Il delitto di peculato, art. 314 c.p.

Il delitto di peculato è p. e p. dall’art. 314 c.p. Trattasi di un reato plurioffensivo, che tutela non solo il regolare funzionamento della P.A., ma anche gli interessi patrimoniali di quest’ultima.

La norma dispone testualmente:

“Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria è punito con la reclusione da quattro anni a dieci anni”. (…)

Si tratta – con tutta evidenza – di un reato proprio; e segnatamente, di un reato proprio non esclusivo, potendo essere concretamente commesso anche da un estraneo in accordo con i soggetti pubblici indicati (in tal caso si applicherà l’art. 117 c.p.). Quanto invece al soggetto passivo, questo può individuarsi tanto nella P.A., quanto – insieme a quest’ultima – nel privato cittadino, a seconda dell’appartenenza della cosa oggetto di appropriazione.

La norma in esame ha assunto tale configurazione con la L. 26 aprile 1990, n. 86. E’ stata così eliminata la vecchia dicotomia tra peculato ( sempre disciplinato all’art. 314) e malversazione a danno di privati (art. 315, ora abrogato); si trattava di due fattispecie pressoché coincidenti, che si differenziavano per il semplice fatto che nel peculato il denaro o la cosa mobile appartenevano alla pubblica amministrazione, mentre nella malversazione di cui all’abrogato art. 315 appartenevano al privato, ancorché in possesso della pubblica amministrazione.

La condotta consiste nell’appropriazione di denaro o di altra cosa mobile altrui. È scomparso il riferimento alla condotta distrattiva (ragione per la quale secondo alcuni essa sarebbe ad oggi punibile a titolo dell’ art. 323 c.p., che rappresenta una fattispecie punita meno gravemente), mentre è stato aggiunta dalla novella del ’90 la possibilità che il bene non sia in proprietà esclusiva della P.A., ma anche di un privato.

L’appropriazione va individuata in quella condotta dell’agente che inizi a comportarsi uti dominus  nei confronti della cosa. Occorre quindi una vera e propria interversione del possesso, non essendo sufficiente la mera acquisizione della disponibilità materiale della cosa, ma occorrendo altresì che l’agente su di essa eserciti la volontà di tenere per sé il bene (finalità ben oggettivizzata in atti quali l’alienazione, la trasformazione, il rifiuto alla restituzione, l’occultamento, etc).

Presupposto della condotta di peculato è il possesso o la disponibilità del denaro o di altra cosa mobile altrui. Già prima della riformulazione della norma, con la quale è stata introdotta – accanto al possesso della cosa – anche la situazione di mera disponibilità, vi era largo consenso sul fatto che il possesso di cui alla fattispecie in esame fosse intendersi in senso molto più ampio rispetto al possesso civilistico ex art. 1140 c.c.

Altro presupposto è la ragione d’ufficio o servizio a qualificare il possesso della cosa fatta propria. Secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza, essa ricorrerebbe anche nel caso di un possesso determinato da semplici prassi, consuetudini o perfino da mere occasionalità, che siano comunque tutte riconducibili all’ufficio o al servizio.

Si richiede infine l’altruità della cosa. Ne consegue che l’appropriazione di una res nullius non costituirà peculato.

Quanto al momento consumativo, si ritiene essere un reato istantaneo. Configurabile il tentativo.

Dal punto di vista soggettivo è sufficiente il dolo generico. Quanto ai rapporti con altre fattispecie, non sempre agevole risulta la distinzione con la truffa aggravata ex art. 61 n. 9 c.p. Per consolidato orientamento giurisprudenziale, occorrerebbe guardare alle modalità di acquisizione del possesso, in quanto la truffa è integrata quando gli artifizi e raggiri sono posti in essere per conseguire la disponibilità del bene, mentre nel peculato l’agente ha già tale disponibilità in ragione del suo ufficio.

Il Peculato d’uso, art. 314 co. 2 c.p.

Il secondo comma dell’art. 314 punisce invece il peculato c.d. d’uso, che si ritiene integrare una fattispecie di reato autonoma, e non una semplice attenuante di tipo speciale rispetto a quella di cui al comma 1, in cui l’elemento specializzante consiste nel dolo specifico richiesto, consistente nello scopo di usare temporaneamente la cosa sottratta.

Recita la disposizione: “… Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita”.

L’introduzione della norma sul peculato d’uso si è rivelata estremamente opportuna in quanto ha risolto un problema molto delicato. Sotto il vigore della vecchia normativa era controverso, infatti, se un uso improprio, quindi non il comportamento che determina o l’appropriazione o il dirottamento definitivo della cosa mobile, ma semplicemente l’uso improprio di una cosa appartenente alla pubblica amministrazione, che rimaneva nell’ambito del patrimonio della pubblica amministrazione, ma veniva utilizzata in maniera illegittima, potesse essere apprezzabile alla stregua della norma sul peculato. La riforma sopra già citata, con cui si è riscritto l’art. 314, sul punto ha fugato ogni dubbio.

L’uso momentaneo deve essere comunque di breve durata. L’uso prolungato comporterebbe infatti l’ipotesi di reato di cui al comma 1.

Va sottolineato come la giurisprudenza ai fini della integrazione del reato richiede che l’utilizzo momento del bene pregiudichi in modo apprezzabile i beni giuridici protetti, altrimenti difetterebbe di concreta offensività e sarà quindi non punibile per difetto di tipicità. Si è ritenuto ad es. che l’uso momentaneo di autovetture di servizio per finalità non corrispondenti a quelle istituzionali integra il delitto in parola, solo nei casi in cui ciò abbia arrecato un concreto e significativo danno all’ente.

Inoltre, il peculato d’uso può avere ad oggetto solo cose di specie, con la conseguenza che nell’ipotesi del c.d. vuoto di cassa, non potrà trovare applicazione il comma 2 dell’art. 314 c.p., essendo in tale caso possibile una restituzione solo del tantundem.

Tale soluzione parrebbe confermata dal tenore letterale del medesimo art. 314, laddove il comma 1 parla di denaro o di altra cosa mobile, mentre il comma 2 fa riferimento solamente ad una cosa mobile.

Si tratta, al pari del comma 1, di un reato istantaneo. Tuttavia, si dubita che sia configurabile il tentativo. In particolare, se l’agente si è impossessato del bene, ma per circostanze esterne alla sua volontà non può restituirlo, si configurerebbe il peculato di cui al comma 1, e non il tentativo di peculato d’uso ex comma 2.

Peculato mediante profitto dell’errore altrui, art. 316 c.p.

L’art. 316 disciplina il peculato mediante profitto dell’errore altrui. In ordine all’utilizzo del termine peculato operato dalla norma, la dottrina prevalente ritiene trattarsi di una scelta impropria, posto che, non essendo richiesto per la configurabilità del fatto il previo possesso della cosa altrui, mancherebbe il presupposto dell’appropriazione.

Trattasi di un reato proprio. Il soggetto passivo può essere soltanto la P.A., pertanto il privato che subisce la condotta delittuosa potrà al massimo essere mero danneggiato.

La condotta tipica consiste nella ricezione non dovuta o nella ritenzione di denaro o altra utilità, che il terzo consegna per essere erroneamente convinto di trovarsi innanzi a una prestazione dovuta. Errore di cui l’agente profitta, che l’agente sfrutta.

Il reato si consuma quando l’agente riceve consapevolmente il denaro o il bene indebitamente. Ammissibile il tentativo.

Si richiede il dolo generico, con la precisazione che esso deve comprendere anche l’intenzione di sfruttare l’errore del terzo.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.