L’art. 526 comma 1 c.p.p. sancisce che il Giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento. Ciò, in virtù del principio del contraddittorio nella formazione della prova, sancito dall’art. 111 Cost.
Tale principio non è tuttavia affermato in maniera assoluta, bensì viene bilanciato con altre esigenze ritenute prevalenti in determinati casi.
Lo stesso comma 5 dell’articolo costituzionale poc’anzi citato pone tre eccezioni. La prova è utilizzabile, anche se si è formata fuori dal contraddittorio, per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.
Il consenso dell’imputato
Il riferimento va innanzitutto ai riti speciali che omettono il dibattimento. In tali contesti l’imputato rinuncia al contraddittorio, consentendo al Giudice di utilizzare ai fini della decisione le prove raccolte in modo unilaterale dalle parti nel corso delle indagini.
Nell’ambito del rito ordinario invece, l’uso degli atti di indagini è ammesso qualora vi consentano quelle parti che non hanno partecipato all’acquisizione del relativo elemento di prova.
Impossibilità oggettiva
Sono utilizzabili le prove raccolte durante le indagini, in caso di non ripetibilità originaria o sopravvenuta. L’impossibilità di riproduzione nel processo deve essere oggettiva, ovvero dovuta a cause indipendenti dalla volontà di taluno. Deve altresì essere accertata, quindi oggetto di prova e di discussione tra le parti.
Provata condotta illecita
Si tratta delle ipotesi in cui siano stati messi in atto comportamenti contrari al diritto e finalizzati a indurre il dichiarante a sottrarsi al contraddittorio.
Over il contraddittorio risulti così inquinato, occorrerà far ricorso al metodo alternativo consistente nell’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni, avendo l’esigenza di accertamento dei fatti un indubbio rilievo costituzionale.