Il principio di materialità del reato. Il diritto penale del fatto

In base al principio di materialità del reato, nessuna offesa per quanto grave può essere riconosciuta come penalmente rilevante senza un’azione che ne sia la causa.

Il nostro sistema penale ha infatti adottato un sistema penale oggettivo, cioè del fatto materiale, del comportamento umano che si estrinseca nel mondo esteriore ed è suscettibile di percezione sensoria (nullum crimen sine actione). Ne deriva che nessuno può essere punito per una semplice intenzione.

La materialità  del fatto di reato può andare dalla estrinsecazione minima dell’inizio dell’azione (es. reati di tentativo o di attentato) a quella intermedia della realizzazione dell’intera azione (es. i reati di mera condotta) fino a quella massima della realizzazione dell’evento materiale (es. reati di evento).

Tale assunto si deduce implicitamente dall’art. 25, comma secondo, Cost. laddove parla di “fatto commesso”, intendendo per tale una modificazione materiale della realtà.

Solo le azioni esterne, dunque, e non anche gli atti interni sono in grado di produrre danni ai terzi; gli atti interni, ossia i pensieri e le intenzioni non diversamente dai vizi e dalla malvagità d’animo, non sono invece dannosi per alcuno, e nessuno è interessato alla loro punizione o sollecitato alla vendetta.

Da tale principio derivano tre divieti:

  1. è vietato considerare reato una semplice intenzione (es. il proposito di rubare);
  2. è vietato considerare reato un’intenzione ancorché manifestata, finché non assurga agli estremi di tentativo punibile (atti idonei diretti in modo non equivoco ex art. 56 c.p.), ovvero non si traduca in una pubblica istigazione a delinquere (art. 414 c.p.) o a disobbedire alle leggi di ordine pubblico (art. 415 c.p.);
  3. è vietato considerare penalmente responsabile una persona per il modo di essere (es. l’appartenere ad un certo tipo razziale o etnico).

Il principio in questione è fondamentale perché ci dà la prima qualificazione di diritto penale. Non si parlerà mai di diritto penale dell’autore, ma di diritto penale del fatto. A ben vedere, quindi, il diritto penale non si pone come scopo quello del rimprovero delle intenzioni, dei pensieri, del modo di essere. Rilevante per esso, sarà invece l’effettiva condotta (attiva o omissiva) che quel soggetto porrà in essere sul piano concreto, sul piano materiale appunto. Il diritto penale non punirà mai Tizio nel caso in cui lo stesso voglia uccidere taluno e non metta in pratica il di lui proposito. Interverrà solo nel caso in cui Tizio faccia “uscire” fuori dalla propria mente l’idea criminosa e uccida effettivamente la designata vittima.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.