Frode in processo penale e depistaggio, tipicità: reato proprio, dolo specifico e connessione funzionale

Cass. sez. VI, sentenza n. 24557 ud. 30/03/2017 – deposito del 17/05/2017

Frode in processo penale e depistaggio – Natura – Reato proprio – Qualifica soggettiva – Preesistenza alle indagini – Sussistenza – Condotta – Rapporto di connessione funzionale con l’accertamento che si assume violato – Necessità.

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che il reato di frode in processo penale e depistaggio, previsto dall’art. 375 cod. pen., si configura come reato proprio del pubblico ufficiale, o dell’incaricato del pubblico servizio, la cui qualifica sia preesistente alle indagini e la cui attività sia in rapporto di connessione funzionale con l’accertamento che si assume inquinato, dovendo essere la condotta finalizzata all’alterazione dei dati, oggetto dell’indagine o del processo penale, da acquisire o dei quali il pubblico ufficiale sia venuto a conoscenza nell’esercizio della funzione.

La fattispecie incriminatrice in commento punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato del pubblico servizio, che al fine di ostacolare, impedire o sviare l’indagine o un processo penale, immuta lo stato dei luoghi o formula affermazioni false o reticenti.

Evidente come la tipizzazione delle condotte risulti identica a quella prevista dagli ulteriori reati di frode processuale, false informazioni al Pubblico Ministero o falsa testimonianza, dalla quale si differenzia per la richiesta sussistenza del dolo specifico e per la qualificazione del soggetto attivo.

L’elevata previsione sanzionatoria, poi, evidenzia la necessità che il soggetto attivo ponga in essere una delle condotte incriminate mentre si trova ad adempiere ad un dovere inerente la sua funzione, il cui svolgimento implica una fisiologica convergenza di interessi tra la pubblica amministrazione rappresentata e il dipendente chiamato a svolgerne le funzioni.

Solo tale connessione funzionale riesce, del resto, a caratterizzare il dolo specifico richiesto dal punto di vista soggettivo, sicché si deve individuare l’elemento tipico del reato nella violazione del dovere di fedeltà connesso alla preesistenza della qualifica rispetto al reato, in ragione della quale si richiede un più pregnante rispetto dell’obbligo di agire nell’interesse comune, preminente rispetto ad ogni altro concorrente valore, che diviene – per l’effetto – subvalente.

A sostegno di tale lettura della norma, militerebbe – ad esempio – il mancato ampliamento delle cause di non punibilità di cui all’art. 384 c.p. alla fattispecie in parola.

Può, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto:

“L’art. 375 c.p. si configura come reato proprio dell’attività del pubblico ufficiale, o dell’incaricato di pubblico servizio, la cui qualifica preesista alle indagini e sia in rapporto di connessione funzionale con l’accertamento che si assume inquinato, cosicché la condotta illecita deve risulta finalizzata proprio all’alterazione dei dati che compongono l’indagine o il processo penale, che gli è stato demandato di acquisire o dei quali sia venuto a conoscenza nell’esercizio della sua funzione, e risulti quindi posto in condizione spiegare il proprio intervento inquinante”.

Scarica il testo integrale della sentenza: 24557_05_2017_Cass_VI

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.