Il reato di evasione ex art. 385 cod. pen.

L’articolo 385 c.p., rubricato “Evasione”, sanziona con la reclusione da 1 a 3 anni “chiunque, essendo legalmente arrestato o detenuto per un reato, evade“, e la stessa pena si applica “all’imputato che essendo in stato di arresto nella propria abitazione o in altro luogo designato nel provvedimento se ne allontani, nonché al condannato ammesso a lavorare fuori dello stabilimento penale“; il 2° ed il 4° comma prevedono inoltre, rispettivamente, una circostanza aggravante – nel caso di commissione del fatto con violenza o minaccia, mediante effrazione, con armi o da più persone riunite – ed una circostanza attenuante – concessa nel solo caso in cui l’evaso si costituisca in carcere prima della condanna.

Si ricordi che in caso di violenza e minaccia, restano assorbiti nel reato di evasione le sole figure delle percosse (art. 581) e della minaccia (art. 612), mentre se si verifica effrazione, che è n’ipotesi speciale di violenza sulle cose, essa assorbe il reato di danneggiamento (art. 635).

Lo stato di arresto o detenzione è presupposto del reato, che viene dunque ad integrarsi ogni volta che il soggetto evade da una struttura carceraria, dalla propria abitazione, da una struttura ospedaliera o da qualsiasi altro luogo indicato nel provvedimento di restrizione.

Il bene giuridico tutelato dal reato di evasione è, chiaramente, l’amministrazione della giustizia e, più specificamente, l’interesse generale dello Stato al mantenimento ed all’osservanza delle misure restrittive della libertà personale legittimamente disposte nei confronti di soggetti indagati, imputati e/o condannati.

Trattasi di reato proprio, considerato che lo stesso può essere commesso esclusivamente da colui che si trovi in stato di detenzione, ovvero colui la cui libertà personale sia oggetto di restrizione sulla base di una misura coercitiva – pre-cautelare, cautelare od esecutiva – di tipo custodiale.

La condotta tipica è rappresentata dalla elusione della sorveglianza da parte degli organi preposti alla vigilanza; trattandosi di reato a forma libera, risulta irrilevante la concreta modalità utilizzata per realizzare la fuga; parimenti non assumono rilievo alcuno, ai fini del perfezionamento del reato, nè la durata maggiore o minore del tempo in cui il soggetto si sottrae alla misura domestica, nè la distanza maggiore o minore dalla abitazione eletta a sede esecutiva della misura, dalla quale si accerti essersi allontanato il soggetto cautelato (Cass. Pen. Sez. VI, 27-03-2012, n. 11679; Cass. Pen. Sez. VI, 27-04-1998 n. 6394).

Si è ritenuto, ad esempio, che integri il delitto di evasione dagli arresti domiciliari anche il mero trasferimento di residenza, laddove esso sia stato effettuato dal detenuto senza darne comunicazione e senza aver ottenuto la necessaria autorizzazione da parte degli organi di vigilanza (Cass. Pen. Sez. VI, 09-12-2010, n. 44504).

Dal punto di vista soggettivo, il reato di evasione è punito a titolo di dolo generico, che consiste nella consapevolezza di allontanarsi, in assenza della necessaria autorizzazione, dal luogo degli arresti domiciliari  o di detenzione.

Quanto alla consumazione, Il delitto di evasione, che è reato istantaneo con effetti permanenti, si consuma nel momento stesso in cui il soggetto attivo si allontana dal luogo della detenzione o degli arresti domiciliari. Ne consegue che l’effetto permanente cessa quando l’evaso torna nel luogo dal quale non avrebbe dovuto allontanarsi, interrompendo in tal modo l’elusione del controllo da parte dell’autorità vigilante.

Fonti:

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.