I termini processuali: disciplina generale

La disciplina generale dei termini processuali è contenuta agli art. 172 e seguenti del codice del rito.

Il primo comma dell’art. 172 esordisce affermando che i termini processuali sono stabiliti a ore, giorni, mesi, anni; e si computano secondo il calendario comune. Solo per i termini stabiliti a giorni che scadono in giorno festivo, vale la proroga di diritto al giorno successivo. Il sabato non è giorno festivo.

Nel termine processuale a ore o giorni non si calcola l’ora o il giorno di partenza, ma si calcola l’ora o il giorno di arrivo, salvo che la legge disponga altrimenti. Quando è stabilito solamente il momento finale per il compimento di un atto, allora le unità di tempo del termine di riferimento si calcolano intere e libere: non si tiene conto del dies a quo, cioè del momento iniziale, e del dies ad quem, ovvero il momento finale.

Il termine per compiere atti in un ufficio giudiziario si intendono scaduti nel momento in cui, sulla base dei regolamenti interni, l’ufficio è chiuso al pubblico. Tale regola non vale per gli uffici di polizia giudiziaria e per i giudici. Chiusure anticipate al pubblico estemporanee dell’ufficio, anche per alcune ore prima della chiusura normale, non potranno danneggiare il depositante, il quale potrà eventualmente essere considerato in termini in caso di deposito per tutto il giorno non festivo successivo alla stessa (o per le ore corrispondenti di tali giorni in caso di termini a ore), o rimesso in termini.

L’art. 173 c.p.p. prevede la presunzione assoluta che i termini processuali stabiliti dalla legge siano ordinatori, mentre la perentorietà, con la connessa decadenza, possa essere ritenuta solo sulla base di una previsione legislativa.

A loro volta i termini stabiliti a pena di decadenza sono considerati, per una presunzione assoluta, non prorogabili. L’unica deroga possibile a tale disciplina è data da una diversa indicazione legislativa (es. proroga dei termini per le indagini preliminari  e quella dei termini della custodia cautelare).

I  termini processuali stabiliti a favore di una parte, permettono alla stessa di chiedere o di consentire un’abbreviazione degli stessi, o rinunciare ad essi, purché ciò avvenga con dichiarazione ricevuta nella cancelleria o segreteria dell’autorità giudiziaria, e venga poi vagliata da
quest’ultima.

È il giudice, comunque, che in ultima istanza vaglia tale richiesta, e solo se la stessa contrasta con interessi contrari e prevalenti di altre parti, la rigetta. Il potere officioso del giudice in ordine all’abbreviazione dei termini, è tassativamente previsto dalla legge.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.