Incompatibilità della difesa di più imputati

L’art. 106 c.p.p., intitolato Incompatibilità della difesa di più imputati nello stesso procedimento, dispone al comma 1 che la difesa di più imputati può essere assunta da un difensore comune, purché le diverse posizioni non siano tra loro incompatibili.

Non avendo il Legislatore fornito alcuna nozione di incompatibilità fornita dal legislatore, la giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere che essa derivi non dalla semplice diversità tra le dichiarazioni rese dai diversi imputati o tra le loro posizioni processuali, bensì da un nesso di interdipendenza in base al quale un imputato abbia effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole ad altro imputato, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro (cfr. ad es. Sez. 2, n. 10757/2017).

Ai sensi del comma 2 del medesimo art. 106 c.p.p., quando l’autorità giudiziaria rileva una situazione di incompatibilità, deve indicarla esponendone i motivi e fissando un termine per rimuoverla. Ove l’incompatibilità non venga rimossa entro il termine, il giudice procede con ordinanza alla sua dichiarazione e alla sostituzione del difensore incompatibie con un difensore d’ufficio ex art. 97 c.p.p.

L’eliminazione della situazione di incompatibilità del difensore di più imputati nello stesso procedimento, è possibile attraverso la rinuncia del medesimo difensore a sostenere una o più difese, ovvero attraverso la revoca della nomina di difensore da parte di uno o più imputati.

Il comma 4 bis dell’art. 106 c.p.p. – comma aggiunto ex art. 16, della l. 13 febbraio 2001, n. 45 – dispone, infine, che “Non può essere assunta da uno stesso difensore la difesa di più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in procedimento connesso ai sensi dell’articolo 12 o collegato ai sensi dell’articolo 371, comma 2, lettera b)“.

La ratio della norma da ultimo citata deve essere ravvisata nell’intento del Legislatore di evitare che il difensore possa rendersi veicolo di scambio di informazioni tra imputati che hanno reso dichiarazioni eteroaccusatorie, al fine di indurli a conformare le rispettive affermazioni.

Si è affermato che l’inosservanza del disposto di cui all’art. 106 comma 4 bis c.p.p. non costituisce causa di nullità o di inutilizzabilità di dette dichiarazioni. Tale norma, infatti, per un verso non costituisce una ipotesi di incompatibilità del difensore; nè stabilisce un divieto probatorio sanzionabile ex art. 191 c.p.p., non concernendo il divieto ivi contenuto il potere istruttorio di assumere una prova. Ad avviso della giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’art. 106 comma 4 bis può incidere soltanto sull’indipendenza delle dichiarazioni dei collaboranti e, pertanto, richiede una verifica particolarmente incisiva in punto di attendibilità. Resta ferma, in ogni caso, l’eventuale responsabilità disciplinare del difensore, alla stregue delle previsioni del codice deontologico forense, anche a seguito della segnalazione effettuata dal giudice al consiglio dell’ordine ai sensi dell’art. 105 comma 4 c.p.p. (cfr. Sez. Unite, n. 21834/2007; sez. VI n. 10887/2013).

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.