Articolo 628 cp: il delitto di rapina

Commette il delitto di rapina, “chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene” (articolo 628 comma 1 c.p.) ovvero “chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità” (art. 628 comma 2 c.p.).

L’art. 628 tutela sia l’interesse patrimoniale leso dalla sottrazione altrui, sia quello della sicurezza e libertà individuale individuale della persona offesa. La rapina si differenzia infatti dal delitto di furto, proprio in ragione dell’elemento della violenza o della minaccia rivolte non alla res, ma alla persona.

Soggetto attivo del reato può essere chiunque, anche il proprietario della cosa che si reimpossessi in maniera violenta del bene a scapito di chi ne sia in possesso/detenzione in virtù di un titolo reale o obbligatorio. La violenza o la minaccia richieste peraltro possono indirizzarsi anche a persona diversa rispetto a colui che detiene la cosa. In queste ipotesi, si individuerebbero due soggetti passivi.

Trattasi di reato complesso, in cui la condotta tipica del furto si accompagna alla violenza o alla minaccia, al fine di appropriarsi della cosa o di assicurarsi l’impunità in seguito alla sottrazione.

Su quest’ultimo punto, deve infatti rilevarsi come sotto il titolo generico di rapina, la norma distingua due diverse figure criminose: la rapina “propria” (di cui al comma 1), in cui la sottrazione si realizza per mezzo della violenza o della minaccia, e quella “impropria” (di cui al comma 2), in cui, dopo la sottrazione, l’agente utilizza la violenza o la minaccia per assicurare a se stesso o ad altri soggetti il potere di fatto sulla cosa sottratta o l’impunità dal reato commesso.

In entrambe le fattispecie, la violenza e la minaccia rappresentano, rispettivamente, il mezzo, precedente o concomitante, all’impossessamento, attraverso cui si realizza l’offesa al patrimonio, e lo strumento per assicurare all’agente il possesso della cosa sottratta o, in alternativa, l’impunità (Cass. n. 42374/2012).

Non è necessario che la violenza abbia un’intensità tale da provocare lesioni, potendo consistere anche in una mera spinta, in uno schiaffo, in un divincolarsi o in uno strattone ed essere realizzata con qualsiasi mezzo atto allo scopo (anche meccanico, come un’automobile, per sua natura non destinato all’offesa) e persino tramite attività insidiose che riducano le capacità di volere e di agire del soggetto (ad es. narcotizzazione, ipnosi, ecc.).

Quanto alla minaccia, essa deve consistere in qualsiasi comportamento deciso, univoco e perentorio dell’agente che sia astrattamente in grado di incutere timore ed esercitare una coazione sulla persona, producendo “l’effetto di turbare o diminuire la libertà psichica e morale del soggetto passivo”  (Cass. n. 46118/2009).

La rapina propria si consuma con l’impossessamento della cosa, ovvero nel momento in cui la res è sottratta al dominio di chi la detiene, anche se per un breve lasso di tempo. È configurabile il tentativo, allorquando, pur esercitando violenza o minaccia, il soggetto agente non riesca ad impossessarsi della cosa mobile altrui, purchè non vi siano incertezze sull’univocità della condotta.

La rapina impropria, invece, si consuma nel momento in cui, ultimata la sottrazione, il soggetto agente impiega la violenza o la minaccia al fine di mantenere, per sé o per altri, l’autonomo potere di fatto sulla res, o assicurare a sé o ad altri l’impunità. Anche nella rapina impropria, per la prevalente giurisprudenza, è configurabile il tentativo, nel caso in cui il soggetto agente “dopo aver compiuto atti idonei all’impossessamento della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità” (cfr., ex multis, Cass. n. 34952/2012)).

Dal punto di vista soggettivo è richiesto il dolo specifico, ossia la coscienza e la volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene mediante l’uso della violenza o della minaccia, al fine di trarne, per sé o per altri, un ingiusto profitto.

Circostanze aggravanti della rapina

L’art. 628 c.p. al 3° comma prevede diverse circostanze aggravanti speciali. La rapina è aggravata (n.1), quando la violenza o la minaccia sono commesse:

– con armi (qualsiasi strumento, anche improprio, in grado di arrecare offesa alla persona e finanche una pistola giocattolo, priva del richiesto tappo rosso o del dispositivo di identificazione, purchè abbia l’apparenza esteriore di un’arma tale da ingenerare equivoco; v. Cass. n. 43880 /2015);

– da persona travisata;

– da più persone riunite (circostanza da non confondere con il concorso di persone nel reato, che richiede la simultanea presenza nel luogo e nel momento del fatto ed è integrata anche dalla presenza di due persone.

La seconda circostanza aggravante, prevista al n. 2 del comma 3 dell’art. 628 c.p., si ravvisa quando la violenza “consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire”, ovvero quando, per il tempo necessario alla consumazione del reato, il soggetto passivo viene posto in uno stato tale da non poter manifestare una volontà contraria (ad es. somministrazione di narcotici, stupefacenti, ipnotizzazione, ecc.) o da non potersi difendere, né allontanarsi o richiedere aiuto (ad es. immobilizzazione, imbavagliamento, ecc.).

Il n. 3 del delinea quale terza circostanza aggravante la violenza o la minaccia poste in essere “da persona che fa parte dell’associazione di cui all’art. 416-bis”. A tal fine è sufficiente la sola appartenenza del soggetto agente ad un’associazione di tipo mafioso, mentre non è richiesto che lo stesso sfrutti siffatta qualità.

La L. n. 94/2009 (c.d. “pacchetto sicurezza”) ha introdotto tre nuove circostanze aggravanti, aggiungendo i nn. 3-bis, 3-ter e 3-quater al comma tre dell’art. 628 c.p, che sono ravvisabili quando il fatto è commesso:

– nei luoghi di cui all’art. 624-bis c.p. o in luoghi “tali da ostacolare la pubblica o privata difesa”;

– all’interno di mezzi di pubblico trasporto;

– nei confronti di persona che sia nell’atto di fruire o abbia già usufruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro.

Da ultimo, invece, il d.l. n. 93/2013 (convertito dalla l. n. 119/2013) ha introdotto inoltre al comma 3, il numero 3-quinquies, secondo il quale costituisce aggravante del delitto de quo anche il fatto commesso “nei confronti di persona ultrasessantacinquenne”.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.