Nessuna religione può legittimare il porto in luogo pubblico di armi (Cass. I, 24084/17)

Cassazione Penale Sezione Prima,sentenza n. 24084 del 15 maggio 2017 (udienza 31 marzo 2017) – porto in luogo pubblico di armi – giustificato motivo – credo religioso – scriminanti culturali.

Il Caso –  L’imputato era stato trovato dalla polizia locale in possesso di un coltello, portato alla cintura. Richiesto di consegnarlo, aveva opposto rifiuto adducendo che il comportamento si conformava ai precetti della sua religione, essendo egli un indiano “SIKH”.

Secondo il giudice di merito, le usanze religiose integravano mera consuetudine della cultura di appartenenza e non potevano avere l’effetto abrogativo di norma penale dettata a fini di sicurezza pubblica. Per tale ragione, Egli veniva condannato in primo grado per aver portato “fuori dalla propria abitazione senza un giustificato motivo, un coltello della lunghezza complessiva di cm 18,5 idoneo all’offesa per le sue caratteristiche”.

L’imputato ricorreva, pertanto, personalmente avverso tale pronuncia chiedendone l’annullamento per violazione dell’art. 4 della Legge n. 110/1975 e vizio di motivazione, adducendo che il porto di coltello era giustificato dalla sua religione e trovava tutela dell’articolo 19 della Costituzione. Il coltello (KIRPAN), come il turbante, era un simbolo della religione e il porto costituiva adempimento del dovere religioso.

La decisione della Suprema Corte – La Corte, con la sentenza in epigrafe indicata, rigetta il ricorso per infondatezza.

Preliminarmente, la Corte rileva in motivazione come il reato contestato abbia natura contravvenzionale, punito anche a titolo di colpa, ed è escluso se ricorre un “giustificato motivo”. L’assenza di giustificato motivo è, infatti, prevista come elemento di tipicità del fatto di reato.

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che il giustificato motivo di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, ricorre quando le esigenze dell’agente siano corrispondenti a regole relazionali lecite rapportate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto (ex multis, Sez. 1 n.4498 del 14.1.2008, rv. 238946). Per fare alcuni esempi, è giustificato il porto di un coltello da chi si stia recando in un giardino per potare alberi o dal medico chirurgo che nel corso delle visite porti nella borsa un bisturi; per converso, lo stesso comportamento posto in essere dai medesimi soggetti in contesti non lavorativi non è giustificato e integra il reato.

In una società multietnica, la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 Cost. che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante.

È quindi essenziale l’obbligo per l’immigrato di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale, in cui ha liberamente scelto di inserirsi, e di verificare preventivamente la compatibilità dei propri comportamenti con i principi che la regolano e quindi della liceità di essi in relazione all’ordinamento giuridico che la disciplina.

Non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante. La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l’unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere.

Del resto, la libertà religiosa, garantita dall’articolo 19 invocato, non è assoluta, ma incontra dei limiti, stabiliti dalla legislazione in vista della tutela di altre esigenze, tra cui quelle della pacifica convivenza e della sicurezza, compendiate nella formula dell’ordine pubblico. Parimenti, anche l’articolo 9 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che, al 2 comma, stabilisce che “La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica, o per la protezione dei diritti e della libertà altrui“.

Alla luce di tali considerazioni, va affermato il principio per cui nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere.

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Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.