Corruzione in atti giudiziari, art. 319 ter c.p.

Il delitto di corruzione in atti giudiziari è p. e p. dall’art. 319 ter c.p., con queste parole:

“Se i fatti indicati negli articoli 318 e 319 sono commessi per favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale o amministrativo, si applica la pena della reclusione da tre a otto anni.

Se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a cinque anni, la pena è della reclusione da quattro a dodici anni; se deriva l’ingiusta condanna alla reclusione superiore a cinque anni o all’ergastolo, la pena è della reclusione da sei a venti anni”.

Il reato di corruzione in atti giudiziari si integra quando un atto corruttivo di quelli previsti dagli articoli 318 e 319  c.p. viene compiuto nell’ambito di un processo, per favorire o danneggiare una parte.

La norma in esame, secondo la giurisprudenza, configura una autonoma figura di reato, e non una semplice circostanza aggravante ad effetto speciale, sottraendosi dunque la fattispecie dal giudizio di bilanciamento delle circostanze ex art. 69.

Il bene giuridico tutelato è l’imparzialità dei giudici ed il corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie. Il processo può indistintamente essere civile, penale o amministrativo. L’indicazione in merito ai processi è tassativa, quindi non vi rientrano quelli disciplinari.

Della corruzione così commessa rispondono sia il funzionario pubblico corrotto, sia il privato corruttore.

Questi sono i soggetti che possono commettere il reato di corruzione in atti giudiziari e che dunque possono essere soggetti all’applicazione delle relative pene:

  • il privato corruttore;
  • i pubblici ufficiali, tra i quali rientrano: il Giudice, l’imputato, l’indagato, il pubblico ministero, l’ufficiale giudiziario, il consulente tecnico d’ufficio, il perito di causa;
  • il testimone che dichiara il falso.

Ai fini della punibilità è richiesto il dolo “specifico”, consistente nella volontà specifica di danneggiare o favorire una parte in un processo.

Il tentativo è configurabile, e si può realizzare – ad esempio – quando un soggetto faccia un’offerta ad un consulente tecnico d’ufficio, per fargli dichiarare il falso nella consulenza, e quest’ultimo non accetti l’offerta.

Nel delitto in esame si sanziona sia la “corruzione antecedente” sia la “corruzione susseguente”, atteso il rinvio operato dalla norma agli artt. 318 e 319 c.p.  Si punisce poi sia il compimento di un atto d’ufficio, sia il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio, nonché il fatto di aver ritardato il compimento od omesso il compimento di un atto. Si ritiene che il delitto di corruzione in atti giudiziari non possa essere commesso dall’incaricato di pubblico servizio.

Infine, non è necessario l’effettivo conseguimento del risultato, essendovi una anticipazione della tutela penale e quindi a prescindere da un evento. Per contro, il secondo comma punisce ancor più gravemente il colpevole qualora, come sito della corruzione in atti giudiziari, derivi una condanna alla pena della reclusione.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.