La Cassazione traccia i confini del delitto di truffa da quello di furto aggravato dal mezzo fraudolento

Cassazione Sez. V, sentenza n. 18968 udienza 18/01/2017 – deposito del 20/04/2017

DELITTI – TRUFFA – IN GENERE – Destinatario degli artifici e raggiri – Identità con la persona che subisce il danno patrimoniale – Necessità – Limiti- Conseguenze.

La V Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che è configurabile il reato di furto commesso con mezzo fraudolento e non quello di truffa quando il soggetto indotto in errore è diverso dal soggetto che subisce il danno, atteso che nel reato di truffa l’atto di disposizione patrimoniale, da cui deriva il pregiudizio economico, non può essere compiuto dal terzo, salvo il caso in cui quest’ultimo abbia la libera disponibilità del patrimonio del soggetto passivo danneggiato.

 Il caso

L’imputato, quale funzionario di Banca, prelevava delle somme di denaro contante dai conti correnti bancari intestati alle persone offesa (di cui una minore d’età), accesi presso la medesima banca, utilizzando i moduli forniti da questa per il prelievo di denaro apponendovi la firma falsa del titolare del conto.

La Corte d’appello di Milano condannava l’imputato per il reato di furto aggravato, riqualificando giuridicamente il fatto dall’originaria imputazione di appropriazione indebita.

Ricorreva allora in Cassazione l’imputato, lamentando violazione di legge con riferimento alla qualificazione giuridica della condotta, rilevando come il suo agire fosse semmai riconducibile al reato di truffa, realizzatasi mediante induzione in errore dell’addetto preposto allo sportello a danno delle correntiste, e ciò sul rilievo che il soggetto passivo del raggiro – come ammesso dalla giurisprudenza di legittimità – possa essere diverso rispetto a colui che subisce il danno, sussistendo il nesso di causalità tra la condotta e l’evento, pur in difetto di una relazione diretta tra truffatore e truffato.

 La decisione di Cass. Sez. V,  n. 18968/2017

La Corte pur non negando l’orientamento giurisprudenziale dall’imputato posto a fondamento della sua doglianza, rileva come sia principio consolidato quello secondo cui il criterio che distingue il reato di furto aggravato dall’uso del mezzo fraudolento da quello di truffa, vada ravvisato nell’impossessamento mediante sottrazione invito domino che caratterizza il furto, elemento invece assente nella truffa in cui il possesso della res si consegue con il consenso della vittima (cfr. Cass. sez.  II, sent. 3710 del 21/01/2009).

Nel caso di specie, le persone offese non hanno compiuto alcun atto di disposizione patrimoniale a favore del ricorrente, che ha sottratto il danaro dal loro conto corrente ricorrendo al mezzo fraudolento della falsificazione delle distinte bancarie presentate in cassa, o simulando autorizzazioni telefoniche per i prelievi dai conti correnti, o ancora eseguendo direttamente i prelievi con l’assicurazione data ai cassieri di una successiva compilazione della distinta, in realtà mai avvenuta.

A ciò si aggiunga che elemento indefettibile, connaturato al delitto di truffa, sia la cooperazione artificiosa della vittima che, indotta in errore dall’inganno ordito dall’autore del reato, compie l’atto di disposizione patrimoniale (v. Cass. sez.  II, sent. 18762 del 15/01/2013).

Il furto aggravato prescinde invece dal consenso, seppur viziato, della vittima all’atto di disposizione patrimoniale, essendo tale delitto consumato contro la volontà della vittima e quindi con un atto unilaterale a facilitare il quale mirano l’artificio o il raggiro (c. Cass. sez.  IV, sent. 9523 del 18/09/1997).

L’atto di disposizione patrimoniale del terzo ingannato potrebbe avere rilevanza ai fini della configurabilità del delitto di truffa, solo qualora il terzo abbia la gestione degli interessi patrimoniali del titolare, con facoltà di compiere liberamente atti di natura negoziale efficaci nella sfera patrimoniale aggredita. Ma non è il caso di specie, non potendo l’istituto di credito disporre liberamente delle somme depositate nel conto corrente dal cliente, le quali – dal punto di vista squisitamente civilistico – diventano di proprietà della banca, in quanto beni fungibili, con obbligo alla restituzione del tantundem eiusdem generis, mentre – dal punto di vista penalistico – rimangono nella titolarità esclusiva del correntista, detenendole la banca in virtù del contratto di conto corrente sottoscritto dalle parti. Tant’è vero che la banca necessità del preciso ordine del correntista per l’erogazione, a chiunque, del denaro depositato in conto.

Se il terzo non ha quindi il potere di disporre dei diritti patrimoniale del soggetto che ne è titolare, ove, in virtù degli artifizi e raggiri posti in essere nei suoi confronti dall’autore della condotta delittuosa, compia un atto di disposizione avente effetti diretti nella sfera patrimoniale del soggetto passivo, lo stesso terzo diventa solo lo strumento inconsapevole per la perpetrazione di un atto di sottrazione della res, qualificabile come furto aggravato dal mezzo fraudolento e non certo truffa, mancando la cooperazione artificiosa della vittima (che rimane ignara del fatto).

Scarica il testo integrale della sentenza: 18968_05_2017_Cass_V

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.