Indagini della Polizia Giudiziaria: identificazione e sommarie informazioni testimoniali

Attività tipica di Polizia giudiziaria è quella consistente nell’identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, nonché delle persone in grado di riferire circostanze rilevanti in ordine alla ricostruzione dei fatti (art. 349 c.p.p.).

A tal fine la Polizia giudiziaria deve osservare l’art. 66 c.p.p., ovvero deve invitare l’indagato a dichiarare le proprie generalità e quant’altro utile al fine della sua identificazione, ammonendolo circa le conseguenze cui si espone chi si rifiuta o  fornisce false generalità; lo invita inoltre a dichiarare o ad elegge domicilio per le notificazioni a norma dell’art. 161.

Ove occorra, la Polizia giudiziaria può procedere anche mediante l’esecuzione di rilievi dattiloscopici, fotografici  e antropometrici, nonché “altri accertamenti”; con tale ultima locuzione devono intendersi quegli accertamenti che non comportino pregiudizi per la libertà morale della persona, diversi da quello consistente nella momentanea immobilizzazione indispensabile per descrivere o fotografare o misurare parti esposte del corpo umano.

A tale regola fa eccezione il prelievo di materiale biologico finalizzato alla tipizzazione del profilo genetico dell’indagato: se manca il consenso dell’interessato, infatti, la Polizia giudiziaria può procedere al prelievo  coattivo di capelli o saliva, nel rispetto della dignità umana della persona, e previa autorizzazione scritta (oppure resa oralmente e confermata per iscritto) del P.M.

Nel caso in cui la persona nei cui confronti si procede a identificazione, rifiuta di farsi identificare, ovvero fornisce false generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono fondati dubbi circa la loro genuinità, è previsto che la Polizia giudiziaria possa accompagnarla nei propri uffici e ivi trattenerla per il tempo strettamente necessario ai fini dell’identificazione (c.d. fermo identificativo) e comunque non oltre le 12 ore. Dell’accompagnamento va dato immediata notizia al P.M., il quale può ordinare l’immediato rilasciato dell’individuo qualora ritenga che non ricorrano le condizioni previste dalla legge. Il limite temporale di 12 ore può, invece, essere esteso ad un massimo di 24 ore, quando l’identificazione risulti particolarmente complessa.

Altra attività tipica della Polizia giudiziaria è data dall’interrogatorio dell’indagato. L’art. 350 c.p.p., nei sette commi in cui si articola, regola diversi ipotesi di contatto tra Polizia giudiziaria e indagato.

Innanzitutto, l’interrogatorio può essere effettuato da un ufficiale o da un agente di polizia su delega del P.M. ai sensi dell’art. 370 comma 1, solo qualora la persona si trova in stato di libertà ed alla presenza del difensore.

In secondo luogo, unicamente gli ufficiali possono decidere di propria  iniziativa di assumere le dichiarazioni dell’indagato (commi 1,2,3 e 4). Anche in tal caso occorre che l’indagato si trovi in stato di libertà e l’obbligatoria presenza del difensore.

Tali dichiarazioni vanno assunte con le modalità previste dall’art. 64; non è invece richiamato dall’art. 350 l’art. 65, il che significa che l’ufficiale di Polizia giudiziaria non è tenuto a contestare all’indagato il fatto addebitatogli e a rendergli noti gli elementi di prova esistenti a suo carico.

La differenza tra l’interrogatorio delegato e l’interrogatorio assunto dall’ufficiale di propria iniziativa consiste nella differente utilizzabilità dibattimentale. Mentre infatti le dichiarazioni assunte su delega del P.M. sono utilizzabili in dibattimento a norma degli artt. 500 (contestazioni) e 513 (lettura); le dichiarazioni raccolte di propria iniziativa possono invece essere utilizzate per le contestazioni a norma dell’art. 503 co. 3, ovvero al solo fine di giudizio della credibilità della persona esaminata.

I successivi commi 5 e 6 del medesimo art. 350 consentono ai soli ufficiali di Polizia giudiziaria di assumere sul luogo e nell’immediatezza del fatto, dalla persona dell’indagato, notizie e indicazioni utili ai fini dell’immediata prosecuzione delle indagini, anche in assenza del difensore. In tale ultima ipotesi, tuttavia, di tali dichiarazioni è vietata ogni documentazione e utilizzazione.

Infine, il comma 7 disciplina le dichiarazioni spontanee resa dall’indagato alla Polizia giudiziaria. Queste possono provenire anche da soggetti in vinculis, possono essere assunta sia da agente che da ufficiali di Polizia giudiziaria e non richiedono la necessaria presenza del difensore.

Esse, al pari delle dichiarazioni regolate nei primi quattro commi dell’art. 350, non possono essere oggetto di lettura nel dibattimento, potendo essere utilizzate esclusivamente per le contestazioni di cui all’art. 503, comma 3.

Ai sensi del comma 1, la Polizia giudiziaria può assumere sommarie informazioni – oltre che dall’indagato – anche dai potenziali testimoni (definiti in fase di indagini, persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini).

All’atto investigativo in discorso, al pari di quanto avviene per l’analogo atto di competenza del P.M. ex art. 362 c.p.p., si applicano le disposizioni relative alla testimonianza contenute agli artt. 197-203 c.p.p., concernenti l’incompatibilità, la testimonianza assistita, obblighi e facoltà di astensione del testimone.

Quanto al valore probatorio che le sommarie informazioni testimoniali (cc.dd. s.i.t.) possono assumere in sede dibattimentale, le stesse possono essere utilizzate per le contestazioni di cui all’art. 500, nonché essere oggetto di lettura a norma dell’art. 512 in caso di irreperibilità, sopravvenuta e non prevedibile, della persona che le ha rese.

Alla persona informata sui fatti è riconosciuta la garanzia di cui all’art. 63, relativo all’ipotesi in cui essa renda dichiarazioni autoindizianti nel corso della raccolta delle sommarie informazioni: l’esame va cioè interrotto e alla persona devono essere dati gli avvisi di cui all’art. 64 c.p.p.

Infine, la Polizia giudiziaria può assumere anche informazioni da persone imputate in procedimento connesso o imputate di un reato collegato a quello per cui si procede. In tal caso procede un ufficiale, avvisando tempestivamente il difensore che ha diritto di assistere all’atto.

Il funzionario di polizia, prima che abbia inizio l’interrogatorio dell’indagato o dell’imputato di reato connesso o collegato, deve avvertire il dichiarante della sua possibile trasformazione in testimone assistito nei casi previsti dall’art. 64, comma 3, lett. c) c.p.p.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.