Capacità ad essere parte del processo e capacità processuale. L’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo (art. 70 e ss. c.p.p.)

Di regola, ogni persona fisica ha la capacità ad essere parte nel processo penale, ossia ad assumere la qualità di imputato. Tale capacità difetta, tuttavia, negli infanti e negli immuni.

Nozione distinta da quella di capacità ad essere parte processuale, è quella di capacità processuale dell’imputato, che si traduce nella capacità ad esercitare i diritti e le facoltà attribuitigli dalla legge.

Generalmente, la capacità ad essere parte e quella processuale coincidono nella stessa persona. Esistono, tuttavia, alcune situazioni di discrasia. Si pensi al giudizio di Cassazione, nel quale l’imputato è privo della capacità processuale, dovendo stare in giudizio a mezzo del difensore che agisce in qualità di suo rappresentante (art. 613 c.p.p.).

L’eccezione più rilevante alla normale coincidenza tra le due capacità è però rappresentata dall’ipotesi dellinfermità mentale dell’imputato.

Va preliminarmente chiarito come il presupposto per il riconoscimento dell’infermità mentale dell’imputato non sia più commisurato sulla mancanza della capacità di intendere e di volere, che esclude l’imputabilità, ma piuttosto sull’idoneità del soggetto a partecipare coscientemente al processo. Ciò vale tanto per il caso in cui l’infermità sia sopravvenuta successivamente al fatto di reato, quanto per il caso in cui essa sia risalente a quel momento, ma perduri fino al tempo del processo (art. 70 comma 1).

Non rilevano, invece, le infermità fisiche. Ad esse soccorrono altri istituti, quali la sospensione o il rinvio dell’udienza (cfr., sul punto, Ord. C. Cost. n. 243/2013).

La valutazione sulla sussistenza dell’infermità di mente dell’imputato, si badi, non è necessariamente subordinata all’espletamento di un’indagine peritale, come risulta dalla locuzione “se occorre” contenuta nel comma 1 dell’art. 70. Il giudice può, infatti, procedere alla sua valutazione in base ad elementi ricavabili da precedenti perizie già espletate o da altre manifestazioni conclamate.

Qualora la perizia venga disposta, l’attività giudiziale, nel lasso di tempo occorrente per il suo svolgimento, subisce importanti limitazioni, essendo consentito al giudicante di procedere all’assunzione unicamente delle prove che possono condurre al proscioglimento dell’imputato, nonché – su richiesta di parte – delle altre prove nel caso di pericolo nel ritardo (art. 70 comma 2).

La necessità di provvedere all’accertamento dell’infermità dell’imputato può, certamente, sorgere anche durante la fase delle indagini preliminari. In tale ipotesi, la perizia è disposta dal giudice solo su richiesta delle parte con le forme dell’incidente probatorio (art. 70 comma 3), restando nel frattempo sospesi i termini di decorrenza delle indagini.

La normativa disamina non opera, invece, oltre che nel giudizio in Cassazione, né nel procedimento di esecuzione, né in quello di sorveglianza, ove – tra altro – non si può parlare della presenza di un imputato.

Accertata l’incapacità dell’imputato a partecipare coscientemente al processo, il giudice – sempre che non debba pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere – emette ordinanza di sospensione del procedimento a norma dell’art. 71 c.p.p., ricorribile in Cassazione.

Non va invece adottata – e qualora adottata, va revocata –, la sospensione del procedimento, quando vi siano le condizioni per emettere nei confronti dell’imputato incapace a stare in giudizio una sentenza a lui favorevole.

A seguito dell’emissione dell’ordinanza sorge l’obbligo di nominare un curatore speciale a favore dell’imputato (cfr., per la sussistenza di una nullità di ordine generale in caso di mancata nomina del curatore, Cass. sez. II n. 23850/2006, essendo essa prevista per garantire la necessaria tutela al soggetto incapace).

All’emissione dell’ordinanza di sospensione segue inoltre, in caso di processi riuniti, la separazione dei processi, mentre la prescrizione rimane sospesa fintanto che perduri la sospensione del procedimento.

L’ordinanza di sospensione è immediatamente revocata ex art. 72 comma 2, qualora risultino integrati i presupposti di una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento, oppure sia acquisita la certezza che l’imputato è in grado di partecipare coscientemente al procedimento.

Proprio allo scopo di scongiurare l’ipotesi di cristallizzazione della figura del c.d. eterno giudicabile, al comma 1 l’art. 72 dispone che il giudice proceda comunque alla verifica dello stato psichico dell’imputato con frequenze periodiche almeno semestrali, mediante appositi accertamenti peritali.

È appena il caso di rilevare qui come l’inosservanza di tutte queste prescrizioni si risolva in una causa di nullità a regime intermedio, essendo in gioco l’intervento dell’imputato (art. 178, comma 1, lett. c).

Si è ritenuta, inoltre, l’illegittimità della declaratoria di non doversi procedere nei confronti dell’imputato perché l’azione penale non può essere proseguita per irreversibile difetto di capacità ex art. 70 c.p.p., in quanto una volta accertata l’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve disporne la sospensione; né un eventuale situazione di stallo può condurre il giudice a ritenere improcedibile il giudizio, essendo la disciplina dell’improcedibilità riservata alla discrezionalità del Legislatore (v. Cass. sez. II, n. 8099/2012).

Il giudice non ha invece, in via ordinaria, il potere di disporre il ricovero dell’imputato in una idonea struttura di cura psichiatrica, secondo la normativa sul trattamento sanitario delle malattia mentali. A ciò vi provvede, ai sensi dell’art. 73, l’autorità competente (il Sindaco), sulla scorta di un’informativa del giudice comunicata con il mezzo più rapido. Ove vi sia pericolo nel ritardo, al giudice è tuttavia consentito ordinare, anche d’ufficio, il ricovero provvisorio.

Se è stata applicata o debba applicarsi la custodia cautelare invece, il ricovero provvisorio presso un’idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero è ordinato dal giudice adottando i provvedimenti necessari per prevenire il pericolo di fuga. Qui il ricovero assume infatti una configurazione autonoma, quale misura alternativa alla custodia in carcere.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.