Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro

Il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, p. e p. dall’art. 603 bis c.p., punisce tutte quelle condotte distorsive del mercato del lavoro che, in quanto caratterizzate dallo sfruttamento mediante violenza, minaccia o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno e di necessità dei lavoratori, non si risolvono in mere violazioni delle regole relative all’avviamento nel mercato del lavoro, ma realizzano un vero e proprio sfruttamento, unitamente (anche se in secondo piano) a violazioni sulle leggi fiscali e tributarie (c. Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 14591 del 27 marzo 2014).

L’introduzione dell’art. 603 bis c.p. è avvenuta ad opera del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito in  l. 14 settembre 2011, n. 148), rispondendo all’obiettivo di contrastare il fenomeno del c.d. “caporalato”. Si tratta di una grave forma di sfruttamento del lavoro, ancora oggi diffusa sopratutto nel meridione, che consiste nel reclutamento, da parte di soggetti spesso collegati con organizzazioni criminali, di operai generici, nel loro trasporto sui campi o presso i cantieri edili per essere messi a disposizione di un impresa utilizzatrice che pagherà il “caporale” che fornisce la manodopera, che lucra sulla differenza tra quanto percepito dall’impresa e quanto pagato ai lavoratori.

Non soltanto il lavoro viene prestato a favore di un soggetto diverso da colui che ha raccolto e retribuito la manodopera, ma spesso si tratta di lavoro irregolare, “in nero” con conseguente evasione fiscale e contributiva o comunque prestato con violazione delle norme in materia di orario di lavoro, riposi e sicurezza, nonchè con retribuzioni inferiori a quelle previste dai contratti collettivi.

L’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro appare subito come un reato grave, collocato nel codice penale nel titolo XII del Libro II tra i delitti contro la persona ed in particolare tra i delitti contro la libertà individuale.

La norma è stata da ultimo modificata dalla legge 199/2016, in vigore dal 4 novembre 2016. Il legislatore è intervenuto così ad aggravare il trattamento sanzionatorio, ed a ridefinire l’ambito di applicazione del nuovo delitto, che appare molto più ampio rispetto al precedente.

Nell’originaria formulazione, il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro era costruito su tre elementi: la sussistenza di una attività organizzata di intermediazione nel reclutamento di manodopera o nell’organizzazione del lavoro di questa in condizioni di sfruttamento, una condotta caratterizzata da violenza, minaccia o intimidazione e, infine, l’approfittamento dello stato di bisogno o di necessità del lavoratore.

Le modalità della condotta consistenti nella violenza, nella minaccia o nell’intimidazione scompaiono dalla fattispecie base e caratterizzano ora soltanto l’ipotesi aggravata prevista dal secondo comma; viene, inoltre, diversamente definita la condotta di intermediazione, eliminando il riferimento alla sussistenza di una attività organizzata cosicché essa è ora descritta semplicemente come reclutamento di manodopera. Viene, infine, introdotta una nuova condotta che punisce l’utilizzo, impiego o assunzione di manodopera in condizioni di sfruttamento e approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.

Il vero quid novum della novella è rappresentato dall’introduzione della condotta di utilizzo, impiego o assunzione di manodopera in condizioni di sfruttamento, anche mediante l’attività di intermediazione, allo scopo di punire anche l’utilizzatore del lavoratore sfruttato.

Tuttavia, per come formulata, la condotta di utilizzo di manodopera appare scarsamente caratterizzata in termini di disvalore, derivando dalle condizioni di sfruttamento, oltre che dall’ulteriore elemento dell’approfittamento dello stato di bisogno del lavoratore. Così descritta, la nuova incriminazione si presta, a ben vedere, ad una ben più vasta applicazione, posto che gli indici di sfruttamento previsti dal legislatore sono, purtroppo, assai frequenti nella realtà.

Basti pensare alla frequente corresponsione di retribuzioni difformi dai contratti collettivi nazionali o territoriali, alla ricorrente violazione della normativa relativa all’orario di lavoro o al riposo settimanale e, ancora di più, alla violazione di norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro.

Quanto alle condizioni di sfruttamento di cui al terzo comma dell’art. 603-bis c.p., il legislatore ha ritenuto di fornirne una più compiuta definizione, elencando una serie di situazioni in cui questo può essere riscontrato; si tratta di meri “indici” che, come è stato sottolineato, rappresentano soltanto “elementi sintomatici” e non esauriscono la nozione medesima.

In particolare, l’attuale terzo comma della norma prevede quattro indici di sfruttamento:

  • la reiterata (in luogo di sistematica) violazione della normativa sulla retribuzione o sull’orario di lavoro, riposo, aspettativa obbligatoria e ferie. La norma, a seguito della novella, richiede quindi semplicemente la ripetizione di determinati comportamenti, senza che essi rappresentino il “sistema” di un’organizzazione in quel determinato contesto lavorativo;
  • la  sussistenza di violazioni di norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro (in precedenza si richiedeva che tali violazioni fossero tali “da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l’incolumità personale”);
  • la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti (nella vecchia formulazione, ci si riferiva alla sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazioni alloggiative “particolarmente degradanti” e dal quale ora è stato eliminato l’avverbio “particolarmente”).

Ove la violazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro espone i lavoratori sfruttati a situazioni di grave pericolo, scatta la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui al n. 3 dell’ultimo comma dell’art. 603-bis cp con un aumento della pena da un terzo alla metà. Aggravante che ricorre anche nel caso in cui il numero dei lavoratori reclutati sia superiore a tre ovvero se una o più delle persone  reclutate siano minori in età non lavorativa.

La dilatazione della nozione di sfruttamento fa sì che l’unico elemento su cui viene incentrato il disvalore della fattispecie sia oggi rappresentato dall’approfittamento dello stato di bisogno del lavoratore, nella cui individuazione rileva la connotazione in termini di riprovevolezza della condotta dell’agente e, conseguentemente, lo slittamento verso la punizione di un autore socialmente nocivo più che di un fatto dannoso o pericoloso.

In ogni caso, la disposizione si apre con una clausola di sussidiarietà e, pertanto, è destinata ad applicarsi soltanto ove non sussista un reato più grave. È chiaro che il legislatore si è preoccupato dell’interferenza della fattispecie con quelle limitrofe della riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.), della tratta di persone (art. 601 c.p.) e dell’acquisto o alienazione di schiavi (art. 602 c.p.).

Inoltre, la giurisprudenza ha talvolta ricondotto al delitto di estorsione la condotta di colui che, approfittando delle difficoltà economiche e della situazione precaria del mercato del lavoro, costringa i lavoratori mediante minaccia – che, però, può consistere anche nel “paventare larvatamente” la non assunzione, il licenziamento o la mancata corresponsione della retribuzione – ad accettare condizioni di lavoro gravemente contrarie alla normativa giuslavoristica (v. Cass. pen., Sez. II, 14.4.2016 n. 18727).

A completamento della disciplina, il successivo art. 603 bis 2 c.p. prevede che, in caso di condanna o di patteggiamento per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, oltre ai diritti risarcitori e restitutori che possono essere vantati dalle persone offese, è sempre obbligatorio procedere alla confisca dei beni che sono serviti o sono stati destinati alla commissione del reato o che ne costituiscono il prezzo, prodotto o il profitto, a meno che non appartengano a una persona estranea al reato. Nel caso in cui non sia possibile disporre la confisca dei beni suddetti di cui il responsabile, anche per interposta persona, ha la disponibilità, si devono confiscare beni di valore corrispondente al prodotto, prezzo o profitto del reato.

Infine, ove sussistono le condizioni per procedere al sequestro, il giudice può disporre al posto di questa misura, il controllo giudiziario dell’azienda in cui cui e’ stato commesso il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro se l’interruzione dell’attività’ può avere riflessi negativi sull’occupazione e sul valore economico dell’azienda. Il Giudice nomina inoltre uno o più amministratori giudiziari che devono affiancare l’imprenditore per garantire il rispetto delle regole, impedire la reiterazione del reato di sfruttamento e regolarizzare i lavoratori.

 

Fonti:

  • Annarita De Rubeis, Qualche breve considerazione critica sul nuovo reato di intermediazione illeciti e sfruttamento del lavoro, in DPC, n. 4/2017;
  • Perelli Simone, Intermediazione e sfruttamento del lavoro. Una riforma importante, passata in sordina, in Questione Giustizia, 31 marzo 2017.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.