in successione crescente, esponendo spesso gli altri familiari a conseguenze molto gravi.

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Fonti:

  • Violenza domestica: la CEDU condanna L’Italia http://www.altalex.com/documents/news/2017/03/02/violenza-domestica-la-cedu-condanna-italia.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.