Il reato di minaccia semplice e aggravata

La minaccia è un delitto contro la libertà individuale della persona previsto all’art. 612 c.p. e punito con una multa fino a 1.032 euro. Nei casi più gravi, previsti dal secondo comma dell’art. 612 c.p., la pena è invece della reclusione fino a un anno.

Dal punto di vista oggettivo, il reato richiede la prospettazione ad opera dell’agente di un male ingiusto inerente la sfera personale o patrimoniale della persona offesa.

Circa l’aggettivo “ingiusto”, per esso va inteso un male che sia in sé contra ius, integrante obiettivamente un illecito. Di conseguenza, il male non integrerà il reato di minaccia qualora sia giuridicamente lecito o indifferente. Del resto, mancherebbe in tale ipotesi la lesione del bene giuridico tutelato: la libertà morale della persona offesa.

Trattandosi di un reato di pericolo, per la configurabilità della condotta tipica non è necessario che la vittima sia stata effettivamente intimorita dalla minaccia, purché la stessa risulti idonea ad incutere timore. A tal fine, la minaccia deve essere, oltre che realizzabile e verosimile, necessariamente dipendente dalla volontà dell’agente.

Sul piano dell’elemento soggettivo, il dolo è generico e presuppone la coscienza e volontà di minacciare ad altri un danno con la consapevolezza della sua ingiustizia.

Ai sensi del secondo comma, la fattispecie di minaccia è aggravata, innanzitutto, quando commessa in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p., cioè quando sia commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite, o con scritto anonimo, o in modo simbolico, o valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni, esistenti o supposte. Si tratta di situazioni che, anche singolarmente considerate, sono idonee a rendere più grave il turbamento psichico a carico della persona offesa, così rafforzando la minaccia del male ingiusto prospettata.

Il delitto di cui all’art. 612 c.p. è altresì aggravato nel caso in cui, sempre ai sensi del secondo comma, la minaccia sia grave. Nel silenzio della norma penale, la Suprema Corte ha elaborato il parametro che consente di enucleare le ipotesi di minaccia grave, restringendole a quelle condotte che siano realmente idonee a cagionare un grave turbamento in capo alla vittima.

Atteso che il carattere della gravità è relativo, esso andrà considerato in relazione tanto alla gravità del male minacciato quanto all’insieme delle circostanze complete nelle quali la minaccia è stata commessa, tenuto conto altresì delle condizioni particolari in cui versano il soggetto attivo e quello passivo.

E così, si è affermato che “la gravità della minaccia va accertata avendo riguardo al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, la condotta minatoria abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa” (Cass. Pen. sez. V n.35593/2015).

A seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. n. 36/2018, è stata estesa la procedibilità a querela di parte anche nel caso di minaccia grave, residuando la procedibilità d’ufficio nel solo caso in cui la minaccia sia commessa in uno dei modi indicati dall’articolo 339 c.p.

Il delitto di minaccia si consuma allorché il mezzo usato abbia attitudine ad intimorire così producendo “l’effetto di diminuire la libertà psichica e morale del soggetto passivo” anche indipendentemente dalla prova della reale intimidazione.

Si è ritenuto ipotizzabile il tentativo, allorquando il reato sia commesso mediante un processo esecutivo frazionabile.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.