Dolo eventuale, il distinguo dalla colpa cosciente ed il paradigma indiziario (Sezioni Unite, sentenza Thyssenkrupp, 24 aprile – 18 settembre 2014, n. 38343).

«Se la irragionevolezza del convincimento prognostico dell’agente circa la non verificazione dell’evento comporti la qualificazione giuridica dell’elemento psicologico del delitto in termini di dolo eventuale».

Al termine dell’udienza del 24 aprile 2014 la Corte di Cassazione aveva pubblicato la seguente informazione provvisoria:

«In ossequio al principio di colpevolezza la linea di confine tra dolo eventuale e colpa cosciente va individuata considerando e valorizzando la diversa natura dei rimproveri giuridici che fondano la attribuzione soggettiva del fatto di reato nelle due fattispecie.

  • Nella colpa si è in presenza del malgoverno di un rischio, della mancata adozione di cautele doverose idonee a evitare le conseguenze pregiudizievoli che caratterizzano l’illecito. Il rimprovero è di inadeguatezza rispetto al dovere precauzionale anche quando la condotta illecita sia connotata da irragionevolezza, spregiudicatezza, disinteresse o altro motivo censurabile. In tale figura manca la direzione della volontà verso l’evento, anche quando è prevista la possibilità che esso si compia (colpa cosciente).
  • Nel dolo si è in presenza di organizzazione della condotta che coinvolge, non solo sul piano rappresentativo, ma anche volitivo la verificazione del fatto di reato. In particolare, nel dolo eventuale, che costituisce la figura di margine della fattispecie dolosa, un atteggiamento interiore assimilabile alla volizione dell’evento e quindi rimproverabile, si configura solo se l’agente prevede chiaramente la concreta, significativa possibilità di verificazione dell’evento e, ciò non ostante, si determina ad agire, aderendo a esso, per il caso in cui si verifichi. Occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di eventoche si è verificata nella fattispecie concreta. A tal fine è richiesto al giudice di cogliere e valutare analiticamente le caratteristiche della fattispecie, le peculiarità del fatto, lo sviluppo della condotta illecita al fine di ricostruire l’iter e l’esito del processo decisionale».

Il 18 settembre 2014 sono state depositate le motivazioni.

Si riporta di seguito un estratto dal testo della sentenza.

(…)Un dato testuale desunto dall’art. 43 cod. pen. è sicuramente decisivo per discernere tra dolo e colpa:l’essere o non essere della volontà. Noi non sappiamo esattamente cosa sia la volontà: la psicologia e le neuroscienze hanno fino ad ora ha fornito informazioni e valutazioni incerte, discusse, allusive. Tuttavia, la comune esperienza interiore ci indica in modo sicuro che nella nostra vita quotidiana sviluppiamo continuamente processi decisionali, spesso essenziali per la soluzione di cruciali contingenze esistenziali: il pensiero elaborante, motivato da un obiettivo, che si risolve in intenzione, volontà.

Sappiamo pure che tali processi hanno un andamento assai variabile: a volte brevi ed impulsivi; a volte lunghi, complessi, segnati dalla ponderazione di diversi elementi spesso di segno opposto, di informazioni di vario genere. Tale andamento culmina in un ineffabile momento decisorio in cui ci si determina ad agire o meno in vista di un determinato conseguimento. L’esperienza interiore ci insegna inoltre che i fattori di tale processo sono eterogenei, multiformi, alcuni maggiormente connotati in chiave emotiva, altri frutto di analisi razionale.

Tale andamento si conclama nel dolo intenzionale, diretto verso uno scopo. Qui solitamente la condotta mostra la volontà finalistica senza incertezze e nessuna speciale indagine è richiesta. Diversa la situazione nel dolo diretto: il momento cognitivo in ordine agli elementi di fattispecie ed alle conseguenze del proprio agire è talmente netto che dal solo fatto di tenere una certa condotta sulla base di alcune informazioni sullo sviluppo degli accadimenti si inferisce, normalmente, una determinazione nel senso dell’offesa del bene giuridico protetto. Come si vede, si è in presenza di una sfera dell’agire umano dominata dalla rappresentazione. Il dolo, id est la volontà, è documentato dalla conoscenza delle conseguenze, dalla rappresentazione appunto. Si delinea così una figura giuridica distinta dal punto di vista strutturale, cui correttamente dottrina e giurisprudenza hanno riconosciuto, con sforzo analitico, una identità propria.

Assai più complessa ed oscura è la contingenza che si designa come dolo eventuale, caratterizzata, come si è visto dall’accettazione delle possibili conseguenze collaterali, accessorie delle proprie condotte. Qui il momento rappresentativo riguarda un evento dal coefficiente probabilistico non tanto significativo da risolvere il dubbio sull’essere o meno dell’atteggiamento doloso.

Nè vi sono segni tangibili, significativi, che consentano di inferire subitaneamente e chiaramente la direzione della volontà, l’andamento del processo decisionale, l’atteggiamento psichico rispetto all’evento illecito non direttamente voluto ma costituente conseguenza concretamente possibile della propria condotta. Tale evento collaterale non è propriamente oggetto di volizione. Il quadro è senza dubbio aperto all’incertezza e richiede di definire quale sia, in tali contingenze, l’atteggiamento psichico rispetto all’evento collaterale che possa essere considerato equivalente della volontà, ad essa assimilabile; in modo che, come è stato suggestivamente suggerito, si riveli una diversa declinaziorie del concetto di volontà entro un unitario nucleo di senso capace di conservare a ciascuna delle configurazioni del dolo un “analogo concetto di volontà”.

Il dolo eventuale deve dunque essere configurato in guisa tale che possa esser letto sensatamente e senza forzature come una forma di colpevolezza dolosa; in ossequio al fondante principio di legalità.

Dolo e colpa sono forme di colpevolezza radicalmente diverse, per certi versi antitetiche. Alla luce di tale diversità va pure letta la distinzione di cui si discute. Si vuol dire che le due figure, il dolo eventuale e colpa cosciente, appartengono a due distinti universi e da tale radicale diversità delle categorie al cui interno si collocano traggono gli elementi che le caratterizzano e le distinguono. Tanto per chiarire subito ciò che si intende dire e sottrarre la disamina ai fumi dell’astrattezza: la struttura della previsione è diversa; diverso è l’evento; diverso è lo scenario dell’agire umano; diverso infine è l’animus.

(…) Risulta del tutto chiaro a questo punto che la dottrina e la giurisprudenza che valorizzano la rilevanza della volontà e della sua ricerca anche nell’ambito della figura di cui si discute colgono nel segno; e che il momento dell’accertamento, pur essendo analiticamente distinto dalla struttura e dall’oggetto della fattispecie, tende a compenetrarvisi e ad assumere un ruolo in concreto cruciale. Si vuol dire che tutto ciò che si è sin qui esposto risulterebbe una pura esercitazione verbale se non si riuscisse a dire chiaramente cosa esattamente sia l’evocato atteggiamento psichico e come esso possa essere accertato.

Muovendosi nella sfera interiore è chiaro che entra in campo il paradigma indiziario. In breve si cercano sulla scena i segni dai quali inferire la sicura accettazione degli effetti collaterali della propria condotta. Sovviene a tale riguardo quanto sin qui esposto sui processi decisionali, nei quali agiscono diversi fattori emotivi e razionali. Si tratterà, nei limiti del possibile, di tentare di spiegare l’accaduto, di ricostruire l’iter decisionale, di intendere i motivi che vi hanno agito, di cogliere, insomma, perchè ci si è determinati in una direzione. Occorrerà comprendere se l’agente si sia lucidamente raffigurata la realistica prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto costituente effetto collaterale della sua condotta, si sia per così dire confrontato con esso e infine, dopo aver tutto soppesato, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia consapevolmente determinato ad agire comunque, ad accettare l’eventualità della causazione dell’offesa.

Naturalmente, tale ordine di idee può essere espresso in molti, sfumati modi e le teorie volontaristiche di cui si è sopra dato conto, al fondo, non differiscono molto tra loro se guardate con l’occhio della giurisprudenza, attenta più alle questioni di fondo che alle pur sapienti ed accurate varianti stilistiche. Ciò che è di decisivo rilievo è che si faccia riferimento ad un reale atteggiamento psichico che, sulla base di una chiara visione delle cose e delle prospettive della propria condotta, esprima una scelta razionale; e, soprattutto, che esso sia rapportato allo specifico evento lesivo ed implichi ponderata, consapevole adesione ad esso, per il caso che abbia a realizzarsi.

Non rilevano invece, in quanto tali, gli atteggiamenti della sfera emotiva, gli stati d’animo. L’ottimismo ed il pessimismo, la speranza, naturalmente, non hanno un ruolo significativo nell’indagine sull’atteggiamento interno in rapporto alla direzione della condotta verso l’offesa del bene giuridico. Risulta però spesso interessante comprendere le ragioni che hanno determinato la speranza o altro atteggiamento emotivo. E dunque non può neppure dirsi che la considerazione della sfera emotiva sia del tutto estranea al nostro tema. Di ciò ci si occuperà nel prosieguo.

Lo stesso stato di dubbio irrisolto, conviene ripeterlo, non risolve il problema del dolo eventuale: indica un indizio, ma è pur sempre necessario dimostrare che lo stato d’incertezza sia accompagnato dalla già evocata, positiva adesione all’evento; dalla scelta di agire a costo di ledere l’interesse protetto dalla legge.

Ciò che è di decisivo rilievo è che nella scelta d’azione sia ravvisabile una consapevole presa di posizione di adesione all’evento, che consenta di scorgervi un atteggiamento ragionevolmente assimilabile alla volontà, sebbene da essa distinto: una volontà indiretta o per analogia, si potrebbe dire. In questo risiede propriamente la rimproverabilità, la colpevolezza dell’atteggiamento interno che si denomina dolo eventuale.

  1. Gli indizi o indicatori del dolo eventuale.

Come si è visto, dovendosi indagare la sfera interiore, l’indagine sul dolo eventuale si colloca sul piano indiziario. Va subito aggiunto, però, che tali indizi o indicatori non incarnano la colpevolezza, ma servono a ricostruire il processo decisionale ed i suoi motivi e particolarmente il suo culmine che, come si è visto, si realizza con l’adozione di una condotta che si basa sulla nitida, ponderata consapevolezza della concreta prospettiva dell’evento collaterale; e si traduce in adesione a tale eventualità, quale prezzo o contropartita accettabile in relazione alle finalità primarie. Gli indizi, insomma, sono al servizio del giudizio che si risolve nel peculiare rimprovero doloso di cui ci si occupa.

Per sottrarre l’argomentazione al rischio dell’astrattezza conviene analizzare alcuni indicatori, anche in rapporto alla loro utilizzazione in ambito giurisprudenziale.

51.1. La condotta che caratterizza l’illecito ha un determinante rilievo negli illeciti di sangue, che costituiscono il classico paradigma della fattispecie. Se ne è vista una rassegna giurisprudenziale: le caratteristiche dell’arma, la ripetizione dei colpi, le parti prese di mira e quelle colpite, sono importanti, nella prospettiva del dolo eventuale, quando non si è in presenza della elevata probabilità di verificazione dell’evento che contrassegna il dolo diretto. Ma si tratta della parte più nota e meno interessante del nostro tema.

51.2. Rileva pure, negli ambiti governati da discipline cautelari, la lontananza della condotta standard. Quanto più grave ed estrema è la colpa tanto più si apre la strada ad una cauta considerazione della prospettiva dolosa. Si tratta della situazione che caratterizza la più recente esperienza giuridica di cui si è dato sopra conto.

Emblematico il contesto della circolazione stradale. Qui è naturale pensare allo schema normativo della colpa cosciente; e questa è stata infine la soluzione accreditata dalla giurisprudenza della Suprema Corte. L’opposta soluzione nel senso del dolo eventuale ha preso corpo in alcuni casi davvero peculiari nei quali l’agente ha mostrato una determinazione estrema, la volontà di correre, per diverse ragioni, rischi altissimi senza porre in essere alcuna misura per tentare di governare tale eventualità; in breve ha realmente, tangibilmente accettato l’eventualità della verificazione dell’evento illecito.

51.3. La personalità, la storia e le precedenti esperienze talvolta indiziano la piena, vissuta consapevolezza delle conseguenze lesive che possono derivare dalla condotta; e la conseguente accettazione dell’evento. Nel caso della donna che aveva trasmesso il virus HIV al partner, vi era l’esperienza di un evento analogo che aveva colpito il precedente compagno, conducendolo alla morte. Il peso di una così drammatica circostanza è con tutta evidenza capace di orientare la lettura in chiave dolosa dei ripetuti, successivi contatti sessuali.

Ma l’esperienza può assumere significato in senso contrario. Il lanciatore di coltelli, forte della consumata abilità comprovata da mille prove, non mette in conto di colpire il bersaglio umano.

Parimenti il pilota d’auto temprato da molte gare affronta fiducioso rischi maggiori di un conducente ordinario: confida che l’abilità acquisita lo aiuterà in eventuali contingenze critiche.

La personalità, esaminata in concreto e senza categorizzazioni moralistiche, può mostrare le caratteristiche dell’agente, la sua cultura, l’intelligenza, la conoscenza del contesto nel quale sono maturati i fatti; e quindi l’acquisita consapevolezza degli esiti collaterali possibili. Insomma, essa ha un peso indiscutibile, soprattutto nell’ambito del profilo conoscitivo del dolo.

Nel caso, cui si è già fatto cenno, dell’uomo che trasmette alla moglie il virus HIV, il dolo è stato infine escluso facendo leva sul basso livello culturale e sull’incompleta comprensione delle drammatiche conseguenze delle sue azioni.

Parimenti la personalità immatura del giovane che furoreggia in moto è più verosimilmente compatibile con la colpa che col dolo eventuale.

51.4. La durata e la ripetizione della condotta. Un comportamento repentino, impulsivo, accredita l’ipotesi di un’insufficiente ponderazione di certe conseguenze illecite. In generale la bravata e l’atto compiuto d’impulso in uno stato emotivo alterato indiziano un atteggiamento di grave imprudenza piuttosto che la volontaria accettazione della possibilità che si verifichino eventi sinistri.

Per contro, una condotta lungamente protratta, studiata, ponderata, basata su una completa ed esatta conoscenza e comprensione dei fatti, apre realisticamente alla concreta ipotesi che vi sia stata previsione ed accettazione delle conseguenze lesive.

Sempre a proposito del contagio del virus HIV, la frequenza dei rapporti sessuali non solo incrementa le probabilità, ma mostra solitamente un atteggiamento risoluto, determinato. Lo si è visto nella giurisprudenza esaminata: nel caso di rapporti lungamente protratti con la partner tale significativo dato indiziario aveva inizialmente condotto all’affermazione di responsabilità per dolo eventuale. Tale dato, lungi dall’essere svalutato nel prosieguo del giudizio, è stato ritenuto sopravanzato da carenze culturali e da altre discusse contingenze cui si è qui sopra fatto cenno. Si tratta di uno dei casi più controversi dell’esperienza giuridica in materia.

51.5. La condotta successiva al fatto. La fattiva e spontanea opera soccorritrice può aver peso nell’accreditare un atteggiamento riconducibile alla colpa e non al dolo eventuale.

Per contro, l’estremo tentativo di fuga del ladro, pur dopo il disastroso urto mortale, mostra appieno la estrema determinazione del tentativo di sottrarsi a qualunque costo all’intervento di polizia; e dunque l’adesione alla drammatica prospettiva poi realizzatasi.

All’opposto, lo stupore del giovane che si avvede di aver investito i ciclomotoristi mostra in modo alquanto pregnante l’assenza di previsione ed accettazione di quell’esito estremo.

51.6. Il fine della condotta, la sua motivazione di fondo; e la compatibilità con esso delle conseguenze collaterali, cioè la congruenza del “prezzo” connesso all’evento non direttamente voluto rispetto al progetto d’azione. Il tema è cruciale, interessa direttamente il processo in esame e sarà ripreso più avanti.

51.7. La probabilità di verificazione dell’evento. Si è visto che la certezza o l’elevata probabilità dell’esito antigiuridico accreditano il dolo diretto. Ma, come si è già esposto, nei contesti della giurisprudenza il coefficiente probabilistico non è quasi mai misurabile. Si compiono valutazioni di massima. Allora, se è lecito riferirsi alla probabilità dell’evento come ad un indicatore significativo, un approccio sensato al problema induce senz’altro ad affermare che, quanto più ci si allontana dall’umana certezza sui sentieri incerti della probabilità, tanto più il giudice attento a cogliere le movenze dell’animo umano deve investigare profondamente lo scenario complessivo per scorgervi i segni di un atteggiamento riconducibile alla sfera del volere. Mai dimenticando che la probabilità non va considerata in astratto, ma sogguardata dal punto di vista dell’agente, della percezione che questi ne ha avuta.

51.8. Le conseguenze negative o lesive anche per l’agente in caso di verificazione dell’evento. Si tratta di un tema ricorrente nell’infortunistica stradale, che accredita fortemente l’ipotesi colposa. Tale indirizzo è stato ribaltato, come si è visto solo in situazioni estreme, in presenza di concrete emergenze che conducevano a ritenere che le motivazioni dell’elevata velocità e le peculiarità della condotta di guida implicavano l’accettazione dell’eventualità di subire conseguenze personali negative, dando così consistenza dolosa all’azione.

51.9. Il contesto lecito o illecito. Una situazione illecita di base indizia più gravemente il dolo, mentre un contesto lecito solitamente mostra un insieme di regole cautelari ed apre la plausibile prospettiva dell’errore commesso da un agente non disposto ad accettare fino in fondo conseguenze che lo collocano in uno stato di radicale antagonismo rispetto all’imperativo della legge, tipico del dolo. Naturalmente tale criterio, al pari del resto di tutti gli altri cui si è fatto riferimento, va utilizzato con cautela, ed in accordo con le altre emergenze del caso concreto. Qui si tratta, in particolare, di evitare che il giudizio sulla colpevolezza per il fatto concreto possa nascondere un giudizio sul tipo d’autore.

51.10. L’indagine indiziaria sul dolo eventuale va alla ricerca precipuamente dei tratti di scelta razionale che sottendono la condotta. Perciò, come si è ripetutamente enunciato, gli stati affettivi, emozionali, l’ottimismo, il pessimismo, sono in linea di principio assai poco influenti ed anzi, secondo molti, irrilevanti.

Se ne è discusso molto, come si è visto, anche in giurisprudenza, a proposito della speranza e del suo carattere ragionevole o irragionevole. Qui occorre intendersi. Senza dubbio l’ottimismo o il pessimismo, la rimozione, il chiudere gli occhi, gli stati affettivi in generale, non risolvono il problema del dolo eventuale. Non è tuttavia privo di interesse tentare di cogliere se e quale iter abbia condotto ad un atteggiamento fiducioso. (…)

51.11. Il controfattuale alla stregua della prima formula di Frank. Resta da dire del più importante e discusso indicatore del dolo eventuale che si configura quando, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, è possibile ritenere che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento. Esso, come si è visto, è stato utilizzato dalle Sezioni Unite in tema di ricettazione ed è evocato in diverse pronunzie di legittimità.

Si è sopra esposto che l’autorevole dottrina che maggiormente ha rimarcato la necessità di cogliere il momento volitivo pure nel dolo eventuale ha ritenuto che tale strumento sia l’unico risolutivo.

L’enunciazione è per certi versi condivisibile, poichè tale giudizio controfattuale riconduce virtualmente l’atteggiamento dell’agente a quello proprio del dolo diretto e dunque riduce ma definisce nitidamente l’area occupata dalla figura soggettiva in esame. D’altra parte, alcune delle critiche mosse a tale approccio appaiono poco convincenti. In effetti si è in presenza di un giudizio ipotetico, ma ciò non è per nulla estraneo allo strumentario della scienza penalistica che, appunto, da valutazioni congetturali è pervasa. L’importante è che si sia in possesso di informazioni altamente affidabili che consentano di esperire il controfattuale e di rispondere con sicurezza alla domanda su ciò che l’agente avrebbe fatto se avesse conseguito la previsione della sicura verificazione dell’evento illecito collaterale. Occorre però realisticamente prendere atto che tale situazione non sempre si verifica. In molte situazioni il dubbio rimane irrisolto. Vi sono casi in cui neppure l’interessato saprebbe rispondere ad una domanda del genere. Allora, guardando le cose con il consueto, sensato realismo della giurisprudenza, occorre ritenere che la formula in questione costituisca un indicatore importante ed anzi sostanzialmente risolutivo quando si abbia modo di esperire in modo affidabile e concludente il relativo controfattuale. L’accertamento del dolo eventuale, tuttavia, non può essere affidato solo a tale strumento euristico; ma deve avvalersi di tutti i possibili, alternativi strumenti d’indagine.

51.12. L’esposizione che precede indica solo alcuni degli indizi. Il catalogo è aperto e ciascuna fattispecie concreta, analizzata profondamente, può mostrare plurimi segni peculiari in grado di orientare la delicata indagine giudiziaria sul dolo eventuale. Va aggiunto che, come per tutte le valutazioni indiziarie, quanto più alta è la affidabilità, la coerenza e la consonanza dei segni tanto maggiore risulta la forza del finale giudizio. Anche qui l’indagine demandata al giudice richiede uno estremo, disinteressato sforzo di analisi e comprensione dei dettagli; un atteggiamento, cioè, immune dalla tentazione di farsi protagonista di scelte politico-criminali che non gli competono ed al contempo attivamente interessato alla comprensione dei fatti, anche quelli psichici, alieno dall’applicazione pigra di meccanismi presuntivi.

Non può certo nascondersi che un tale itinerario non è per nulla facile, non solo e non tanto per l’affinato talento critico che richiede, ma anche perchè spesso il materiale probatorio è povero, non consente quella completa lettura di scenario dalla quale soltanto può scaturire un persuasivo giudizio di colpevolezza per dolo eventuale. Tutto ciò deve indurre a speciale cautela. La figura di cui ci si occupa è peculiare, marginale, di difficile accertamento.

In conseguenza, in tutte le situazioni probatorie irrisolte alla stregua della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, occorre attenersi al principio di favore per l’imputato e rinunziare all’imputazione soggettiva più grave a favore di quella colposa, se prevista dalla legge.

Cass. S.U._sent.24 aprile – 18 settembre 2014, n. 38343

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.