Il genitore che impedisca il diritto di visita dei figli commette reato

Accade di frequente che dopo la separazione, il genitore affidatario impedisca all’altro di vedere i propri figli, nei giorni e nelle ore stabilite, eludendo così il provvedimento presidenziale di separazione. Non vi è dubbio che tale condotta costituisca un illecito penale; quello, in particolare, previsto dall’art. 388 comma 2 c.p. (rubr. Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice).

La norma testé citata configura un reato plurioffensivo, atteso che tutela non solo l’autorità delle decisioni giudiziarie, ma anche l’interesse del privato a favore del quale è stato emesso il provvedimento o la sentenza del giudice. Il delitto è inoltre un reato proprio, dato che può essere commesso solamente dal destinatario del provvedimento o della sentenza del giudice.

Per quanto attiene alla condotta tipica punita dal comma 2, essa è rappresentata dall’elusione di un provvedimento del giudice civile, amministrativo o contabile che riguardi l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, oppure la prescrizione di misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. I particolari oggetti del secondo comma rendono speciale ex art. 15 la disposizione, di modo che le condotte di cui all’art. 650 c.p., concernenti l’inosservanza dolosa dei provvedimenti dell’autorità, hanno un’applicazione residuale.

Per quanto concerne invece l’elemento soggettivo, è sufficiente l’accertamento del dolo generico, consistente nella rappresentazione e volontà di eludere il provvedimento e gli obblighi ivi specificati.

Recentemente, a titolo esemplificativo,  la Corte di Cassazione (sez. VI, sentenza n. 50072/2016) ha confermato la condanna a 3 mesi di carcere, oltre al risarcimento dei danni, a carico di una donna ritenuta responsabile del reato ex art. 388 comma 2 c.p., per avere, per tre volte consecutive, negato all’ex compagno e padre di vedere la propria figlia. Secondo la Cassazione, infatti, anche se vi sono contrasti e disagi tra i minori e l’ex partner, la mamma non può farsi giustizia da sé, ma deve chiedere l’intervento dei servizi sociali o ricorrere a provvedimenti sospensivi.

Il motivo plausibile e giustificato che può costituire valida causa di esclusione della colpevolezza, è solo quello che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla (Cass. n. 7611/2015).

Infatti, il genitore affidatario, pur obbligato a consentire l’esercizio del diritto di visita da parte dell’altro genitore secondo le prescrizioni stabilite dal giudice, essendo egli nello stesso tempo tenuto a garantire la crescita serena ed equilibrata del minore a norma dell’art. 155, 3° comma, c.c., ha in ogni momento il diritto-dovere di assicurare massima tutela all’interesse preminente del minore, ove tale interesse, per la naturale fluidità di ogni situazione umana, non sia stato potuto essere tempestivamente portato alla valutazione del giudice civile: per l’effetto, il rifiuto di visita, specie laddove ricusato dal minore, può trovare giustificazione nell’esigenza prevalente di tutelare l’interesse morale e materiale del minore (Cass. sez. VI,  n. 10701/2010).

Risulta, inoltre, da escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo nell’inottemperanza all’ordine di consentire all’altro coniuge la visita al figlio in un certo giorno, quando tale inottemperanza sia dovuta a concomitanti impegni del minore, non fissati e non modificabili dal genitore affidatario, quali le lezioni del catechismo (Cass. Sez. VI, 19.6.2006, n. 27613).

Infine, va rilevato altresì come accada talvolta che il giudice, nel definire il diritto di visita del padre, invece di indicare i giorni e gli orari esatti in cui questi può vedere i propri figli, decica che ciò può avvenire «quando vuole». E bene, secondo la Cassazione (sent. n. 1748/18), la genericità di tale decisione costringerebbe la madre – per non incorrere nel reato – di farsi trovare a casa ogni giorno e in ogni momento. Il che non è, per ovvie ragioni, una condotta esigibile dal genitore affidatario. Negare, pertanto, in tali evenienze il diritto di visita non costituisce reato, se dietro tale negazione non si nasconda la precisa volontà del genitore di non far vedere all’altro i loro figli.

La genericità della prescrizione, infatti, “autorizza” l’ex compagno a esercitare in modo arbitrario il diritto, esponendo l’altro genitore a mettersi sempre a sua disposizione. Essendo necessario, ai fini della configurabilità del reato de quo, che ci sia il dolo, ossia la volontà di impedire gli incontri, bisogna che il giudice abbia indicato con precisione quando tali incontri devono avvenire.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.