Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico ex art. 381 c.p.

L’art. 381 c.p. – Altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico – punisce, con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa non inferiore a 103 euro, il patrocinatore  o il consulente tecnico, che, in un procedimento dinanzi all’Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patrocinio o la sua consulenza a favore di parti contrarie.

La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da 51 euro a 516 euro, se il patrocinatore o il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa, nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.

La norma in oggetto funge da complemento a quanto previsto dall’art. 380, in tema di patrocinio infedele o consulenza infedele, punendo  il conflitto d’interessi scaturente dal fatto di prestare assistenza legale o attività di consulenza in favore di parti tra loro contrapposte nello stesso procedimento (ivi compreso il procedimento connesso).

La norma tutela il segreto professionale cui sono tenuti gli avvocati ed i consulenti di parte. La principale causa del conflitto consiste, infatti, nel fatto che il difensore o il consulente, in casi siffatti, è a conoscenza di informazioni riservate che, se portate a conoscenza della controparte, possono arrecare notevoli danni agli interessi difensivi.

La norma contempla due distinte fattispecie: il patrocinio contemporaneo di parte parti contrarie e il patrocinio successivo di parti avversarie. Mentre la prima ipotesi richiede che il patrocinio o la consulenza siano prestati a favore di parti contrarie, o comunque portatrici di interessi sostanzialmente contrapposti; la seconda condotta richiede che si vi sia un sostanziale di conflitto di interessi tra le parti successivamente assistite.

La fattispecie configura un reato istantaneo, in quanto la condotta vietata è l’assunzione del patrocinio o della consulenza, non già l’attività che, in conseguenza di tale condotta, viene poi esercitata. Ne consegue che il momento consumativo del reato va individuato nell’assunzione dell’incarico, ossia nel momento in cui viene conferito e accettato il mandato professionale.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.