Colpa impropria: errore colpevole sulla rappresentazione del fatto

Ai sensi dell’art. 43 c.p. il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.

A parte la fondamentale distinzione tra colpa generica (quando il reato colposo si consuma per imprudenza, negligenza o imperizia) e colpa specifica (quando il reato colposo si fonda sulla inosservanza di norme positive – regolamenti, ordini e discipline – che prescrivono obblighi di diligenza. ), alcuni Autori suddividono, poi, la colpa nelle tipologie di “colpa propria”, che è la colpa tradizionale, e “colpa impropria”, in cui vengono annoverate le fattispecie di eccesso colposo nelle cause di giustificazione, errore colposo sul fatto tipico (art. 47 cod pen.), ed errore colposo nella rappresentazione dell’esistenza di una causa di giustificazione (art. 59 ult. comma cod. pen.).

Più specificamente la colpa c.d. impropria fa riferimento ad alcune ipotesi in cui il soggetto agisce con la coscienza e volontà dell’intero fatto tipico, ma versando in una situazione di errore colposo quanto alla presenza o ai limiti di fattispecie giustificanti. Es.: Tizio, supponendo erroneamente che Caio gli si stia avvicinando per aggredirlo, mentre in realtà intendeva solo chiedere un’informazione, reagisce per difendersi dalla presunta aggressione. Tali ipotesi consiste in una erronea supposizione di una situazione giustificante (legittima difesa) in realtà totalmente inesistente (art. 59, co. 4 c.p.).

Nelle ipotesi di colpa impropria, è presente la volontà dell’evento, ma la situazione che il soggetto si rappresenta è diversa da quella effettiva. In altre parole, l’errore cade sulla rappresentazione. Il soggetto attivo vuole l’evento ma non l’offesa al bene giuridico. L’evento viene determinato per un errore di valutazione della realtà oggettiva in cui agisce il soggetto e da cui scaturisce un atteggiamento mentale viziato nella volizione dell’evento che si reputa (erroneamente) non lesivo.

La carenza di volontà lesiva giustifica l’assimilazione sul piano sanzionatorio alla colpa propriamente detta; iniqua risulterebbe infatti la parificazione ai reati dolosi in quanto nelle suddette ipotesi mancherebbe l’elemento soggettivo del reato doloso, ossia la consapevolezza del (dis)valore sociale dell’azione o dell’omissione da parte dell’agente.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.