Riforma giudizio abbreviato: inapplicabile ai delitti da ergastolo

Approvato in via definitiva, lo scorso 2 aprile 2019, Il disegno di legge (DdL n. 925) che sancisce l’inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell’ergastolo.

Il provvedimento  si compone di cinque articoli.
L’articolo 1 modifica l’articolo 438 c.p.p. (“Presupposti del giudizio abbreviato“):

  • introducendo il nuovo comma 1 bis, nel quale si dispone che “non è ammesso il giudizio abbreviato per delitti per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo“;
  • riformulando il comma 6:in caso di inammissibilità della richiesta di rito abbreviato, in quanto il fatto per il quale si procede è punito con l’ergastolo, l’imputato può riproporre la richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni nel corso dell’udienza preliminare“;
  • introducendo il nuovo comma 6 ter: “in caso di inammissibilità della richiesta di rito abbreviato dichiarata in udienza preliminare, il giudice all’esito del dibattimento applica, se ritiene che il fatto accertato non è punibile con l’ergastolo, la riduzione di pena connessa al negato rito speciale“. Ne consegue che, quando all’imputato sia contestato un delitto punito con l’ergastolo, occorrerà svolgere tutto il dibattimento prima che il giudice possa, in sede di condanna, accertare l’eventuale commissione di un diverso reato e riconoscere lo sconto di pena.

L’articolo 3 interviene – anche con finalità di coordinamento – sull’articolo 442, comma 2, c.p.p., relativo all’entità della pena applicabile in caso di giudizio abbreviato conclusosi con sentenza di condanna. La riforma elimina le attuali previsioni sulla trasformazione, rispettivamente, della pena dell’ergastolo in reclusione di anni 30, e della pena dell’ergastolo con isolamento diurno in ergastolo.

L’articolo 4 modifica l’articolo 429 c.p.p., che disciplina il decreto che dispone il giudizio, all’esito dell’udienza preliminare. Più in particolare, con l’inserimento di un nuovo comma 2-bis, il disegno di legge prevede che se, all’esito dell’udienza preliminare, l’originaria imputazione per delitto punito con l’ergastolo viene derubricata dal GUP, con il decreto di rinvio a giudizio lo stesso giudice deve avvisare l’imputato della possibilità di richiedere, entro 15 giorni, il rito abbreviato. Il rito si svolgerà, in base al richiamato art. 458 c.p.p., in camera di consiglio dinanzi allo stesso giudice dell’udienza preliminare.

Per quanto, infine, attiene al regime intertemporale delle citate modiche, l‘articolo 5 prevede l’entrata in vigore della riforma il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (non ancora avvenuta) e la sua applicabilità ai fatti commessi successivamente a tale entrata in vigore.

Breve commento alla Riforma sul giudizio abbreviato

La ratio desumibile dal Ddl in oggetto è, con ogni evidenza, quella di evitare che alcuni tra i più atroci delitti finiscano con l’essere puniti con una pena ritenuta inadeguata alla gravità del fatto criminoso, giocando sui meccanismi processuali delle attenuanti, da un lato, e dell’effetto premiale che automaticamente discende dalla scelta del rito abbreviato, dall’altro.

Ragioni politiche deputate al “populismo penale” insomma, acuite a seguito di alcuni casi giudiziari che hanno conquistato l’attenzione mediatica suscitando polemiche e proteste nell’opinione pubblica.

Un intervento inutile, a parere di scrive, in quanto già prima della riforma poteva, invero, giungersi ad una sentenza di condanna all’ergastolo per i reati più gravi, anche in caso scelta del rito abbreviato. Nel perseguire la propria ideologica “carcerocentrica”, l’attuale legislatura avrebbe probabilmente fatto meglio a intervenire sulla determinazione della pena, anziché su un diritto dell’imputato, comprimendolo.

Sì, perchè la scelta di accedere al rito abbreviato, specie da quando non è più assoggettata al previo consenso dell’organo dell’accusa, rappresenta un diritto processuale dell’imputato: il diritto ad una definizione più rapida del processo. Processo che già di per sè, nel suo svolgimento, è da molti – argutamente – considerato una pena, che va ad aggiungersi a quella di condanna (sempre ove una condanna arrivi; si ricorda che la nostra Carta fondamentale afferma che ogni imputato va considerato presunto innocente, almeno fino a che non intervenga una sentenza irrevocabile che accerti la sua responsabilità penale).

Per non parlare, poi, di alcuni aspetti procedurali poco chiari. Dalla lettura delle norme riformate, sembrerebbe che l’imputato, personalmente o a mezzo del proprio difensore, debba richiedere già all’udienza preliminare l’accesso a rito, anche ove una tale istanza sia ictu oculi inammissibile ovvero da rigettare per il titolo di reato contestato; non è chiaro se tale richiesta, rigettata dal GUP, debba successivamente essere reiterata prima dell’inizio del dibattimento, per l’ipotesi che in corso di istruttoria emerga la necessità di derubricazione del fatto ad opera della Corte di I grado. O ancora, ove un tale revirement sul titolo del reato venga riconosciuto solo in Cassazione, non viene specificato se occorra procedere a un giudizio di annullamento con rinvio o possa la stessa Corte di legittimità procedere all’applicazione dello sconto sulla pena.

Sotto il profilo sistematico, l’effetto concreto che determinerà la riforma sarà quello di impedire a priori l’accesso al giudizio abbreviato, in spregio al principio di economia processuale, rendendo inevitabile l’approdo dibattimentale, con allungamento dei tempi processuale ed appesantimento del carico di lavoro delle Corti di assise, senza alleggerire quello dei GIP/GUP.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.