I diritti dei detenuti tra Costituzione e legge sull’ordinamento penitenziario

Chi è sottoposto a detenzione, sia essa per esecuzione di condanna definitiva che per applicazione della misura cautelare, viene gravemente limitato della propria libertà personale.

La persona detenuta conserva, tuttavia, la titolarità di alcuni diritti. Il rilievo costituzionale del principio della pari dignità sociale ed il principio personalistico (art. 2 Cost.), impediscono, infatti, di considerare il carcere come luogo in cui vige un regime di extraterritorialità rispetto alle garanzie fondamentali assicurate dallo Stato.

Per espresso dettato dell’art. 27 comma 3 Cost.,  si aggiunga inoltre che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Fondamento che viene ripreso e sancito dalla legge di Riforma del 1975, ispirata ai principi di umanità, rispetto della dignità della persona, esclusione delle discriminazioni, restrizioni limitate alle esigenze di disciplina e ordine, proiezione verso il reinserimento sociale e individualizzazione del trattamento.

Oltre al diritto alla pari dignità sociale, i detenuti hanno quindi diritto a ricevere un trattamento rieducativo, assicurato dall’art. 27 Cost. Il trattamento sarà individualizzato, ovvero approntato per le specifiche esigenze di trattamento del detenuto, che conserva così diritto alla propria personalità. A tal riguardo, si noti infatti come i detenuti hanno diritto ad essere chiamati col proprio nome e cognome (e non con un numero di matricola).

I condannati non sono tenuti ad alcun obbligo di assoggettamento agli interventi di trattamento penitenziario, mentre discende un inequivoco obbligo di attivarsi da parte degli organi dell’amministrazione, dal quale discende il “diritto al trattamento” in capo al singolo detenuto. Un diritto che, per sua natura, è rinunciabile, e che non potrà mai aprire la strada all’impiego di metodi che incidano con violenza o con frode sulla struttura psichica del detenuto.

Vi sono poi i diritti fondamentali riconosciuti da altre norme della Costituzione quale patrimonio di tutti gli esseri umani, quindi anche quali diritti dei detenuti, e che lo Stato in virtù dell’art. 2 Cost. deve assicurare ad ogni persona, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sa personalità.

Viene, innanzitutto, in rilievo il diritto alla famiglia (artt. 29 e 31 Cost.), che per il detenuto si risolve nel diritto al mantenimento delle relazioni familiari e affettive, tutelato dall’ordinamento penitenziario mediante la sua collocazione tra i principali elementi del trattamento (art. 15 e 28 della 354/1975) ed attuato, sostanzialmente, attraverso i colloqui visivi e la corrispondenza, telefonica e postale. Inoltre, il detenuto ha anche il diritto di indicare i familiari ai quali vuole sia data tempestiva notizia in caso di decesso o grave infermità, ed in relazione ai quali vuole ricevere le medesime notizie. In caso di grave infermità o decesso di un proprio famigliare, il detenuto può infatti richiedere un permesso per visitare il familiare. Il rilievo dei rapporti familiari emerge, inoltre, chiaramente anche dall’art. 42, comma 2 che definisce come criterio per la scelta dell’istituto di destinazione, in caso di trasferimenti, l’istituto penitenziario più vicino al luogo di residenza della famiglia.

Vi è poi il diritto alla salute (art. 32 Cost.), che va, parimenti, assicurato ad ogni persona indipendentemente dalla condizione di libertà o detenzione. La disciplina fondamentale della sanità penitenziaria è collocata all’art. 11 della legge n. 354/1975, che in particolare prevede: un servizio medico e un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati; almeno uno specialista in psichiatria; il trasferimento in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura dei condannati e degli internati che necessitino di cure o accertamenti diagnostici non effettuabili in istituto; la collaborazione dell’amministrazione penitenziaria con i pubblici sanitari locali, ospedalieri ed extra ospedalieri, d’intesa con la Regione e secondo gli indirizzi del Ministero della Sanità. Nonostante tale articolata disciplina, la tutela del diritto dei detenuti alla salute in maniera uguale a quella dei cittadini liberi è frutto di un percorso non ancora giunto a termine.

Il diritto allo studio e all’istruzione (art. 34 Cost.) è invero trattato dall’ordinamento penitenziario quasi esclusivamente come elemento del trattamento (art.15 ord. penit.) e non come diritto dei detenuti. L’art. 19 dell’Ordinamento penitenziario dispone in tal senso che negli istituti di pena la formazione culturale è curata “mediante l’organizzazione di corsi della scuola dell’obbligo“. In realtà, l’art. 34  comma 1 Cost. è abbastanza chiaro nell’affermare che “la scuola è aperta a tutti”, riconoscendo in modo chiaro che il diritto all’istruzione è di tutti, indipendentemente dalle condizioni di ciascuno.

I detenuti possono ricevere un sussidio giornaliero, nella misura determinata con decreto ministeriale, per la frequenza ai corsi di istruzione secondaria di secondo grado. Ai detenuti che seguono corsi di istruzione secondaria di secondo grado o corsi universitari, e che hanno superato tutti gli esami di ciascun anno, vengono rimborsate, qualora versino in disagiate condizioni economiche, le spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo, e viene corrisposto un premio di rendimento. Ai detenuti che si sono distinti per particolare impegno e profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale sono concesse ricompense (permessi premio, liberazione anticipata, etc.). È altresì consentita la possibilità di svolgere la preparazione da privatista per il conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore e della laurea universitaria.

Ogni detenuto ha, inoltre, diritto a professare la propria fede, di “istruirsi” nella propria religione e di praticarne il culto (art. 26 ord. penit.). Negli istituti penitenziari viene assicurata la celebrazione del culto cattolico e la presenza di almeno un cappellano; i detenuti e gli internati di altre religioni hanno il diritto di ricevere, su richiesta, l’assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti, purché siano compatibili con l’ordine e la sicurezza, non si esprimano in comportamenti molesti per la comunità o siano contrari alle legge.

Con decreto del Ministro della Giustizia del 5 dicembre 2012, in attuazione del d.P.R. 5 giugno 2012, n. 136, è stato inoltre stabilito il contenuto  della “Carta dei diritti  dei detenuti e degli internati” di cui all’art. 69 comma 2 del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento sull’ordinamento penitenziario).

La Carta è consegnata a ciascun detenuto o internato – nel corso del primo colloquio con il direttore
o con un operatore penitenziario all’atto del suo ingresso in istituto – per consentire il migliore esercizio dei suoi diritti ed assicurare la maggiore consapevolezza delle regole che conformano la vita nel contesto carcerario.

Al detenuto, oltre alla Carta, sono consegnati gli estratti della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), del Regolamento interno dell’istituto e delle altre disposizioni, anche sovranazionali, attinenti ai diritti e ai doveri del detenuto e dell’internato, alla disciplina e al trattamento penitenziario, tra cui la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).

La Carta prevede innanzitutto, che all’atto di ingresso in istituto, il detenuto ha diritto di avvertire i propri familiari, sia in caso di provenienza dalla libertà, sia in caso di trasferimento da altro istituto.

Il detenuto viene dunque sottoposto al prelievo delle impronte digitali e alla perquisizione e deve consegnare denaro, orologio, cintura e oggetti di valore. Deve anche sottoporsi a visita medica e psicologica durante la quale potrà riferire eventuali problemi di salute, dipendenze, intolleranze e necessità di assunzione di farmaci. Egli può chiedere di non convivere con altri detenuti per motivi di tutela della propria incolumità personale.

Il diritto dei diritti dei detenuti è poi chiaramente il diritto di difesa. Salvo che l’autorità giudiziaria ponga al momento dell’arresto un divieto (che non può essere superiore a 5 giorni), il detenuto ha diritto ad avere colloqui con il proprio difensore sin dal momento dell’ingresso e per tutta la permanenza in carcere, negli orari e con le modalità stabilite, facendone richiesta attraverso l’Ufficio Matricola.

Nello svolgimento della vita quotidiana in carcere, la Carta dei diritti dei detenuti prevede che gli istituti penitenziari siano dotati di locali – di ampiezza sufficiente, areati e riscaldati, muniti di servizi igienici riservati – per le esigenze di vita individuale e di locali per lo svolgimento delle attività in comune.

Nell’istituto vanno organizzate attività culturali, sportive e ricreative che fanno parte del trattamento rieducativo, per partecipare alle quali è sufficiente una richiesta scritta da parte del detenuto.

Durante la permanenza all’aperto è consentito ai detenuti lo svolgimento di attività sportive.

Il detenuto ha diritto di ricevere biancheria, vestiario e corredo per il letto, di cui deve averne cura e deve, altresì, provvedere alla pulizia della cella e al decoro della sua persona. Gli è assicurata la possibilità di fare la doccia e di fruire di un periodico taglio di barba e capelli.

Ciascun detenuto o internato ha diritto di permanere all’aperto almeno per 2 ore al giorno o, in
determinati regimi di custodia, per un tempo più breve ma non meno di un’ora.

Il detenuto ha diritto ad uno spazio adeguato, ciò non solo al fine di garantire parametri di igiene e salubrità all’interno delle strutture penitenziarie, ma anche al fine di assicurare che la pena non si traduca in un trattamento inumano e degradante. A tal fine si raccomanda che le celle occupate da una persona non misurino meno di 7 mq, con almeno 2 mq tra le pareti e 2,5 mq tra il pavimento e il soffitto.

Il detenuto o internato ha diritto a un’alimentazione sana e adeguata alle proprie condizioni. Ha diritto a 3 pasti al giorno, somministrati negli orari stabiliti dal regolamento interno di istituto. Ha diritto di avere a disposizione acqua potabile e di utilizzare, nel rispetto delle regole di sicurezza, un fornello personale. È pure consentito l’acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto (cosiddetto “sopravitto”) ed è garantito il diritto dei detenuti di ricevere dall’esterno analoghe merci in pacchi, ma entro limiti di peso prefissati.

Il detenuto ha diritto a non subire mezzi di coercizione fisica a fini disciplinari (quali l’uso delle manette) e può proporre reclamo al magistrato di sorveglianza in ordine alle condizioni di esercizio del potere disciplinare. Più in generale, egli può proporre reclamo al magistrato di sorveglianza per far valere i diritti riconosciuti dalla legge penitenziaria, e può rivolgersi per ogni tipo di doglianza al direttore dell’istituto, agli ispettori, al Ministro della Giustizia, al magistrato di sorveglianza, alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto, al Presidente della Giunta regionale e al Capo dello Stato.

I detenuti imputati possono partecipare, a loro richiesta, ad attività lavorative, sia all’interno dell’istituto (cuciniere, barbiere, magazziniere…) che all’esterno (ove ne sussistano le condizioni). La retribuzione è stabilita in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. Si noti, inoltre, che Il detenuto, che presti attività lavorativa alle dipendenze dell’amministrazione carceraria, ha diritto alle ferie annuali retribuite, riconosciuto dalla Costituzione senza distinzioni di sorta (v. Corte Cost. sent. 158/2001).

I detenuti e gli internati hanno il diritto di avere colloqui visivi con i familiari o con persone diverse (quando ricorrono ragionevoli motivi), oltre che con il difensore e con il garante dei diritti dei
detenuti. Durante il colloquio, che si svolge in appositi locali senza mezzi divisori e sotto il controllo visivo e non auditivo del personale di polizia penitenziaria, il detenuto deve tenere un comportamento corretto; in caso contrario, può essere escluso dai colloqui. Ogni detenuto in regime ordinario ha diritto a 6 colloqui al mese, ciascuno per un massimo di un’ora e con non più di 3 persone per volta.

Il detenuto ha pure diritto a colloqui telefonici con i familiari e conviventi, e in casi particolari (per accertati motivi) con persone diverse; tali colloqui sono concessi una volta a settimana per la durata massima di 10 minuti ciascuno, nonché al rientro in istituto dal permesso o dalla licenza. Le spese sono a carico del detenuto. La richiesta deve essere indirizzata, per gli imputati, all’Autorità Giudiziaria che procede; per i condannati (anche con sentenza di primo grado) e per gli internati, invece, essa va inoltrata al direttore dell’istituto.

La corrispondenza può essere ricevuta in carcere senza limitazioni nel regime ordinario. Ogni detenuto può ricevere quattro pacchi mensili non eccedenti i 20 kg, sia in occasione dei colloqui, sia se siano stati spediti per posta qualora nei quindici giorni precedenti egli non abbia fruito di alcun colloquio visivo. La corrispondenza indirizzata dal detenuto a difensori, o a membri del Parlamento, rappresentanze diplomatiche o consolari del paese di appartenenza, organismi di tutela dei diritti umani, non può subire limitazione alcuna.

I detenuti e gli internati hanno il diritto di esercitare il voto in occasione di consultazioni elettorali in un seggio speciale, previa dichiarazione della volontà di esprimerlo, indirizzata entro il terzo giorno antecedente la votazione al Sindaco del luogo ove si trova l’istituto.

I detenuti stranieri hanno il diritto di chiedere che le autorità consolari del loro Paese siano informate dell’arresto, di ricevere l’estratto delle norme nella propria lingua, di effettuare telefonate e colloqui con l’ausilio di un interprete. Hanno il diritto di soddisfare le proprie abitudini alimentari e le loro esigenze di vita religiosa e spirituale. Il detenuto può chiedere il trasferimento nel Paese di cui è cittadino per scontare la condanna (superiore a sei mesi) subita in Italia; la relativa richiesta va presentata al Ministero della Giustizia dell’Italia oppure, se il fatto costituisce reato in entrambi i Paesi, al Ministero della Giustizia dello Stato di cui è cittadino.

Il raffronto delle superiori enunciazioni normative con la realtà del pianeta carcere lascia perplessi e dubbiosi sulla possibilità di realizzazione effettiva di una esecuzione penale realmente rispettosa dei diritti umani. Che in buona parte degli istituti di pena italiani i detenuti siano sottoposti a trattamenti “inumani e degradanti”, a causa delle situazioni di incontinenza derivanti del sovraffollamento, è cosa assai nota. Non può esserci rieducazione, senza previo rispetto del limite invalicabile della dignità, alla luce del principio personalistico.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.