Le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, anche tra presenti, ex artt. 266-271 c.p.p.

Nozione di intercettazione e tutela costituzionale.

La disciplina delle intercettazioni di conversazioni o di comunicazioni è disciplinata agli artt. 266-271 c.p.p.

Nel codice di procedura penale non esiste una definizione normativa della nozione di «intercettazione di conversazioni o di comunicazioni». Essa può tuttavia definirsi come presa di conoscenza clandestina del contenuto di conversazioni o comunicazione riservate, operata da un soggetto estraneo, terzo rispetto agli interlocutori. L’intercettazione può avere ad oggetto sia le conversazioni o comunicazioni telefoniche e altre forme di telecomunicazione, sia il flusso di comunicazioni relativo a sistemi, informatici i telematici ovvero intercorrente tra più sistemi. Differiscono dalle intercettazioni perché non hanno per oggetto una comunicazione:

 – il pedinamento mediante apparecchiatura satellitare GPS, che può essere disposto dalla polizia giudiziaria come mera attività atipica ;

– l’acquisizione di tabulati del traffico telefonico, i quali si limitano a documentare il fatto storico delle conversazioni intercorse su una determinata utenza telefonica (v. art. 132 d.lgs. 196/2003 in materia di obblighi di conservazione dei dati da parte del gestore).

L’art. 15 Cost. definisce la libertà e la segretezza delle comunicazioni come un diritto inviolabile, che può venire limitato soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge (riserva di legge e di giurisdizione). Si intuisce dunque la delicatezza della disciplina in disamina, testimoniata altresì dall’ampio spazio ad essa dedicata dal nostro codice di rito.

Secondo parte della dottrina, la libertà di comunicazione si connoterebbe per essere sottoposta ad un regime particolare rispetto a quello riguardante le altre libertà costituzionali, poiché, a differenza di quanto avviene per la libertà personale e di domicilio, non sono contemplati poteri di polizia e la legittimazione esclusiva ad emettere provvedimenti limitativi di tale libertà spetta solo ad un organo giurisdizionale (cfr. Taormina, Diritto processuale penale, I, Torino, 1995, 312).

A livello sovranazionale tale libertà trova riconoscimento, tra altro, nell’art. 8 CEDU, il quale statuisce che «ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare del suo domicilio e della sua corrispondenza» e che «non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge ed in quanto costituisca una misura che in una società democratica è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e della libertà altrui». Dalla formula legislativa testé richiamata emerge evidente la necessità di operare un bilanciamento tra opposti interessi : rispetto del diritto alla libertà e segretezza della corrispondenza da un lato, e tutela di un’elencazione di interessi pubblici e superindividuali dall’altro.

Secondo la Corte E.D.U. la violazione dell’art. 8 consegue ad ogni intercettazione non prevista espressamente dalla legge, a prescindere dal fatto che ne venga fatto uso in sede processuale (v. C. eur. 25/03/1998, Kopp c/ Svizzera; C. eur. 15/06/1992, Ludi c/ Svizzera).

La segretezza delle comunicazioni.

Essenziale caratteristica della comunicazione protetta dalla garanzia costituzionale è la segretezza, ovvero il suo svolgimento attraverso canali destinati per loro natura ad escludere la conoscibilità, da parte dei terzi, del contenuto del pensiero trasmesso. La comunicazione deve inoltre essere attuata in forma diversa dallo scritto (le comunicazioni epistolari, infatti, pur coperte dalla garanzia costituzionale, trovano altrove la loro disciplina processuale di riferimento).

Controverso è invece se debba ritenersi coessenziale alla nozione di intercettazione l’impiego di strumenti meccanici di captazione del suono. Al riguardo, l’art. 268 co. 3 c.p.p. individua come mezzo dell’intercettazione gli impianti installati nella Procura della Repubblica. Secondo talune opinioni, l’art. 268 co. 3 sarebbe ininfluente ai fini della definizione del concetto di intercettazione.

In giurisprudenza, (S.U., 28/05/2003, Torcasio) si è infatti precisato che l’intercettazione consiste «nella captazione occulta e contestuale di una comunicazione o conversazione tra due o più soggetti che agiscano con l’intenzione di escludere altri e con modalità oggettivamente idonee allo scopo, attuata da soggetto estraneo alla stessa mediante strumenti tecnici di percezione tali da vanificare le cautele ordinariamente poste a protezione del suo carattere riservato».

Il carattere della segretezza va inteso in senso oggettivo. Non costituisce una comunicazione riservata il dialogo tra persone che discutono a voce alta in luogo affollato, mentre rivestirebbero carattere oggettivamente segreto le “comunicazioni a distanza“, quali quelle che utilizzano linee telefoniche, telematiche o telegrafiche.

Tra i casi che non rientrano nella nozione di intercettazione di cui all’art. 266, poiché non presentano il carattere della segretezza, vi è anche quello della registrazione di conversazioni eseguita da uno degli interlocutori presenti al colloquio all’insaputa dell’altro.

In tali casi, si deve ritenere che non sussista alcun ostacolo nell’uso processuale di siffatte registrazioni, poiché esse esulano dal concetto di intercettazione e, per l’altro verso, tale uso non incide sul diritto al segreto, posto che l’unico interesse coinvolto è quello alla riservatezza insufficiente a far scattare la riserva di giurisdizione di cui all’art. 15 Cost., e, in ogni caso, soccombente rispetto all’interesse pubblico all’accertamento della verità.

La registrazione de qua sembrerebbe trovare inoltre una legittimazione sul piano normativo ad opera della disciplina in materia di trattamento dei dati personali. Gli artt. 11, 13, 23, D.Lgs. n. 196/2003 stabiliscono che la persona alla quale si riferiscono i dati debba essere informata del trattamento e debba fornire il necessario consenso allo stesso e che i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali oltre a dare luogo a responsabilità penale comporti l’inutilizzabilità dei dati trattati. Tuttavia ai sensi dell’art. 24, lett. f, le disposizioni da ultimo richiamate non si applicano quando il consenso sia necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria. Solo al di fuori di tali casi, dunque, è possibile affermare che la registrazione dei colloqui tra presenti sia inutilizzabile.

Le intercettazioni casuali o fortuite.

Le intercettazioni casuali sono quelle che vengono registrate fortuitamente in mancanza di un apposito provvedimento autorizzativo. L’ipotesi più frequente nella prassi applicativa è quella che si verifica quando l’autore di una intercettazione telefonica percepisce e registra un colloquio tra persone presenti che si svolge in un locale in cui è posizionato l’apparecchio telefonico sottoposto a controllo.

La questione che si pone, con riferimento a tale esempio, concerne l’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 266 ss. nel caso in cui il provvedimento autorizzativo del giudice riguardi la sola intercettazione di colloqui telefonici.

Secondo la giurisprudenza, nel caso di intercettazione telefonica “a cornetta sollevata“, la registrazione dei colloqui fra presenti non dipende da un’indebita violazione della privacy ma dal comportamento degli interlocutori, i quali, lasciando il ricevitore alzato, fanno sì che la loro conversazione venga liberamente ascoltata, rimanendo “scoperta” dal punto di vista della segretezza. Pertanto, il casuale ascolto di tale conversazione nel corso di un’intercettazione telefonica ritualmente autorizzata è utilizzabile ai fini dell’applicazione di una misura cautelare, non rientrando nella sfera di operatività degli artt. 15 Cost. e 266-271 che non sono applicabili nella specie (Cass. Sez. IV, 13/02/2007).

Presupposti applicativi.

In attuazione dell’art. 15 Cost., l’art. 266 ha anzitutto stabilito (altri presupposti sono poi contenuti nell’art. 267) i casi nei quali possono avvenire le intercettazioni, telefoniche, ambientali e dei flussi informatici e telematici, selezionando alcune classi di reati individuate secondo un duplice criterio. Nelle lettere a e b il criterio utilizzato è quello della gravità del reato (delitti non colposi punibili con più di cinque anni di reclusione o con almeno cinque se contro la pubblica amministrazione); nelle lettere c, d, e, f, f bis ed f ter – si veda da ultimo la modifica introdotta dall’art. 14, 3° co., L. 14/01/2013, n. 9 – sono invece specificamente indicate singole figure criminose, comprendenti i delitti concernenti le sostanze stupefacenti e psicotrope, le armi e gli esplosivi, quelli di contrabbando, i reati di ingiuria (ora depenalizzata) e minaccia, usura, abusiva attività finanziaria, molestia e disturbo alle persone mediante telefono, delitti previsti dall’art. 600 ter, 3° co., c.p. (distribuzione e divulgazione per via telematica di materiale pornografico in cui sia ritratta l’immagine di minori) nonché, da ultimo i reati in materia di commercio di alimenti nocivi e frode in commercio ed i reati di atti persecutori ex art. 612 bis c.p.

La selezione tassativa di casi nei quali possono avvenire le intercettazioni è certamente opportuna. Per molto tempo, infatti, è stato possibile ricorrere alle intercettazione qualunque fosse la notitia criminis, anche qualora essa riguardasse una fattispecie bagatellare. Inoltre, atteso il grave sacrificio ai diritti costituzionalmente protetti non solo della persona coinvolta nelle indagini, si ritiene connaturale alla materia de qua l’operatività del principio di proporzionalità.

Nel caso in cui la qualificazione giuridica del fatto inizialmente legittimante l’attività di intercettazione muti nel corso delle indagini e, di conseguenza, i fatti stessi vengano ad essere inquadrati in una diversa fattispecie per la quale non è consentita l’intercettazione, si pone il problema delle conseguenze in tema di utilizzabilità del materiale probatorio ottenuto. Secondo la giurisprudenza, la prova così acquisita è utilizzabile, non operando il divieto di cui all’art. 271 destinato ad operare solo con riferimento ai provvedimenti adottati in casi non consentiti (Cass. Sez. III, 28/02/1994, Roccia). Tale approdo interpretativo è stato confermato anche, più recentemente da Cass. Sez. I, 19/05/2010, in Mass. Uff.

Con riferimento alle intercettazione ambientali, l’art. 266 co. 2 stabilisce un ulteriore presupposto, per l’ipotesi in cui esse avvengano nei luoghi indicati nell’art. 614 c.p., vale a dire, nei luoghi di privata dimora: in questo caso, invero ad esse è possibile ricorrere solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa. Tale limitazione non opera, ai sensi dell’art. 13 co. 1 D.L. n. 152/1991 (conv. in L. n. 203/1991), allorquando le operazioni di intercettazioni siano necessarie per lo svolgimento delle indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata.

Oltre ai presupposti di cui all’art. 266, ai sensi del successivo art. 267 c.p.p. il P.M. richiedente deve fornire al giudice la prova della sussistenza dei “gravi indizi di reato“, nonché del fatto che l’intercettazione sia assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini. In giurisprudenza, si afferma che i gravi indizi di reato (e non di reità) richiesti dall’art. 267 attengono all’esistenza dell’illecito penale e non alla colpevolezza di un determinato soggetto, sicché per procedere legittimamente ad intercettazione non è necessario che tali indizi siano a carico di persona individuata o del soggetto le cui comunicazioni debbano essere captate a fine di indagine (Cass. Sez. IV, 16/11/2005, Bruzzese).

Quanto all’assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, tale presupposto non può avere altro significato se non quello dell’impossibilità di acquisire la prova in altro modo. Il presupposto de quo, poi, assume anche un altro significato, in senso restrittivo, nel senso che l’intercettazione non può essere utilizzata come strumento di ricerca della notizia di reato. In particolare, in applicazione del limite in questione, le intercettazioni non potrebbero essere autorizzate quale primo atto di indagine. Anche la formulazione normativa sembra diretta a precludere l’uso dell’intercettazione quale atto iniziale delle indagini, perché la locuzione “prosecuzione delle indagini” le presuppone già iniziate.

Limiti di ammissibilità: le immunità.

Varie disposizioni limitano le intercettazioni telefoniche aventi ad oggetto comunicazioni tra soggetti che rivestono determinate cariche o svolgano determinate funzioni. Le intercettazioni sono anzitutto vietate nei confronti del difensore, del consulente tecnico e dei loro ausiliari (art. 103, co. 5) nello stesso procedimento nel quale l’intercettazione è stata disposta.

Certamente di maggiore interesse sono invece le immunità riconosciute ai parlamentari italiani ai sensi dell’art. 68, commi 2 e 3, Cost., che statuisce che le limitazioni alla libertà di comunicazione e di riservatezza dei parlamentari possono essere disposte solo previa autorizzazione della camera di appartenenza. L’art. 343, commi 2 e 3, in diretta attuazione della previsione costituzionale, pone il divieto di sottoporre ad intercettazione la persona rispetto alla quale è richiesta l’autorizzazione a procedere. Tale disciplina si applica anche al membro del parlamento europeo.

A livello ordinario, la disciplina dell’autorizzazione a procedere è contenuta nella L. 20/06/2003, n. 140 che all’art. 4 ha dato attuazione all’art. 68 Cost. regolando l’ipotesi in cui occorra «eseguire» intercettazioni «nei confronti» di un membro del Parlamento (cosiddette intercettazioni “dirette“) e statuisce, a tal fine, che l’«autorità competente» debba richiedere l’autorizzazione della Camera cui il parlamentare appartiene, in assenza della quale l’atto è ineseguibile. L’art. 6 attiene invece ai casi in cui le comunicazioni dell’esponente politico vengano intercettate indirettamente, nell’ambito di operazioni che hanno come destinatarie terze persone stabilendo che, in tale evenienza, il G.I.P., se ravvisa la necessità di far uso del materiale probatorio deve richiedere un’autorizzazione a posteriori alla Camera cui il parlamentare appartiene o apparteneva al momento dell’intercettazione (cosiddette intercettazioni indirette).

La richiesta e il decreto di autorizzazione alle intercettazioni.

La disciplina delle intercettazioni è assoggettata al principio della domanda: il P.M. è l’unico soggetto legittimato a richiedere l’autorizzazione o la convalida. Anche le indagini difensive ex artt. 391 bis e ss. non consentono lo svolgimento di alcuna forma di intercettazione. Tale divieto contrasterebbe , secondo parte della dottrina,  con l’art. 24, co. 2 Cost., precludendo alle parti private l’accesso alla prova.

I provvedimenti di autorizzazione alle intercettazioni telefoniche, di convalida e di proroga sono adottati con decreto motivato emesso dal G.I.P. Il previsto obbligo di motivazione si lega a quanto prescrive l’art. 271 che punisce il mancato rispetto degli obblighi motivazionali con la inutilizzabilità e, dunque, con la definitiva perdita di efficacia probatoria dei risultati. La motivazione in particolare dovrebbe dare conto dell’esistenza dei gravi indizi di un reato rientrante tra quelli indicati dagli artt. 266 e 266 bis, spiegando per quali ragioni si ritiene verosimile che il reato sia stato commesso, indicando gli elementi dai quali gli indizi sono stati desunti. Inoltre il giudice deve motivare l’imprescindibilità delle intercettazioni per la prosecuzione delle indagini.

Il P.M., nei casi di urgenza e quando ha fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio per le indagini, può emettere direttamente decreto motivato di intercettazione che deve essere comunicato immediatamente e comunque non oltre le ventiquattro ore dal provvedimento al giudice per le indagini preliminari. L’adozione del decreto d’iniziativa del P.M. fuori dei casi d’urgenza, o non giustificato dal fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini, determina la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche.

Ai sensi dell’art. 268 co. 2, il decreto motivato con il quale il P.M. dispone l’intercettazione urgente deve essere convalidato dal giudice per le indagini preliminari, al quale il decreto è stato immediatamente trasmesso. Sulla richiesta di convalida il giudice decide con decreto motivato con il quale egli deve spiegare le ragioni per cui ha ritenuto legittimo od illegittimo il decreto d’urgenza del P.M. Secondo la giurisprudenza, poi, la tardività del provvedimento giudiziale di convalida del decreto con cui il P.M. dispone nei casi di urgenza l’intercettazione rende inutilizzabili soltanto i risultati delle operazioni già compiute e non anche i risultati delle operazioni di captazione successive (Cass. Sez. II, 16/05/2007, Valentini).

Quanto alla durata delle operazioni  di intercettazione, l’ascolto, salvo proroghe, ha una durata di 15 giorni. Tale termine si deve intendere come tetto massimo (è quindi possibile che nel singolo provvedimento si preveda un tempo inferiore) ed opera sia con riferimento alle intercettazioni autorizzate dal G.I.P. sia a quelle disposte d’urgenza dal P.M. e  successivamente convalidate. Qualora il giudice abbia autorizzato le operazioni per un termine inferiore a quindici giorni e sorgesse necessità di proseguire le operazioni fino al quindicesimo giorno, il P.M. dovrebbe comunque chiedere la proroga .Teoricamente, attraverso i vari decreti di proroga, le operazioni di intercettazione possono proseguire per tutta la durata delle indagini preliminari. Il dies a quo, secondo la giurisprudenza, decorre dal giorno dell’inizio effettivo delle operazioni e non da quello in cui viene emesso il provvedimento che le autorizza (S.U., 23/02/2000, D’Amuri).

Le modalità esecutive delle operazioni di intercettazione.

L’art. 268 co. 2 c.p.p. statuisce che le operazioni di intercettazione possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti installati nella Procura della Repubblica e che solo quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il P.M. può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria.

Evidente la portata garantistica della previsione testé citata. Infatti, secondo la Corte Costituzionale (C. Cost. n. 34/1973), l’effettività dell’art. 15 Cost. postula «garanzie che attengono alla predisposizione anche materiale dei servizi tecnici necessari per le intercettazioni telefoniche in modo che l’Autorità giudiziaria possa esercitare anche di fatto il controllo necessario ad assicurare che si proceda alle intercettazioni autorizzate, solo a queste e solo nei limiti dell’autorizzazione». Ed in effetti, la predisposizione di impianti presso i locali delle procure dovrebbe costituire una garanzia contro eventuali abusi da parte degli organi di polizia.

La giurisprudenza tende poi ad equiparare alle intercettazioni eseguite mediante gli impianti esistenti presso le Procure, le intercettazioni di conversazioni quando l’ascolto avvenga “in sede remota” da parte degli organi di polizia giudiziaria, in quanto il mezzo di prova è costituito esclusivamente dalla registrazione delle conversazioni che viene effettuata presso gli uffici di Procura e non dall’ascolto delle stesse che viene eseguito contestualmente dalla p.g. in luogo diverso, ai fini della prosecuzione delle indagini.

Le Sezioni Unite hanno poi delineato una netta e risolutiva distinzione tra attività di registrazione (che consiste nella immissione dei dati captati in una memoria informatica centralizzata, che deve necessariamente avere luogo nei locali della Procura della Repubblica) ed attività di riproduzione (che si concreta nel trasferimento su supporti informatici di quanto registrato mediante gli impianti presenti nell’ufficio giudiziario), precisando che la “remotizzazione” di quest’ultima non costituisce una pratica lesiva delle garanzie della difesa, essendo sempre consentito l’accesso alle registrazioni originali (Cass. S.U., 26/06/2008).

Come anticipato nell’incipit del presente paragrafo, il principio generale secondo il quale le operazioni dovrebbero svolgersi attraverso impianti esistenti presso le Procure della Repubblica sopporta tuttavia una deroga: allorché gli impianti istallati all’interno degli uffici di Procura risultino insufficienti od inidonei ovvero esistano eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero dispone, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio od in dotazione alla polizia giudiziaria (art. 268, co. 3).

Più in particolare, si ritiene che la ricorrenza delle eccezionali ragioni di urgenza sia valutata con riguardo alla situazione delle indagini ed alle caratteristiche dei fatti criminosi investigati, e sussiste quando, risultando in concreto inadeguate le modalità esecutive immediatamente attuabili in base ai mezzi ed alla situazione operativa della sala ascolto esistente presso la Procura, un ritardo dell’indagine comporterebbe un grave pregiudizio per i relativi esiti.

Quanto al presupposto dell’inidoneità degli impianti d’intercettazione installati presso la Procura della Repubblica, si è invece sostenuto che esso vada inteso non in senso restrittivo come mancanza dei requisiti tecnici necessari, ma in senso più ampio come impossibilità in concreto di svolgere le operazioni d’intercettazione in modo utile e coordinato con le operazioni di ascolto già in corso presso gli uffici della polizia giudiziaria.

Ai sensi dell’art. 268 co. 3, la competenza a disporre tali differenti modalità esecutive è attribuita al P.M. che decide con provvedimento motivato. Anche tale disposizione si collega alla previsione di cui all’art. 271 in materia di inutilizzabilità delle intercettazioni. In mancanza della motivazione, infatti, si profila, oltre ad un’ipotesi di nullità per mancanza di motivazione, una causa di inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni. Si è tuttavia ritenuto che, nel caso di intercettazione di conversazioni o comunicazioni ritualmente disposta che vede il provvedimento esecutivo formalmente viziato per mancanza di motivazione sull’utilizzazione di apparecchiature diverse da quelle installate nell’ufficio della Procura della Repubblica, è possibile darsi contezza delle condizioni legittimanti le intercettazioni in un provvedimento successivo, purché anteriore alla utilizzazione delle risultanze dell’operazione.

Si noti inoltre che il decreto con cui il P.M. dispone il compimento delle operazioni di intercettazione mediante impianti diversi da quelli esistenti presso gli uffici della Procura della Repubblica non è soggetto alla convalida del giudice, in quanto non riguarda i presupposti e le forme del provvedimento, ma soltanto le modalità esecutive dell’operazione.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno affermato che la disposizione di cui al co. 3 dell’art. 268 c.p.p. si applica anche alle intercettazioni tra presenti (S.U., 31/10/2001).

Nella esecuzione delle operazioni è obbligatoria la riproduzione su nastro magnetico delle conversazioni captate, pena l’inutilizzabilità dei risultati (art. 271). È quindi solo al nastro registrato che occorre far riferimento per apprendere e valutare i risultati probatori dell’intercettazione. Sono inoltre soggette a verbalizzazione tutte le operazioni compiute. Alla mancata verbalizzazione è ricollegato un ulteriore motivo di inutilizzabilità dei risultati probatori captati. L’art. 268 co. 2 impone poi la trascrizione, anche sommaria, del contenuto delle comunicazioni intercettate nel verbale (c.d. brogliaccio di ascolto).

Secondo la giurisprudenza, debbono distinguersi dai cosiddetti “brogliacci”, consistenti nella sommaria trascrizione delle conversazioni intercettate, effettuata ex art. 268, 2° co., nei verbali delle operazioni e in nessun caso utilizzabili ai fini della decisione, le trascrizioni delle intercettazioni medesime eventualmente effettuate dalla polizia giudiziaria. Le seconde, a differenza dei primi, ben possono essere utilizzate per la pronuncia della sentenza, fermo il diritto delle parti di chiedere la trascrizione mediante perizia (Cass. Sez. IV, 28/09/2004, Mauro)

I nastri delle registrazioni, ai fini di tutelarne la genuinità contro eventuali manomissioni, devono essere racchiusi in apposite custodie sigillate, numerate e raccolte in un contenitore indicante il numero delle registrazioni contenuto, il numero dell’apparecchio controllato, i nomi, se possibile, delle persone comunicanti e infine il numero risultante dal registro di cui all’art. 267 (art. 89 disp. att.). I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al P.M., il quale dispone che entro cinque giorni dal termine delle operazioni essi siano depositati per i difensori nella sua segreteria unitamente ai decreti che hanno disposto, autorizzato o prorogato le intercettazioni (art. 268, co. 4). L’art. 268 co. 6 prevede poi che ai difensori delle parti sia dato immediato avviso della facoltà di esaminare gli atti ed ascoltare le registrazioni ovvero prendere cognizione dei flussi di comunicazione informatiche o telematiche e ciò sia al fine di valutare eventuali cause di inutilizzabilità, sia al fine di prendere contezza del contenuto del materiale acquisito in vista della successiva acquisizione.

 In dottrina si assume infatti che l’omesso avviso del deposito degli atti ai difensori delle parti li priva del diritto di prendere conoscenza del contenuto delle intercettazioni provocando una nullità ex artt. 178, 1° co., lett. c e 180 c.p.p.; di diverso avviso la giurisprudenza, che ritiene che l’omesso o ritardato deposito dei verbali di intercettazione e delle relative registrazioni non è considerato causa di inutilizzabilità né di nullità, bensì una mera irregolarità.

Comunque sia, una volta che le parti hanno avuto modo di conoscere i contenuti del materiale d’intercettazione sorge in capo alle stesse l’onere di indicare al giudice le conversazioni ed i flussi di cui si chiede l’acquisizione, nell’ambito di una procedura camerale. Ciò consente l’inquadramento del procedimento di selezione su indicato nell’ambito del “diritto alla prova” con conseguente attrazione nella disciplina della disponibilità della prova sancita dall’art. 190: in linea di principio, dunque, il giudice non può acquisire conversazioni se le parti non ne indicano alcuna. In particolare, il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio di rilevanza sulle conversazioni indicate dalle parti escludendo solo quelle che ritiene «manifestamente irrilevanti» nonché quelli inutilizzabili. Tra le comunicazioni che devono essere stralciate vi sono poi quelle intercorse con il difensore.

Selezionate le registrazioni ritenute rilevanti, il giudice «dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi informativi o telematici», con «le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie» (art. 268, co. 7); dopo di che “le trascrizioni o le stampe” sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.

Inutilizzabilità delle intercettazioni.

L’art. 271 co. 1 c.p.p. stabilisce che i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano eseguite fuori dei casi previsti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dagli artt. 267 e 268, commi 1 e 3.

Attraverso la previsione di cui all’art. 271 il legislatore ha inteso chiaramente sottrarre la valutazione in ordine alla sussistenza della sanzione dell’inutilizzabilità a “criteri interpretativi”, introducendo una norma che si pone in rapporto di specie a genere rispetto all’art. 191 c.p.p.

L’art. 271, co. 1 costituisce una norma vuota rinviando, quanto alle situazioni che danno luogo ad inutilizzabilità, agli artt. 267, 278, 1° e 3° co. c.p.p. L’art. 267 contiene le regole relative ai presupposti ed alle forme del provvedimento. In tale prospettiva la sanzione dell’inutilizzabilità ricorrerà non solo nell’ipotesi di mancanza della richiesta del P.M. e cioè d’intercettazione autorizzata dal giudice d’ufficio, ma anche nell’evenienza in cui vi sia la mancanza del decreto di autorizzazione, convalida e proroga. La portata della disposizione è tuttavia molto ampia e ricomprende anche i casi in cui l’organo inquirente adotti il decreto di iniziativa al di fuori dei casi di urgenza, ovvero qualora, nel renderlo, non giustifichi il fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave pregiudizio alle indagini (difetto di motivazione); tale violazione è inoltre ravvisabile sia qualora la captazione venga eseguita dopo la scadenza del termine di durata assegnato, ovvero da un agente anziché da un ufficiale di polizia giudiziaria, sia qualora sia omessa l’annotazione nel registro riservato di cui all’art. 267, co. 5 dei decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le captazioni.

L’art. 270, co. 3 statuisce che non possono essere utilizzate le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni delle persone che, qualora assunte come testimoni, potrebbero opporre il segreto professionale, alla condizione che esse abbiano ad oggetto fatti conosciuti per ragione del loro ministero, ufficio o professione e sempre che le stesse persone che potrebbero avvalersi del segreto non abbiano già deposto sugli stessi fatti o li abbiano in altro modo divulgati. La previsione deve essere collegata a quella contenuta nell’art. 103, 5° co. che vieta l’intercettazione relativa a conversazione o comunicazioni dei difensori, degli investigatori privati autorizzati incaricati in relazione al procedimento, dei consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.

Un altro divieto di utilizzazione riguarda i membri del parlamento. L’art. 343, commi 2 e 3, in attuazione dell’art. 68 Cost., vieta di sottoporre ad intercettazione la persona rispetto alla quale l’autorizzazione a procedere è richiesta: il divieto di intercettazione si traduce in quello di utilizzare i risultati dell’intercettazione compiuta nonostante il divieto.

L’art. 271 co. 1 bandisce le intercettazioni compiute senza osservare l’art. 268, 1° e 3° co., che impone la verbalizzazione e la registrazione delle comunicazioni intercettate. L’inutilizzabilità consegue alla mancanza non solo del verbale delle operazioni, ma anche delle indicazioni prescritte nello stesso verbale. La mancata sottoscrizione dell’ufficiale di polizia giudiziaria che ha redatto il verbale e «l’incertezza assoluta sulle persone intervenute» provocano la nullità del verbale a norma dell’art. 142 (peraltro assorbita dall’inutilizzabilità dettata dagli artt. 268 co. 1 c.p.p. e 89 co. 1 disp. att.).

Altra ipotesi di inutilizzabilità consegue all’utilizzo di impianti diversi da quelli installati nella Procura della Repubblica, salvo decreto motivato del P.M. L’assenza di tale decreto o della sua motivazione determina di conseguenza l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione compiuta

Quanto alle conseguenze di tali violazioni, si rimarca come il risultato appreso contra legem è inutilizzabile e da considerarsi tamquam non esset, tanto che la legge ne impone la distruzione materiale. Infatti, il giudice “in ogni stato e grado del processo” dispone che la documentazione delle intercettazioni non utilizzabili ex art. 271 commi 1 e 2 sia distrutta, salvo che costituisca corpo del reato. Viceversa, i risultati di un’intercettazione legittimamente eseguita possono essere utilizzati anche prima del dibattimento ai fini dell’adozione di una misura cautelare oppure per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio o nel giudizio abbreviato, sull’applicazione della pena su richiesta delle parti o nel procedimento per decreto penale.

A questi fini il risultato delle intercettazioni legittime costituisce fonte di prova ancora prima che ne venga disposta la trascrizione ai sensi dell’art. 268, co. 7. Secondo la dottrina, tuttavia, tale soluzione non sarebbe condivisibile in quanto qualsiasi uso processuale delle intercettazioni è subordinato alla conclusione dell’iter acquisitivo. Pertanto solo dopo la trascrizione con perizia il P.M. dovrebbe poter utilizzare le prove raccolte ai fini dalla sua richiesta al giudice.

La valutazione dei risultati delle operazioni.

Se un’intercettazione telefonica è validamente autorizzata essa può essere utilizzata nei confronti di qualsiasi persona a carico della quale lasci emergere elementi di responsabilità. Più complessa si presenta invece la questione relativa alla valutazione delle intercettazioni telefoniche che, in genere, sono composte da materiali non sempre chiari ed intelligibili che richiedono notevoli sforzi interpretativi da parte del giudice.

In giurisprudenza, in tema di valutazione dei risultati delle intercettazioni di comunicazioni, si è affermato che il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati, assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione. In questo caso, ben può il giudice di merito fondare la sua decisione sul contenuto di tali conversazioni (così, Cass. Sez. IV, 7/05/2004, Spadaro). L’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, è questione di fatto rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e si sottrae al giudizio di legittimità se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.