I Delitti aberranti: aberratio ictus e aberratio delicti

Agli artt. 82 e 83 c.p. sono previsti e disciplinati le cc.dd. aberrationes: l’ aberratio ictus e l’ aberratio delicti, nelle forme rispettivamente monolesiva e plurilesiva.

Si tratta di casi di errore relativo alle modalità di esecuzione del reato, diverso comunque dall’errore che costituisce vizio della volontà, disciplinato dall’ art. 47 c.p. per quanto riguarda l’errore di fatto e dall’art. 5 c.p. per quanto riguarda l’errore sulla legge penale.

Nell’aberratio ictus si cagiona offesa a persona diversa da quella cui l’offesa era diretta, e nella forma plurilesiva ad entrambe. Nell’aberratio delicti, invece, si cagiona un evento diverso da quello voluto, e nella forma plurilesiva l’evento diverso insieme a quello avuto di mira.

La disciplina relativa agli istituti in parola è collocata all’interno del capo riservato al concorso di reati, ove il legislatore ha dettato la disciplina del cumulo materiale e in cui regola le fattispecie che vi derogano o in virtù di un disegno criminoso unitario (reato continuato), o di unicità di azione (concorso formale) a favore del meno favorevole cumulo giuridico, nonché del reato complesso che prevede l’assorbimento dei reati contenuti in omaggio al principio del “ne bis in idem”. Ciò può far pensare da un punto di vista squisitamente logico che, come gli artt. 81 e 84 rappresentano delle eccezioni che impediscono l’applicazione a quei casi del cumulo materiale, così alle aberrationes, se non esistessero gli artt. 82 e 83, non sarebbe applicabile quella disciplina.

L’art. 82 disciplina l’aberratio ictus. Il legislatore descrive in prima battuta la causa dell’aberratio come errore nei mezzi di esecuzione. Sembrerebbe, quindi, non potersi parlare di aberratio ictus nell’ipotesi di error in personam, poiché l’errore non riguarda l’esecuzione ma è a monte; l’error in personam è, inoltre, disciplinato autonomamente all’art. 60  c.p. ai fini dell’applicazione delle circostanze. Ma, a ben vedere, l’art. 82, dopo aver indicato l’errore nell’esecuzione, allarga ad ogni altra causa lo spettro eziologico della fattispecie e non si vede perché non possa ricomprendersi in essa l’error in personam. Tanto più che in relazione alle circostanze ne viene richiamata la disciplina per relationem.

Si discute in ordine al criterio dell’attribuzione di responsabilità per il fatto effettivamente commesso. Una prima teoria, fatta propria da gran parte della giurisprudenza, sostiene che l’imputazione sarebbe a titolo di dolo in quanto ci sarebbe piena congruenza tra ideato e voluto, stante l’irrilevanza in relazione a tale punto, del soggetto passivo. Ne consegue, secondo tale impostazione teorica, che la struttura del reato sarebbe unitaria in quanto si tratterebbe di reato doloso consistente nell’offesa effettivamente realizzata.

Ma, a ben vedere, se il dolo è il criterio d’imputazione che rende attribuibile il fatto all’agente sul piano soggettivo, nei reati in cui l’identità del soggetto passivo è rilevante, non si può concludere che il dolo sia pienamente sussistente anche in caso di offesa a persona diversa. Se, ad esempio, Tizio premediti l’uccisione di Caio per vendicare un torto subito, ove dalla sua azione sia colpito Sempronio si verifica una distonia rilevante rispetto alla rappresentazione: egli non voleva uccidere Sempronio e, quindi, tale evento verrebbe così attribuito a titolo di responsabilità oggettiva.

Secondo altra corrente di pensiero invece, la fattispecie è scomponibile in una prima parte, quella esecutiva, retta dal dolo e una seconda, relativa all’evento, imputabile a titolo di colpa. Tale teoria non è parimenti esente da critiche. Infatti per sostenerla occorre ritenere che la norma violata dalla condotta funga da norma cautelare che voglia evitare offesa a persona diversa. Conclusione questa assurda, poiché varrebbe a dire che la norma incriminatrice suggerisca all’autore che intenda delinquere, di delinquere con diligenza!

È abbastanza evidente che le considerazioni sopra esposte, che si pongono in deroga alle regole generali sull’elemento soggettivo, nascono evidentemente dal fatto che l’ordinamento, nonostante la mancata integrale convergenza tra la rappresentazione e la realizzazione nei delitti aberranti, non rimane del tutto indifferente alla duplice peculiarità che la rappresentazione ha pur sempre ad oggetto un fatto criminoso e che l’agente ha realizzato il fatto (diverso) proprio nell’esecuzione di quella deliberazione criminosa.

In caso di aberratio ictus monolesiva l’agente risponde, a titolo di dolo, come se l’offesa fosse stata recata alla persona cui era effettivamente diretta salva l’applicazione dell’art. 60 in materia di circostanze del reato. In caso di aberratio ictus plurilesiva, invece, si applicherà la pena prevista per il reato più grave aumentata sino alla metà.

Nel caso dell’aberratio ictus monolesiva, l’offesa, pur essendo recata a persona diversa da quella cui era destinata, rimane normativamente analoga; è, tuttavia, pur sempre necessario che sussista un nesso causale tra la condotta dell’agente ed il risultato offensivo effettivamente prodotto.

È discusso se la ricorrenza del caso fortuito, incidendo sulla causalità tra la condotta e l’evento lesivo, sia idonea ad escludere l’applicabilità dell’art. 82 c.p. ai danni dell’autore della condotta offensiva o se, incidendo solo sul versante della colpevolezzanon sia idoneo a recidere il nesso di causalità con la conseguente applicabilità dell’art. 82 c.p. Secondo la Suprema Corte il caso fortuito non esclude la punibilità in fattispecie di aberratio ictus in quanto esso sarebbe fatto idoneo ad escludere la punibilità solo con riferimento a condotte lecite e non con riferimento a condotte illecite (cfr. Cass. Pen n. 6869 del 1984).

In caso d‘aberratio ictus monolesiva, s’applica, con riferimento alle circostanze del reato, la disciplina di cui all’art. 60 c.p. dettata in tema di errore e, cioè, : “…non sono poste a carico dell’agente le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o qualità della persona offesa o i rapporti tra offeso e colpevole. Sono invece valutate a suo favore le circostanze attenuanti erroneamente supposte che concernono le condizioni, le qualità o i rapporti predetti“; tali disposizioni non si applicano se si tratta di circostanze che riguardano l’età o altre condizioni o qualità, fisiche o psichiche, della persona offesa.

Con riferimento all’eventuale sussistenza delle scriminanti, s’applicano a favore dell’autore sia le scriminanti sussistenti con riferimento al fatto effettivamente realizzato, sia le scriminanti (siano esse effettivamente esistenti od erroneamente supposte per errore scusabile) relative al reato ideato.

L’aberratio ictus plurilesiva è contemplata e disciplinata dal  comma 2 dell’art. 82 c.p. e, come sopra cennato, si verifica allorché, per errore nell’uso dei mezzi d’esecuzione del reato o per causa diversa venga recata offesa, oltre che alla persona cui era effettivamente diretta, anche a persona diversa.

Una delicata problematica applicativa, con riferimento all’aberratio ictus plurilesiva, è quella dell’applicabilità della disciplina relativa al concorso di reati, per tutto quanto non specificatamente disciplinato dall’art. 82 c.p. Si ritiene che l’applicabilità della disciplina relativa al concorso, per tutto quanto non disciplinato dall’art. 82 c.p., secondo comma, è da preferire in quanto sarebbe irragionevole applicare tale disciplina di maggior favore a chi abbia dolosamente commesso due offese a due persone diverse ed escluderla per chi abbia commesso una sola delle due offese con dolo e l’altra solo per un errore nella fase esecutiva.

In caso d’aberratio ictus plurilesiva, il codice dispone l’applicazione della pena prevista per il reato più grave aumentata fino alla metà. Si è posta la questione di cosa si debba intendere per reato più grave; secondo una parte della dottrina, reato più grave sarebbe sempre quello voluto; secondo altra parte della dottrina, invece, il reato più grave sarebbe quello che tale risulta a seguito dell’applicazione delle circostanze ai due reati commessi.

Per quanto riguarda, infine, l’ aberratio delicti , per essa trovano applicazione molte delle argomentazioni già sopra delineate con riguardo all’aberratio ictus. Essa si verifica allorché, per errore nell’uso dei mezzi d’esecuzione o per altra causa, viene causato un evento diverso da quello voluto; in tal caso, stabilisce l’art. 83 c.p., comma 1, l’autore risponde del reato effettivamente commesso a titolo di colpa se tale titolo di punibilità è previsto per il reato effettivamente commesso.

L’aberratio delicti si differenzia dall’aberratio ictus, in quanto, mentre nella seconda l’offesa rimane la stessa unicamente mutando  l’identità del soggetto passivo, nell’aberratio delicti varia il tipo di reato commesso. In materia di distinguo tra le due figure, peraltro, una questione particolarmente delicata è quella di stabilire in determinate fattispecie concrete se si verta nell’ambito dell’aberratio ictus o dell’aberratio delicti. Si pensi, ad esempio, al  tentativo di omicidio che, per errore, sfoci nel delitto di lesioni nei confronti di persona diversa dalla vittima designata – in tale ipotesi la giurisprudenza ha ritenuto doversi applicare l’art. 82 c.p. relativo all’aberratio ictus in quanto il bene giuridico leso rimane il medesimo, e ciò sulla scorta dell’interpretazione letterale dalla norma di cui all’art. 82 c.p., comma 2 che, con riferimento alle conseguenze sanzionatorie, stabilisce l’applicazione della pena prevista per il reato più grave presupponendo che non sia necessaria la perfetta identità tra i titoli di reato, mentre parte della dottrina ritiene doversi applicare l’art. 83 c.p. relativo all’aberratio delicti .

La norma pone, come presupposto per la punibilità dell’agente, che il reato effettivamente commesso preveda la colpa come criterio di attribuzione della responsabilità dell’evento non voluto. Con riferimento a tale inciso, la dottrina e la giurisprudenza si sono domandate se esso si riferisca alla colpa come criterio effettivo di attribuzione della responsabilità o se esso significhi esclusivamente che l’autore sia punito come se il reato commesso fosse colposo.

Secondo un primo orientamento infatti, l’attribuzione del reato diverso sarebbe effettivamente condizionato alla verifica della sussistenza di una condotta colposa e, cioè, di una condotta che abbia violato norme di carattere cautelare; si tratterebbe, per la precisione, di una colpa specifica. Secondo altro autorevole pensiero invece, l’art. 83 c.p. prevede un caso di responsabilità oggettiva in quanto l’inciso a titolo di colpa indicherebbe esclusivamente il modo della punibilità del reato commesso e non il titolo d’attribuzione psicologica del reato. In tal senso, tale inciso dovrebbe essere inteso nel senso che l’autore debba rispondere del reato realizzato come se lo avesse realizzato colposamente.

E’ fondamentale sottolineare che l’evento diverso non deve essere voluto neppure sotto la forma dell’accettazione del rischio atteso che, in tale ipotesi, il criterio d’attribuzione della responsabilità sarà quello del dolo (eventuale) e s’applicherà la disciplina sul concorso di reati.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.