Il principio di riserva di legge penale: nullum crimen nulla poena sine lege

Il principio di riserva di legge in materia penale (nullum crimen nulla poena sine lege scripta), costituisce uno dei corollari del principio di legalità e può essere definito come  principio di legittimazione democratica delle norme e sanzioni penali, in particolare prevedendo che l’unico strumento idoneo a creare norme incriminatrici sia la legge ordinaria e cioè la legge emanata dal potere legislativo, fulcro dell’assetto democratico, il cui procedimento di formazione è sancito dagli articoli 70 e seguenti della Costituzione.

Assegnando il monopolio della criminalizzazione al Parlamento, il quale legifera nella dialettica tra maggioranza ed opposizione, si assicura così un’attenta ponderazione nel vagliare la necessità del ricorso allo strumento penale, sottraendo tali scelte al potere esecutivo.

Così una previsione penale non potrebbe essere contenuta in una legge regionale o in uno statuto comunale, che pure soddisferebbero l’esigenza di certezza del diritto, ma che non rappresentano la volontà dell’intero Paese. Sarebbero inoltre contraddetti il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., il principio di unitarietà dello Stato di cui all’art. 5, e il divieto di cui all’art. 120 comma 1 Cost. di adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone tra le Regioni. Il principio di riserva di legge statuale è stato peraltro formalizzato nel nuovo testo dell’art. 117, comma 2 lettera l) Cost.

La riserva di legge investe, oltre che il fatto, anche la sanzione. Si violerebbe il principio di legalità penale, se la legge si limitasse a prevedere il fatto lasciando al giudice la possibilità di scegliere il tipo e/o la durata della sanzione.

La riserva di legge penale, nell’ordinamento italiana, può definirsi come tendenzialmente assoluta. Tale principio non esclude, infatti, l’integrazione della norma incriminatrice con altra fonte di pari rango o con una fonte subordinata di natura meramente tecnica, come per esempio il decreto del Ministro della Sanità in cui si definisce l’elenco delle sostanze stupefacenti o psicotrope.

Si parla in proposito di norme penali in bianco o di norme penali integrate. Nel primo caso la legge penale rinvia ad altra legge, ai fini della più compiuta descrizione della fattispecie. Nel secondo la norma penale è integrata da un atto non legislativo (regolamento o atto amministrativo).

Le norme penali in bianco non violano il principio della riserva di legge se i provvedimenti che concretizzano il precetto siano adottati sulla base di una legge ordinaria, anche diversa da quella incriminatrice, che ne indichi i presupposti, il contenuto e i limiti.

La norma penale integrata che rinvia ad un atto della P.A. deve già indicare un insieme di dati sufficienti affinché il rinvio non sia “in bianco”, ma delineato il più possibile per creare un aggancio alla realtà, mutevole e diversificata, che è ben più facilmente percepibile dalla P.A. che dal Parlamento, nella sua qualità di organo costituzionale. Il margine che bisogna dare alla P.A. è quello specifico della discrezionalità tecnica, ossia la discrezionalità amministrativa che avviene su parametri tecnici legati ad una scienza o ad una disciplina. Deve escludersi, dunque, ogni discrezionalità politica.

In relazione alle norme penali in bianco o integrate, si è posta la questione degli effetti che originano dall’eventuale abrogazione o modificazione della norma extrapenale sotto il profilo della successione delle leggi penali nel tempo.

Su questo si è osservato come la valutazione debba essere effettuata caso per caso essendo indispensabile verificare se la modificazione o l’abrogazione della norma secondaria abbia fatto venire meno il valore del fatto commesso in precedenza.

Secondo la dottrina dominante, la valutazione andrà effettuata caso per caso verificando se l’abrogazione o la modificazione della norma extrapenale abbia fatto venire meno il disvalore penale del fatto.

Il principio della riserva di legge subisce una forzatura frequente con il frequente ricorso allo strumento del decreto legge, da parte del Governo, con la giustificazione della necessità ed urgenza. Si pensi alla stagione dell’emergenza, contro il terrorismo e la mafia. Tuttavia, il decreto legge acquista valore definitivo di legge solo con la formale conversione da parte del Parlamento; viceversa, vengono meno tutti gli effetti maturati nel frattempo.

Nessun problema di compatibilità si pone, invece, per i decreti delegati, che presuppongono appunto la legge delega del Parlamento. Fa eccezione, tuttavia, il decreto delegato da una legge di delega al Governo per l’attuazione di direttive comunitarie e di decisioni quadro dell’UE in cui sia previsto il ricorso a sanzioni penali, assumendo – in tali occasioni – il Parlamento una funzione meramente formale di ratifica, essendo il contenuto di tali leggi rimesso sostanzialmente all’elaborazione da parte del Governo.

Per ciò che concerne, infine, le consuetudini, esse non possono operare né quelle incriminatrici perché violerebbero il principio di legalità, né quelle abrogatrici perché violerebbero la gerarchia delle fonti. Quanto alla consuetudine integratrice, non è ammessa a meno che vi sia una legge a richiamarla. È, invece, ammesso il ricorso alla consuetudine scriminante. Infatti, le norme che configurano le scriminanti non hanno carattere penale quindi non sono necessariamente subordinate al principio della riserva di legge.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.