Il delitto di Arresto illegale ex art. 606 codice penale

L’art. 606 codice penale – rubr. “Arresto illegale” – punisce con la reclusione fino a 3 anni il pubblico ufficiale che procede ad un arresto, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni.

Il delitto in parola è stato previsto dal Legislatore al fine di tutelare non solo il bene della libertà personale dei singoli, ma anche l’interesse della Pubblica Amministrazione ad uno svolgimento corretto delle proprie funzioni.

Trattasi di un reato proprio, posto che il soggetto attivo del delitto di arresto illegale è da identificarsi solo ed esclusivamente in colui che riveste la qualità di pubblico ufficiale.

Quanto all’elemento oggettivo, l’articolo 606 c.p. punisce il mancato rispetto, da parte del pubblico ufficiale, della riserva di legge in tema di arresto. Inoltre tale delitto, così come quello di perquisizione arbitraria (art. 609 c.p.), richiede per la sua configurazione l’abuso di potere, rientrando tra le ipotesi di di reato ad illiceità o antigiuridicità speciale.

Di conseguenza, l’abuso o l’arbitrarietà dell’atto compiuto, oltre ad essere parte integrante del fatto di reato, condiziona anche la sussistenza del dolo, che consiste nella coscienza e volontà dell’abuso delle proprie funzioni.

Il delitto di sequestro di persona consumato da un pubblico ufficiale con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni e quello di arresto illegale hanno in comune l’elemento materiale (privazione della libertà), ma si differenziano per l’elemento soggettivo che nel primo caso richiede la volontà dell’agente di tenere la persona offesa nella sfera del suo privato dominio e, nel secondo, quella di metterla, sia pure illegalmente, a disposizione dell’autorità competente.

Il reato si consuma nel momento in cui si realizza la lesione della libertà personale altrui, mentre, se si realizza solamente un’esposizione al pericolo della lesione di tale bene giuridico, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel configurare tale prospettiva nell’ottica del delitto tentato.Si tratta di reato permanente in quanto presuppone il protrarsi della condotta antigiuridica per un ragionevole lasso temporale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.