Interdittiva antimafia: contrasto alle infiltrazioni mafiose nei rapporti con la PA

L’interdittiva antimafia (detta anche informativa) costituisce uno dei principali strumenti di contrasto al coinvolgimento di organizzazioni criminali nell’ambito dei rapporti economici tra Pubblica Amministrazione e privati.

L’istituto si colloca nel genus della c.d. documentazione antimafia, intesa come il complesso di “provvedimenti amministrativi attraverso i quali viene fatto conoscere preliminarmente alla pubblica amministrazione l’esistenza o meno di impedimenti e situazioni indici di mafiosità a carico dei soggetti che si pongono in relazione con essa”.

Nel dettaglio, essa comporta la preclusione ad un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione –  di essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge (v. Cons. Stato, sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743).

Si tratta di un provvedimento amministrativo di competenza prefettizia, avente carattere “cautelare e preventiva”. In un’ottica di bilanciamento tra la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, da un lato, e la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.), dall’altro, l’interdittiva antimafia mira a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa tesi a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione, tanto a garanzia del buon andamento, dell’imparzialità e della legalità dell’Amministrazione, nonché della leale concorrenza nel mercato e del corretto utilizzo di risorse pubbliche (v. Cons. Stato, sez. III, 31 dicembre 2014, n. 6465).

E’ ormai noto, infatti, come dilaghi la nascita di imprese gestite da veri e propri intranei alle consorterie mafiose o di operatori economici contigui ad esse, i quali, mettendo le proprie attività a servizio in vario modo delle associazioni malavitose, ne ricavino notevoli profitti o, comunque, facilitazioni nell’aggiudicazione di gare, conseguendo posizioni di preminenza sostanziale nel vari settori di mercato.

L’interdittiva antimafia prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 159/2011 (c.d. Codice antimafia) era regolata dall’art. 4 del D.Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998 n. 252, e si distingueva in “tipica” e “atipica”.

L’interdittiva tipica vincolava (e vincola tuttora) la stazione appaltante a interrompere il rapporto con l’impresa; quella atipica, invece, non aveva effetto direttamente impeditivo di ulteriori rapporti negoziali con la Pubblica Amministrazione, ma consentiva l’attivazione – da parte delle Amministrazioni interessate – degli ordinari strumenti di valutazione discrezionale in ordine all’avvio o al prosieguo dei rapporti contrattuali medesimi (v. Cons. Stato, sez. III, 31 dicembre 2014, n. 6465).

Avendo il legislatore disposto l’abrogazione della figura delle interdittive atipiche, è stato eliminato ogni potere discrezionale della P.A.; l’interdittiva, infatti, è adesso soltanto “tipica” e quando essa viene adottata, l’Amministrazione è vincolata a interrompere il rapporto con l’impresa.

L’interdittiva antimafia, quale misura a carattere preventivo, prescinde dall’accertamento di singole responsabilità penali nei confronti di soggetti che hanno rapporti con la pubblica amministrazione. Si fonda sugli accertamenti compiuti dai differenti organi di polizia valutati dal prefetto competente territorialmente.

La scarna disciplina del Codice antimafia in relazione ai parametri di esercizio della potestà discrezionale, lascia un ampio margine di apprezzamento al Prefetto, proprio per l’impossibilità di indicare ex ante tutte le modalità con cui i tentativi di infiltrazione mafiosa si realizzano nella pratica.

Tale valutazione non può prescindere da una congrua ed adeguata istruttoria, della quale dar conto in motivazione, onde evidenziare le circostanze di fatto che farebbero ritenere il soggetto (persona fisica o giuridica) pericoloso o comunque capace di abusi.

Circa la motivazione, il Prefetto dovrà indicare con precisione, nell’informativa, gli elementi di fatto e motivare, anche mediante il rinvio, per relationem, alle relazioni eseguite dalle Forze di Polizia, le ragioni che lo inducono a ritenere probabile che da uno o più di tali elementi, per la loro attualità, univocità e gravità, sia ragionevole desumere il pericolo concreto di infiltrazione mafiosa nell’impresa” (Consiglio di Stato, sent. n. 1743/2016).

Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto, in modo organico e coerente, di quei fatti aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del «più probabile che non», si desume il pericolo di infiltrazione.

Gli elementi,  concreti e attuali, dai quali si possa desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa o dai quali risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto agevolare le attività criminose, sono individuati sulla base di:

a) provvedimenti ‘sfavorevoli’ del giudice penale;

b) sentenze di proscioglimento o di assoluzione;

c) proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso d. lgs. n. 159 del 2011;

d) rapporti di parentela;

e) contatti o rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia;

f) vicende anomale nella formale struttura dell’impresa;

g) vicende anomale nella concreta gestione dell’impresa;

h) condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi ‘benefici’;

i) inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

Circa il termine di efficacia, la giurisprudenza è costante nello statuire che l’informativa prefettizia interdittiva ha una validità tendenzialmente indeterminata nel tempo, salvo l’emergere di fatti nuovi di segno contrario (Consiglio di Stato, sent. n. 739/2017).

Quanto al termine di dodici mesi, indicato dall’art. 86, comma 2, D. Lgs. n. 159/2011, va inteso come obbligo per le singole amministrazioni di richiedere nuovamente la documentazione antimafia, una volta trascorsi dodici mesi dalla precedente informativa, al fine di verificare l’attualità dell’esistenza del pericolo di infiltrazioni nell’azienda.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.