Il principio di legalità

Il principio di legalità costituisce il pilastro sul quale si fonda lo Stato di diritto moderno.

Tale principio invero, permea l’intero ordinamento giuridico, ma acquista particolare rilevanza nell’ambito del diritto penale, ove sancisce la necessaria predeterminazione legislativa delle fattispecie delittuose (reati), nonché delle sanzioni penali (pene), espressa dal brocardo latino “nullum crimen, nulla poena sine lege” .

Nell’ordinamento giuridico italiano il principio di legalità ha fatto il suo ingresso già a partire dai codici preunitari ed è stato in seguito sancito nello Statuto Albertino del 1848, nonché nel codice Zanardelli del 1889 (art. 1) ed ha trovato conferma, infine, nel codice Rocco del 1930. Secondo l’art. 1 c.p. “nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto dalla legge come reato, né con pene che non siano da essa stabilite“.

Inoltre, secondo l’art. 2 c.p. , “nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato”.

Con l’avvento della Costituzione il principio di legalità è stato consacrato nella disposizione di cui all’articolo 25, comma secondo, Cost., che prevede che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso“.

L’oggetto della predeterminazione legislativa è duplice, dovendo riguardare tanto le fattispecie di reato, quanto le pene cui assoggettare il reo, per le quali è stato concepito un sistema del “doppio binario”, in quanto nell’ambito delle conseguenze penali del reato si distinguono le pene (con connotazione prevalentemente afflittiva che, tuttavia, si è attenuata in virtù della previsione costituzionale del finalismo rieducativo della pena) dalle misure di sicurezza, rivolte al futuro e alla prevenzione della commissione di nuovi delitti.

Il principio di legalità è inoltre sancito, a livello sovranazionale, anche nell’art. 7 CEDU , secondo cui “Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”.

L’articolo 7 CEDU enuncia, in particolare, i principi di legalità e di irretroattività favorevole.

La disposizione citata, pur prevedendo il principio di tassatività (o “chiarezza” nella formulazione della norma) non prevede invece, il principio di riserva di legge. Ciò si spiega ove si consideri l’esigenza sottesa alla Convenzione, ovvero quella di sancire principi di diritto egualmente applicabili in tutti gli Stati firmatari, alcuni tra i quali adottano il sistema di common law, che – com’è noto – si fonda sul diritto giurisprudenziale e sulla forza vincolante delle decisioni giudiziali (principio dello “stare decisis”); sistema che mal si attaglierebbe, dunque, alla previsione del principio di riserva di legge, così come inteso negli Stati di civil law, poiché implicherebbe l’obbligo di una legge scritta .

La disposizione in commento ha prodotto l’effetto di rafforzare ed innovare la portata garantistica dei principi di legalità ed irretroattività sfavorevole contemplati nel diritto penale interno, valorizzando gli aspetti qualitativi della legalità, concernenti anche i caratteri dell’accessibilità e della prevedibilità .

Per quanto concerne il primo, esso presuppone che il cittadino debba disporre di informazioni sufficienti sulle norme giuridiche applicate ad un dato caso. Dunque, perché le norme siano sufficientemente accessibili, è necessario che esse siano pubblicate o comunque portate adeguatamente a conoscenza dei destinatari.

Per quanto concerne il requisito della prevedibilità, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo lo ha articolato in due ulteriori sottoprincipi, relativi, uno, al momento formativo della disposizione, l’altro, al momento interpretativo.

In primo luogo infatti, il principio di prevedibilità richiede che l’illecito penale e la pena siano chiaramente definiti dalla legge, ove il termine “legge” va inteso in senso generico e dunque destinato a ricomprendere anche la consuetudine o la common law, sicché, anche la definizione giurisprudenziale deve rispondere agli stessi requisiti di determinatezza previsti per le fonti scritte.

Per quanto riguarda il tasso di determinatezza richiesto, la Corte ha affermato che si può considerare “legge” solo una norma enunciata con precisione tale da permettere al cittadino di regolare la propria condotta ; il cittadino pertanto, “deve essere in grado di prevedere, con un grado ragionevole di approssimazione in rapporto alle circostanze del caso, le conseguenze che possono derivare da un atto determinato” .

Con riferimento all’interpretazione della legge, il principio di determinatezza postula l’interpretazione ragionevole della disposizione penale, necessaria perché possa risultare prevedibile.

La giurisprudenza CEDU ha indicato i criteri idonei ad assicurare la ragionevole prevedibilità della norma penale; in particolare, la Corte di Strasburgo distingue tra una ragionevole interpretazione valutabile alla luce del testo normativo, cosiddetta “ragionevolezza dell’interpretazione tecnica”, da quella valutata tenendo conto dei precedenti risultati interpretativi, cosiddetta “ragionevolezza dell’interpretazione storica” .

Sul primo versante si ritiene sia ragionevole l’interpretazione restrittiva della norma, senza negare tuttavia, la ragionevolezza dell’interpretazione estensiva. La prevedibilità invero, non è esclusa dall’interpretazione estensiva della norma, quando si riferisca ad una prassi giurisprudenziale consolidata e stabilizzata o nel caso in cui la nuova interpretazione risulti plausibile alla luce del mutato contesto storico-sociale, che richieda la necessità di una nuova lettura della norma.

Ne deriva che gli elementi costitutivi del reato possano essere in via interpretativa “precisati e adattati a circostanze nuove che possano ragionevolmente rientrare nella originaria concezione di reato” .

Il principio di legalità è stato concepito in differenti accezioni nel corso della storia e nei diversi sistemi giuridici.

Secondo l’accezione formale del principio di legalità, può essere ritenuto reato il solo fatto qualificato espressamente come illecito penale dalla legge e punito con pene dalla stessa previste (nullum crimen nulla poena sine lege) e non anche il fatto antisociale, offensivo o pericoloso.

Il principio di legalità nella sua accezione formale esprime una scelta politica individualistico-garantista volta a salvaguardare la libertà del singolo individuo, il cosiddetto favor libertatis .

Tale impostazione ha senza dubbio il merito di rafforzare le garanzie poste a tutela del cittadino; essa sconta tuttavia un’eccessiva rigidità, in quanto – oltre a non offrire garanzie contro l’arbitrio del legislatore – costituisce un ostacolo alla difesa sociale contro il crimine e produce fratture tra la criminalità legale e reale.

Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del principio di legalità, affermatasi soprattutto nella Russia sovietica e nella Germania nazionalsocialista, secondo la quale sono considerati reati e dunque sottoposti a pena, i fatti socialmente pericolosi, anche se non espressamente previsti dalla legge (nullum crimen nulla poena sine periculo sociali).

Tale accezione sostanziale implica che debba essere ritenuto reato il fatto che offende l’ordine sociale. Sono così punibili le azioni pericolose, che si distaccano dai modelli comportamentali riconosciuti e che non rispettano le attese sociali , anche se non espressamente incriminate dalla legge e viceversa, non sono punibili le azioni incriminate dalla legge se non sono socialmente pericolose.

Il principio di legalità sostanziale esprime una scelta politica collettivistico-utilitaristica a favore della difesa sociale e si fonda sul favor societatis .

L’impostazione sostanziale, pur possedendo l’indubbio pregio di consentire una giustizia più reale e sostanziale, tuttavia risulta difficilmente compatibile con le istanze garantistiche su cui si fonda lo Stato di diritto moderno e dunque, con l’esigenza di certezza del diritto, aprendo le porte all’arbitrio e alle discriminazioni.

La Costituzione invero, secondo parte della dottrina, accoglie una concezione mista di reato, né integralmente formale, né integralmente sostanziale.

Per la Costituzione italiana è reato e come tale viene punito, il fatto previsto dalla legge, materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore, offensivo di valori costituzionalmente significativi o non incompatibili con la Costituzione, causalmente e psicologicamente attribuibile al soggetto, sanzionato con pena proporzionata, in astratto, alla rilevanza del bene tutelato ed in concreto, alla personalità dell’agente e alla gravità della condotta, umanizzata e tendente alla rieducazione del condannato .

Sicché nella concezione mista del principio di legalità il fatto di reato deve essere compatibile con gli altri principi costituzionali di materialità (nullum crimen nulla poena sine actione) , di offensività (nullum crimen nulla poena sine iniura), di colpevolezza (nullum crimen nulla poena sine culpa) e del finalismo rieducativo della pena.

Il principio di legalità si pone a garanzia della certezza del diritto, ovvero dell’interesse e della possibilità del cittadino di conoscere in anticipo le conseguenze giuridiche dei propri comportamenti.

Il principio di legalità si articola nei tre corollari della:

  • riserva di legge,
  • tassatività
  • irretroattività sfavorevole (o divieto di retroazione sfavorevole) .

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.