Concorso apparente di norme e principio di specialità (art. 15 c.p.)

concorso apparente

Ricorre il fenomeno del concorso apparente di norme quando più norme sembrano apparentemente disciplinare il medesimo fatto, ma al caso concreto ne deve essere applicata una soltanto per non incorrere nel fenomeno della violazione del ne bis in idem sostanziale.

Il concorso apparente di norme va tenuto ben distinto dal contiguo, ma diverso istituto del concorso formale di reati (art. 81 c.p.). Mentre nel concorso apparente di norme la pluralità di norme incriminatrici è, appunto, solo apparente, essendo unica la norma concretamente applicabile; nel concorso effettivo di reati, alla pluralità delle norme incriminatrici violate corrisponde anche la pluralità dei reati, ancorché posti in essere con un’unica azione od omissione.

Tale distinzione lungi dall’essere meramente accademica, rileva ai fini delle conseguenze giuridiche che ne derivano : se opera il concorso apparente di norma, si applica esclusivamente una disposizione di legge; se opera il concorso formale di reati, il reo risponderà per tutti i reati ad egli ascrivibili, sebbene il rigore sanzionatorio risulterà temprato dall’applicazione dell’istituto del cumulo giuridico.

Il primo punto di riferimento , ai fini dell’identificazione del concorso apparente e della relativa distinzione dal concorso di reati, si rinviene nell’art. 15 c.p., a tenore del quale “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito”.

Viene pertanto ravvisato nella specialità il criterio da applicare nel delimitare l’ambito riservato al fenomeno del concorso apparente di norme.

In ordine all’individuazione dei criteri alla stregua dei quali verificare la natura apparente o meno del concorso di norme, si registrano due teorie:

  • Secondo la teoria monistica vige il solo criterio di cui all’art. 15 c.p., quale unica disposizione enunciata espressamente dal legislatore;
  • Secondo la teoria pluralistica – rigettata dalla giurisprudenza prevalente, e avallata dalla dottrina – è necessario far affidamento anche su ulteriori criteri che, fondati su un apprezzamento di valore del fatto concreto, anziché esclusivamente su un raffronto strutturale tra norme di tipo astratto, sia idoneo a soddisfare ragioni equitative e di giustizia sostanziale, che impongono di valutare il fatto concreto nel suo complessivo significato di disvalore penale. In particolare i criteri così elaborati in dottrina sono quelli di sussidiarietà e di assorbimento o consunzione.

La teoria pluralistica è ripudiata dalla dominante giurisprudenza, secondo cui i criteri di assorbimento e sussidiarietà sarebbero privi di fondamento normativo, così ponendosi in contrasto con il principio di legalità, determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere l’applicazione di una norma penale da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice. Pertanto, la necessità del rigoroso rispetto del principio di legalità impone l’adesione alla tesi monistica e l’esclusiva applicazione del criterio di cui all’art. 15 c.p. per risolvere il fenomeno giuridico del concorso apparente di norme (v. Cass. Pen., Sez. Un., 20 dicembre 2005, n. 47164).

Il rapporto di specialità ex art. 15 c.p.

Volendo adesso fornire una definizione del rapporto di specialità cui si riferisce l’art. 15 c.p., si ritiene che esso individui la relazione, di genere a specie, che ricorre a livello strutturale tra due disposizioni di legge diverse.

Più in particolare, la specialità sussiste allorchè una norma (speciale) contiene tutti gli elementi costitutivi di un’altra norma (generale) con l’aggiunta di un o più elementi ulteriori (c.d. specializzanti) , sul presupposto indefettibile che entrambe regolino la stessa materia.

Quanto alla nozione di “stessa materia”, una tesi più risalente faceva sostanzialmente coincidere tale nozione con quella di bene giuridico. Si obiettò tuttavia come si può avere identità di bene tutelato tra fattispecie del tutto diverse (es. furto e truffa) e diversità di interesse tutelato tra norme in evidente rapporto di specialità (es. ingiuria che offende l’onore, e oltraggio al giudice in udienza che offende il prestigio della P.A.).

La giurisprudenza più recente ha pertanto optato per la diversa soluzione secondo cui il concetto di stessa materia vada inteso come “medesima situazione di fatto” (v. sul punto Cass. Pen., Sez. Un., 27 aprile 2007, n. 16568).

La specialità, inoltre, può essere intesa secondo due diverse accezioni:

  • in astratto, che presuppone il rapporto strutturale (di genere a specie) tra le fattispecie astratte;
  • ed in concreto, che presuppone che il fatto concreto possa essere sussunto sotto due diverse norme, che pure in astratto non versano in una relazione di specialità.

La specialità cui si riferisce l’art. 15 c.p. è chiaramente una specialità in astratto, essendo imprescindibile un rapporto strutturale di continenza tra le norme affinchè una possa dirsi speciale rispetto all’altra.

Quanto invece alle modalità con cui la specialità può atteggiarsi, di distingue tra:

  • specialità per aggiunta, quando una norma presenta rispetto all’altra un elemento specializzante aggiuntivo rispetto agli elementi costitutivi contenuti nell’altra;
  • specialità per specificazione, quando una norma presenta rispetto all’altra elementi specializzati specificativi di corrispondenti elementi già contenuti nella norma generale (es. violenza sessuale rispetto a violenza privata).

La specialità, ancora, si dice unilaterale, nei casi una norma è speciale rispetto ad un’altra generale, sicchè quest’ultima è interamente ricompresa anche nella norma speciale; bilaterale o reciproca, allorchè entrambe le norme hanno l’una rispetto all’altra elementi reciprocamente specializzanti.

Nei casi di specialità reciproca è evidente che per poter stabilire quale norma vada in concreto applicata non si possa far riferimento al criterio di cui all’art. 15 c.p. Proprio in relazione a casi di questo tipo, la dottrina ha infatti suggerito il ricorso ai criteri di sussidiarietà e di assorbimento per risolvere il concorso.

Tale orientamento volto a riconoscere un concorso apparente anche nei casi di specialità bilaterale è tuttavia minoritario in dottrina e ripudiato in giurisprudenza. Secondo l’orientamento maggioritario infatti, in tali ipotesi si è al di fuori dell’ambito di operativa del criterio di specialità. Non essendo possibile determinare quale norma sia speciale rispetto all’altra, non si registrerebbe infatti un fenomeno di concorso apparente, ma di concorso di reati.

 

I principi di sussidiarietà e di assorbimento .

Venendo adesso a illustrare i criteri elaborati dalla dottrina aderente alla teoria pluralistica, in forza del principio di sussidiarietà la legge primaria deroga alla legge sussidiaria ( lex primaria derogat legi subsidiariae). Tale principio verrebbe in rilievo ogniqualvolta tra le fattispecie astratte sia ravvisabile un rapporto di complementarietà, che ricorre quando la norma sussidiaria risulti applicabile nei soli casi in cui non sia applicabile la norma primaria. Tale rapporto è ravvisabile quando le norme tutelino un medesimo bene giuridico in stadi diversi di aggressione.

Al fine di stabilire quale norma vada applicata si impone quindi un giudizio valutativo del fatto che individui quale norma sia oggettivamente idonea ad esaurire l’intero disvalore del fatto; in subordine si adotterà il criterio che guarda al trattamento sanzionatorio più severo, considerato sicuro indice di un giudizio di maggior riprovevolezza del fatto incriminato.

Tale principio talune volte è espressamente rilevabile nel testo di una disposizione di legge per mezzo di un’apposita clausola di riserva (sussidiarietà espressa). In altri casi, si parla invece di sussidiarietà tacita, quando essa sia desumibile in via interpretativa.

Il principio di sussidiarietà ha talvolta trovato applicazione in alcune pronunce giurisprudenziali, come in quella che ha avuto ad oggetto il concorso apparente tra il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316-ter c.p. e quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche  ex art. 640-bis c.p. ( v. Cass. Pen., Sez. Un., 27 aprile n. 2007, n. 16568 : …i delitti di cui agli articoli 316-ter e 640-bis cod. pen. sono in rapporto di sussidiarietà, e non di spe­cialità, ricorrendo quest’ultimo solo quando difettino gli estremi della truffa, come nel caso di situazioni caratterizzate dal mero silenzio antidoveroso o del­le condotte che non inducano effettivamente in errore l’autore della disposizio­ne patrimoniale).

Secondo il principio di assorbimento o consunzione invece, una norma (consumante) assorbe l’altra (consumata) quando comprende il fatto previsto dalla norma consumata, esaurendo l’intero disvalore del caso concreto; nel senso che la commissione di essa comporta, secondo l’id quod plerumque accidit, la necessaria integrazione anche della seconda, che dovrebbe di conseguenza ritenersi assorbita nella prima.

Anche qui, dunque, occorre procedere a un giudizio sul disvalore complessivo del fatto concreto, fondandosi il rapporto di consunzione non su di un rapporto di tipo strutturale, ma su di un rapporto di valore. La norma consumante andrebbe pertanto individuata in quella che prevede il trattamento sanzionatorio più severo o che preveda la tutela del bene di rango più elevato.

Si registra una sporadica applicazione del principio in parola da parte della giurisprudenza. Si rammenta al riguardo la seguente casistica: il reato di truffa  ex art. 640 c.p. ritenuto assorbito in quello di millantato credito  di cui all’art. 346, co. 2, c.p. (cfr. Cass. Pen., Sezione VI, 12 settembre 2006, n. 30150); il reato di incendio  ex art. 423 c.p. ritenuto consunto in quello di crollo di costruzioni o altri disastri dolosi  ex art. 434, co. 2, c.p. (cfr. Cass. Pen., 2 marzo 2006, n. 7629); il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù  ex art. 600 c.p., ricomprendente quello di maltrattamenti in famiglia art. 572 c.p.(cfr. Cass. Pen., Sezione VI, 17 gennaio 2007, n. 1090; Cass. Pen., Sezione V, 28 novembre 2008, n. 44516).

Concorso tra norme penali e norme amministrative.

Le ipotesi di concorso tra una norma penale ed una amministrativa (o che prevede una sanzione amministrativa) sono disciplinate dall’art. 9 co. 1 l. 689/1981,  secondo il quale se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa si applica la disposizione speciale.

La formulazione dell’art. 9 rispetto a quella dell’art. 15 c.p. si differenzia laddove invece di parlare di “stessa materia”, parla di “stesso fatto”. Nonostante alcuni abbiano ravvisato nel tenore letterale della norma lo spazio per ipotizzare l’utilizzo del principio di specialità in concreto, la giurisprudenza ha con fermezza affermato che anche in tale tipologia di concorso apparente tra norme il confronto debba avvenire a livello strutturale tra fattispecie tipiche astratte.

Sul punto, a titolo esemplificativo, può rinviarsi a una pronuncia degna di interesse emessa a dalla S. C. di Cassazione (sent. n. 1963/2011), nella quale si è ritenuto che la contravvenzione amministrativa di cui all’art. 213, co. 4, c.d.s., che punisce l’abusiva circolazione di veicolo sottoposto a sequestro amministrativo, abbia carattere speciale rispetto al reato di cui all’art. 334 c.p.

In particolare, la Corte ha ritenuto che nel caso di specie ricorra un caso di specialità unilaterale per specificazione: «Tutti gli elementi specializzanti qualificanti l’illecito sono contenuti nell’art. 213 c.d.s.: la circolazione abusiva e la natura amministrativa del sequestro. Si tratta di elementi specializzanti per specificazione perché entrambi sono già ricompresi nella fattispecie tipica dell’art. 334 c.p. e non si aggiungono al fatto descritto nella norma codicistica. Se la sottrazione si realizza anche con la sola amotio del veicolo questa condotta è prevista dalla norma del codice penale che, sotto il diverso profilo indicato, prevede espressamente anche il sequestro disposto dall’autorità amministrativa ». La Corte ha inoltre – discutibilmente – affermato: «c’è però, nell’art. 213, un ulteriore elemento specializzante: la circostanza che la violazione amministrativa possa essere commessa da ‘chiunque’ e questo elemento può essere ritenuto specializzante ‘per aggiunta’ (l’illecito può essere commesso – in aggiunta ai soggetti indicati nell’art. 334 c.p. – anche da persone che non hanno quelle qualità)».

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.