Imputato straniero: diritto all’interprete e alla traduzione degli atti

Nell’ordinamento Italiano, l’accesso imparziale alla giustizia e il rispetto del principio di uguaglianza trovano riflesso nel riconoscimento, a ogni imputato straniero che non conosca la lingua italiana, della garanzia di essere assistito linguisticamente mediante la figura dell’interprete e della traduzione degli atti del procedimento in una lingua ad egli comprensibile.

Ogni imputato straniero, che non conosce la lingua italiana, ha infatti il diritto di essere informato, in una lingua a lui comprensibile, della natura e dei motivi dell’accusa mossa nei suoi confronti, in modo da comprendere gli atti e l’attività processuale, conoscere le facoltà processuali a lui legittime e apprestare adeguatamente la sua difesa, senza essere pregiudicato nel diritto di partecipare attivamente al processo (artt. 5  e 6 CEDU, 35 e 14 del Patto internazionale sui Diritti civili e politici).

Il diritto ad essere informati dell’accusa in una lingua comprensibile si presenta indissolubilmente legato con il diritto di difesa. Trattasi, insomma, del fondamento di ogni altro diritto riconosciuto alla persona sottoposta a procedimento penale: in carenza di assistenza linguistica a favore dell’imputato che non parli o non comprenda la lingua utilizzata nel processo, la stessa difesa tecnica si rivelerebbe garanzia meramente formale.

L’art. 143 comma 1 c.p.p. prevede, infatti, che:

L’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente, indipendentemente dall’esito del procedimento, da un interprete al fine di potere comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. Ha altresì diritto all’assistenza gratuita di un interprete per le comunicazioni con il difensore prima di rendere un interrogatorio, ovvero al fine di presentare una richiesta o una memoria nel corso del procedimento.

Il tenore letterale delle disposizioni – che riservano attenzione al solo «interprete» (e non anche al «traduttore») e, per di più, rapportano il diritto ad ottenere l’assistenza di un interprete alla «udienza» o al «processo» – evoca un’assistenza linguistica dovuta nella sola fase orale del dibattimento. E tuttavia, la portata della garanzia va ben oltre l’assistenza linguistica orale nell’udienza dibattimentale.

Il comma 2 dell’art. 143 c.p.p. prevede che l’autorità procedente disponga la traduzione scritta, in tempi adeguati da consentire l’esercizio dei diritti e della facoltà della difesa, dell’informazione di garanzia, dell’informazione sul diritto di difesa, dei provvedimenti che dispongono misure cautelari personali, dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, dei decreti che dispongono l’udienza preliminare e la citazione a giudizio, delle sentenze e dei decreti penali di condanna.

La Corte costituzionale non ha esitato ad affermare che «il diritto dell’imputato ad essere immediatamente e dettagliatamente informato nella lingua da lui conosciuta della natura e dei motivi dell’imputazione contestatagli dev’esser considerato un diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile»: «poiché si tratta di un diritto la cui garanzia, ancorché esplicitata da atti aventi il rango della legge ordinaria, esprime un contenuto di valore implicito nel riconoscimento costituzionale, a favore di ogni uomo (cittadino o straniero), del diritto inviolabile alla difesa (art. 24, comma 2, Cost.), ne consegue che, in ragione della natura di quest’ultimo quale principio fondamentale, ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, il giudice è sottoposto al vincolo interpretativo di conferire alle norme, che contengono le garanzie dei diritti di difesa in ordine alla esatta comprensione dell’accusa, un significato espansivo, diretto a render concreto ed effettivo, nei limiti del possibile, il sopra indicato diritto dell’imputato» (C. cost., sent. 12 gennaio 1993, n. 10).

Bisogna osservare, inoltre, che l’ordinamento giuridico italiano si basa su una presunzione di conoscenza della lingua nazionale da parte dei cittadini italiani e che sancisce il diritto all’interprete o alla traduzione come un diritto relativo in quanto non è riconosciuto in modo automatico ad ogni imputato che non abbia la cittadinanza italiana. L’accertamento sulla conoscenza della lingua italiana è compiuto dall’autorità giudiziaria. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano (art. 143 comma 4).

L’interprete e il traduttore sono nominati anche quando il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare (art. 143 comma 5).

La violazione delle normative in materia di assistenza linguistica dell’imputato straniero ha come conseguenza la dichiarazione di nullità degli atti e dell’attività processuale.

La Giurisprudenza italiana prevalente attribuisce agli atti e all’attività processuale in cui non è stato riconosciuto il diritto di tutela linguistica a un imputato non italoglotta una nullità di ordine generale, in quanto si presenta un’inosservanza delle normative che sanciscono il diritto di assistenza dell’imputato, ai sensi dell’art. 178, lett. c) c.p.p.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.