La chiamata in correità: valutazione probatoria art. 192 comma 3 e 4

Con l’espressione chiamata  in correità (o in reità) si fa riferimento alla situazione in cui un soggetto accusi altri della commissione di un fatto di reato. Più precisamente, si distingue: la chiamata in correità, in cui il propalante dopo aver rappresentato il proprio coinvolgimento diretto nei fatti delittuosi oggetto dell’imputazione, ascrive altresì ad altri la compartecipazione in essi; la chiamata in reità, si ha invece quando il dichiarante non si sia affermato responsabile del fatto per cui si procede, bensì si sia limitato ad attribuirlo ad altri.

Per tali dichiarazioni è prevista una disciplina di valutazione probatoria più rigorosa rispetto a quella posta per il testimone, proprio perché la fonte da cui provengono – ossia un soggetto coinvolto nel medesimo agire criminoso su cui riferisce ovvero in condotte ad esso connesse o collegate – desta più dubbi circa la propria attendibilità, rispetto a coloro che devono ritenersi estranei ai fatti per cui vi è imputazione o vi sono in corso indagini.

Dalla disciplina in discorso, contenuta all’art. 192 comma 3 e 4 c.p.p., si evince che la chiamata in correità non ha un pieno valore probatorio, bensì è necessaria una attenta valutazione delle dichiarazioni rese dal propalante da parte del giudice unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità; il che vuol dire che la chiamata in correità deve essere corroborata da riscontri obiettivi, cioè esterni.

Per dirlo in altri termini,  la chiamata di correo, per avere valenza di prova ed essere quindi utilizzata dal giudice nella propria decisione, deve avere i requisiti della credibilità e dell’attendibilità intrinseca, come per ogni testimone che renda dichiarazioni nel processo, ed inoltre deve essere confermata nella sua attendibilità da “altri elementi di prova” che possono essere di qualsiasi tipo e natura (c.d. attendibilità estrinseca).

La verifica di tali requisiti va compiuta seguendo l’indicato ordine logico che prevede, per l’appunto, prima la verifica dell’attendibilità del dichiarante e di quanto da lui affermato e solo dopo la verifica di tale attendibilità alla luce di riscontri esterni.

Per quanto concerne l’attendibilità intrinseca, i positivi indici rivelatori di affidabilità della chiamata di correo, vanno individuati in alcuni connotati della stessa quali: spontaneità, verosimiglianza, precisione, costanza e reiterazione senza contraddizioni essenziali, coerenza logica e ragionevolezza, articolazione in molteplici e dettagliati contenuti descrittivi, completezza della narrazione dei fatti, etc.; ovviamente eventuali imprecisioni o discrasie tra plurime dichiarazioni della medesima fonte vanno adeguatamente apprezzate anche in riferimento all’ampiezza ed alla molteplicità dei fatti narrati nonché alla loro collocazione più o meno lontana nel tempo.

Sotto tale profilo è ritenuta ammissibile dalla Giurisprudenza di legittimità anche la valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie provenienti da un chiamante in correità, per cui l’attendibilità del medesimo, anche se denegata per una parte del suo racconto, non ne coinvolge necessariamente tutte le altre che reggono alla verifica giudiziale del riscontro. Così come, per un altro verso, la credibilità ammessa per una parte della dichiarazione accusatoria non può significare attendibilità per l’intera narrazione in modo automatico.

Per quanto attiene invece alla verifica dell’attendibilità estrinseca, essa consiste nella ricerca di elementi estranei alle dichiarazioni che possano confermare ulteriormente l’attendibilità della chiamata.

Naturalmente non è richiesto che tali riscontri estrinseci abbiano il carattere di piena prova di colpevolezza, giacché, ove così fosse, sarebbe superflua la chiamata in correità, mentre sarà sufficiente che gli stessi siano di qualsiasi tipo e natura, purché tali da porre in relazione il fatto di reato con la persona del chiamato e da consentire di individuare la posizione di quest’ultimo quale responsabile, sia pure in concorso con altri, del reato (es. rinvenimento dell’arma del delitto; indicazione del luogo ove è seppellito il cadavere della vittima; etc.).

Inoltre se la chiamata in correità è plurima, cioè coinvolge una pluralità di persone, i riscontri oggettivi devono essere acquisiti per ciascuna delle persone accusate ed avere, quindi, idoneità dimostrativa in relazione all’attribuzione del fatto-reato al soggetto a cui è rivolta la chiamata in correità (cd. riscontri individualizzanti)

Quanto fin qui detto naturalmente non esclude che detti riscontri possano essere costituiti anche da altre chiamate in correità. Può costituire valido riscontro esterno ad una chiamata in correità anche un’altra chiamata in correità, le quali però devono caratterizzarsi: a) per la loro convergenza in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione; b) per la loro indipendenza – intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente – da suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare il valore della concordanza; c) per la loro specificità, nel senso che la cd. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia la persona dell’incolpato sia le imputazioni a lui ascritte, fermo restando che non può pretendersi una completa sovrapponibilità degli elementi d’accusa forniti dai dichiaranti, ma deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della loro concordanza sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere.

Al riguardo deve sottolinearsi che sebbene le dichiarazioni che si riscontrano reciprocamente debbano soddisfare esigenze di convergenza e concordanza, tuttavia non può pretendersi una totale e perfetta sovrapponibilità: situazione, quest’ultima, che potrebbe semmai costituire essa motivo di sospetto. Piuttosto le eventuali smagliature e divergenze postulano soltanto un maggiore rigore valutativo indirizzato a controllare la sostanziale convergenza dei rispettivi nuclei fondamentali nonché a ricercare i plausibili motivi delle rilevate difformità.

Non può essere, infine, escluso il rilievo di una chiamata in correità de relato che ha la stessa valenza di una normale chiamata in correità, ma che necessita, naturalmente, di un maggior rigore nel vaglio della sua attendibilità dovendo essere verificata non solo con riguardo al suo autore immediato, ma anche in relazione alla fonte originaria dell’accusa.

Secondo la giurisprudenza, tuttavia, la a chiamata in correità  de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè siano rispettate le seguenti condizioni:

a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità;

b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo;

c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del “thema probandum”;

d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente;

e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.