Il procedimento penale davanti al Giudice di Pace: d. l.vo 274/2000

Il procedimento penale davanti al giudice di pace è disciplinato nel D.lgs. del 28 agosto 2000 n. 274 (“Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace“), emanato al  al fine di attribuire alla competenza di questo giudice i reati c.d. bagatellari, e cioè di “minore gravità”.

Nel procedimento penale davanti al giudice di pace, per quanto non espressamente previsto nel decreto, si osservano le disposizioni contenute nel codice di procedura penale e nelle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie dello stesso codice, in quanto applicabili (v. art. 2 d. l.vo 274/2000), ad eccezione dei seguenti istituti propri del codice di rito:

– le misure cautelari personali, l’arresto e il fermo, atteso che il procedimento penale davanti al giudice di pace esclude sanzioni detentive;

– l’incidente probatorio e la proroga delle indagini preliminari, essendo sul punto previsti istituti propri al procedimento in commento, quali l’assunzione di prove non rinviabili di cui all’art. 18 e la prosecuzione delle indagini preliminari di cui all’art. 16;

– l’udienza preliminare;

– i riti alternativi, dovendo il procedimento penale davanti al giudice di pace favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti.

La competenza del giudice di pace

L’art. 4 fissa la competenza per materia del giudice di pace. Essa ricorre per i seguenti delitti consumati o tentati: percosse (581 c.p.), lesioni personali perseguibili a querela di parte (art. 582 comma 2 c.p.); lesioni personali colpose, purché perseguibili a querela di parte e “ad esclusione delle fattispecie connesse alla colpa professionale e dei fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale quando, nei casi anzidetti, derivi una malattia di durata superiore a venti giorni” (art. 590 c.p.); omissione di soccorso (art. 593 co. 1 e 2 c.p.) ingiuria (art. 594); diffamazione (art. 595 commi 1 e 2 c.p.); minaccia (612 comma 1 c.p.); furti punibili a querela dell’offeso (art. 626); sottrazione di cose comuni (art. 627 c.p.); usurpazione (art. 631 c.p.), purché si tratti di delitto perseguibile a querela di parte; deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi (art. 632 c.p.), purché si tratti di delitto perseguibile a querela di parte; invasione di terreni ed edifici (art. 633 comma 1 c.p.), purché si tratti di delitto perseguibile a querela di parte; danneggiamento (art. 635 comma 1 c.p.); introduzione ed abbandono di animali nel fondo altrui e pascolo abusivo (art. 636 c.p.), purché si tratti di delitto perseguibile a querela di parte; ingresso abusivo nel fondo altrui (art. 637 c.p.); uccisione o danneggiamento di animali altrui (art. 638 comma 1 c.p.); deturpamento e imbrattamento di cose altrui (art. 639 c.p.); appropriazione di cose smarrite, del tesoro o di cose avute per errore o caso fortuito (art. 647 c.p.).

L’art. 4 inoltre prevede la competenza per materia del giudice di pace per alcune contravvenzioni del codice penale e per alcuni delitti consumati e tentati e contravvenzioni indicate in determinate leggi speciali.

Per quanto attiene invece la competenza per territorio, l’art. 5 del D.lgs. 274/2000 stabilisce quale criterio per individuare il giudice competente, quello del luogo in cui il reato è stato consumato.

Notevoli limitazioni rispetto alla disciplina ordinaria sono previsti in materia di competenza per connessione, atteso che ai sensi dell’art. 7 d.lgs. 274/2000 i casi di connessione di procedimenti davanti al giudice di pace sono solo i seguenti:

a) quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione fra loro;

b) se una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione.

Le indagini preliminari nei procedimenti di competenza del Giudice di pace

Diversamente a quanto accade nel procedimento penale disciplinato dal c.p.p., la polizia giudiziaria svolge di propria iniziativa tutte le indagini preliminari necessarie per ricostruire il fatto e per individuare il colpevole (cfr. art. 11 d.lvo 274/2000).

Entro il termine di 4 mesi, decorrenti dall’acquisizione della notizia di reato, la polizia giudiziaria deve riferire, con relazione scritta, al pubblico ministero le attività compiute e i risultati acquisiti. Se la notizia di reato risulta fondata, la polizia giudiziaria enuncia nella relazione il fatto in forma chiara e precisa, con l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati, e richiede al PM l’autorizzazione a disporre la comparizione della persona sottoposta ad indagini davanti al giudice di pace.

La polizia giudiziaria deve altresì essere autorizzata dal pubblico ministero per compiere gli atti c.d. garantiti, ovvero gli accertamenti tecnici irripetibili, gli interrogatori e i confronti relativi all’indagato, le perquisizioni e i sequestri che la polizia giudiziaria non può effettuare di propria iniziativa (art. 13).

Il pubblico ministero, se non richiede l’archiviazione, esercita l’azione penale, formulando l’imputazione e autorizzando la citazione dell’imputato. Ove ritenga necessarie ulteriori indagini, vi provvede personalmente ovvero avvalendosi della polizia giudiziaria, a tal fine impartendo direttive o delegando il compimento di specifici atti.

Della chiusura delle indagini preliminari non deve essere dato l’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p.

Non è prevista la figura del G.I.P., le cui attribuzioni sono affidate ad un giudice di pace “del luogo ove ha sede il tribunale del circondario in cui è compreso il giudice territorialmente competente” (art. 5 comma 2 e 19 D.lgs).

Instaurazione del giudizio davanti al Giudice di pace

In caso di ritenuta fondatezza della notizia di reato, il pubblico ministero formula l’imputazione e dà corso alla citazione dell’imputato (sui contenuti del decreto v. art. 20 d.lgs. 274/2000).

Il D.lgs. 274/2000 prevede poi, all’art. 21, la possibilità per la persona offesa dal reato di chiedere direttamente con ricorso al giudice di pace la citazione a giudizio della persona alla quale il reato è attribuito, nei soli casi di reati perseguibili a querela (c.d. ricorso immediato della persona offesa).

Il ricorso va comunicato al PM; dopodichè va presentato a cura dell’istante nella cancelleria del giudice territorialmente competente, entro il termine di 3 mesi dalla notizia del fatto che costituisce reato, unitamente alla prova dell’avvenuta comunicazione (art. 22). Se la parte offesa ha inoltre intenzione di costituirsi parte civile, deve farlo, a pena di decadenza, con la presentazione del ricorso medesimo (art. 23).

Il giudice di pace, quando ritiene che il ricorso non sia inammissibile o manifestamente infondato, che non ricorra un’ipotesi di incompetenza per materia o per territorio, convoca le parti in udienza entro il termine di venti giorni dal deposito del ricorso (at. 27 D.lgs.).

Il decreto e il ricorso vanno notificati a cura del ricorrente al PM, alla persona citata in giudizio e al suo difensore 20 giorni prima dell’udienza (at. 27 D.lgs.).

Gli artt. 20 bis e 20 ter prevedono, infine, l’instaurazione del procedimento su iniziativa della polizia giudiziaria che prende il nome di “giudizio a presentazione immediata” nella sua forma ordinaria, disciplinata dall’art. 20 bis D.Lgs. 274/2000, e di “giudizio a citazione contestuale” nella sua variante straordinaria, disciplinata dall’art. 20 ter.

Il giudizio a presentazione immediata è previsto per i reati procedibili d’ufficio, ove sussista flagranza del reato o prova evidente (art. 20 bis); il giudizio a citazione contestuale è previsto per le stesse ipotesi contemplate dall’art. 20 bis, ma qualora ricorrano gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere la fissazione dell’udienza ovvero se l’imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale (art. 20 ter).

Svolgimento del giudizio davanti al giudice di pace

Alla prima udienza di comparizione, Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione.

In caso di conciliazione è redatto processo verbale attestante la remissione di querela o la rinuncia al ricorso di cui all’articolo 21 e la relativa accettazione. La rinuncia al ricorso produce gli stessi effetti della remissione della querela.

In caso di ricorso immediato dalla persona offesa, la mancata comparizione all’udienza del ricorrente o del suo procuratore speciale non dovuta ad impossibilità a comparire per caso fortuito o forza maggiore determina l’improcedibilità del ricorso, salvo che l’imputato o la persona offesa, querelante ma non ricorrente, chieda che si proceda al giudizio (art. 30).

In mancanza di conciliazione, si dichiara l’apertura del dibattimento prima della quale l’imputato è ammesso a presentare domanda di oblazione (art. 29 D.lgs.).

Dichiarata l’apertura del dibattimento, “se può procedersi immediatamente al giudizio, il giudice ammette le prove richieste escludendo quelle vietate dalla legge, superflue o irrilevanti” e invita le parti ad indicare gli atti che vanno inseriti nel fascicolo per il dibattimento, secondo le disposizioni previste dall’art. 431 c.p.p. (art. 29 D.lgs.).

L’art. 32 comma 1 del D.lgs. 274/2000 prevede inoltre che “sull’accordo delle parti, l’esame dei testimoni, dei periti, dei consulenti tecnici e delle parti private può essere condotto dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal pubblico ministero e dai difensori”.

Terminata l’acquisizione delle prove, il giudice pronuncia sentenza la cui motivazione è “redatta in forma abbreviata” e “depositata nel termine di quindici giorni dalla lettura del dispositivo”, quando non è dettata direttamente a verbale.

In casi particolari (art. 34 e 35 del D.lgs. 274/2000), peraltro, il giudice di pace può prosciogliere con formule terminative diverse da quelle tradizionali (suscettibili di ricorso per cassazione), e cioè:

  • se il giudice di pace ritiene che il fatto sia di particolare tenuità, emette sentenza di non doversi procedere a condizione che non si oppongano l’imputato e la persona offesa (art. 34);
  • se il giudice di pace accerta la riparazione del danno e l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato intervenute prima dell’udienza di comparizione, emette sentenza di non doversi procedere “per estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie” (art. 35).

Le sanzioni irrogabili dal giudice di pace

La pena pecuniaria costituisce la sanzione normalmente applicata in caso di condanna dal giudice di pace. Le altre due tipologie di sanzioni applicabili sono peculiari del procedimento penale davanti al giudice di pace e si distinguono in:

permanenza domiciliare (art. 53) che consiste nell’obbligo di rimanere nell’abitazione, in altro luogo di privata dimora, in luogo di cura o di accoglienza per i giorni di sabato e domenica o, se vi sono esigenze familiari, lavorative, scolastiche o sanitarie, per giorni diversi della settimana o, se vi è richiesta del condannato, per l’intera durata della pena continuativamente (durata della pena: non meno di 6 e non più di 45 giorni); e eventualmente è accompagnata dal divieto di accedere a luoghi specifici per i giorni della settimana in cui il condannato non è in permanenza domiciliare (durata del divieto: non più del doppio della durata massima della permanenza domiciliare, ferma restando la cessazione del divieto con la cessazione della pena);

lavoro di pubblica utilità (art. 54) che consiste nella prestazione di attività non retribuita a favore della collettività da svolgersi presso lo Stato, la Regione, il Comune o organizzazioni di assistenza o di volontariato per non meno di 6 ore settimanali corrispondenti a 3 giorni (tenuto conto che 2 ore di lavoro corrispondono a 1 giorno di lavoro) o, se vi è richiesta del condannato, anche per più di 6 ore settimanali ancorchè per non più di 8 ore giornaliere (durata della pena: non meno di 10 giorni e non più di 6 mesi), e può essere disposto dal giudice di pace a condizione che vi sia richiesta del condannato, stante il divieto dei lavori forzati contenuto nella convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (ratificata dalla L. 848/55).

Per quanto attiene, invece, all’entità delle sanzioni irrogabili, l’art. 52 d. lgs. 274/00 dispone che per i reati  per i quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda continuano ad applicarsi le pene pecuniarie vigenti. Per gli altri reati di competenza del giudice di pace, le pene sono così modificate:

  • pena pecuniaria da euro 258 a 2.582, per i reati punibili con pena alternativa se la pena detentiva non è superiore nel massimo a 6 mesi;
  • pena pecuniaria da euro 258 a 2.582 o permanenza domiciliare da 6 a 30 giorni o lavoro di
    pubblica utilità da 10 giorni a 3 mesi, per i reati punibili con pena alternativa se la pena detentiva è superiore nel massimo a 6 mesi;
  •  pena pecuniaria da euro 516 a 2.582 o permanenza domiciliare da 15 a 45 giorni o lavoro di pubblica utilità da 20 giorni a 6 mesi, che si ha per i reati punibili con la sola pena detentiva;
  • pena pecuniaria da euro 774 a 2.582 o permanenza domiciliare da 20 a 45 giorni o lavoro di pubblica utilità da 1 a 6 mesi, che si ha per i reati punibili con pena congiunta.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.