La confisca ex art. 19 D.Lgs 231/2001

La confisca ex art. 19 D.lgs 231/2001, che disciplina la responsabilità amministrativa delle società e degli enti dipendente da reato, rappresenta una misura sanzionatoria con funzione ripristinatoria della situazione economica precedente la commissione del fatto illecito (v.  Cass., sez. II, 12 dicembre 2006, n. 235814).

Dispone il citato art. 19:

Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato.

La giurisprudenza propende per l’applicabilità della confisca de qua anche in caso di patteggiamento, attesa la natura della sentenza di applicazione della pena su richiesta, la quale, a norma dell’art. 445 c.p.p., comma 2, “… è equiparata a una pronuncia di condanna. Si ritiene, peraltro, del tutto irrilevante la circostanza per cui la confisca non abbia formato oggetto dell’accordo tra le parti, nella misura in cui sia comunque certa la determinazione dei beni costituenti il profitto del reato e perciò destinati all’ablazione.

La misura ablativa ex art. 19, oltre ad essere disposta a titolo di sanzione in sede di pronuncia della sentenza di condanna, può essere anticipata in via cautelare, secondo il procedimento disciplinato per l’applicazione dell’omologo istituto del sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, ex art 321 comma 2 c.p.p.

La natura sanzionatoria della confisca ex art. 19 D.Lgs 231/2001 comporta, innanzitutto, l’estensione ad essa del corredo di principi garantistici che il decreto contempla per tutte le sanzioni destinate a colpire l’ente responsabile. Primo fra tutti principio di legalità, previsto dall’art. 2, secondo cui “l’ente non può essere ritenuto responsabile per un fatto costituente reato se la sua responsabilità amministrativa in relazione a quel reato e le relative sanzioni non sono espressamente previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto”.

Parimenti, la confisca in esame non può essere disposta in caso di proscioglimento della persona giuridica per via di una causa di estinzione dell’illecito dipendente da reato ex art. 60 D.Lgs. 231/2001, e qualora successivamente alla condanna intervenga un espediente tale da determinare la cessazione dell’esecuzione (ad es. l’abrogazione del reato-presupposto), l’art. 74 impone al giudice dell’esecuzione di disporre  “la restituzione del bene confiscato, ove non sussistano diritti di terzi acquisiti in buona fede”. Inoltre, la confisca – al pari di ogni altra sanzione prevista nel decreto in esame – non potrà trovare applicazione nel caso in cui si prescriva l’illecito.

L’operatività della confisca ex art. 19 incontra il duplice limite consistente nella parte (del profitto o del prezzo confiscabili) restituibile al danneggiato e nei diritti acquisiti, sui beni passibili di ablazione, da terzi in buona fede.

Sotto il primo profilo, rileva il privilegio accordato alla funzione riparatoria della misura. Del resto, se la funzione della confisca è quella di sanzionare l’ente, che non potrà godere delle utilità ricavate dal reato, diviene indifferente che parte di queste vadano allo Stato piuttosto che ad un altro soggetto, purché gli vengano comunque sottratte.

Quanto invece al limite dato dai diritti dei terzi acquisiti in buona fede, se ne ammette l’applicabilità non solo quando i beni passibili di ablazione siano stati alienati o comunque trasferiti a soggetti terzi. La norma non richiede, infatti, che i diritti dei terzi in buona fede debbano necessariamente consistere in diritti reali di proprietà; ciò induce a ritenere che la proprietà formale del bene in capo al soggetto passivo della confisca non sia sufficiente a legittimare la confisca medesima quando sul bene insistano diritti di terzi in buona fede che sarebbero pregiudicati dalla confisca stessa.

Guardando alla confisca per equivalente, prevista dal comma 2 dell’art. 19, ci si è invece domandati il carattere facoltativo o obbligatorio della misura, atteso l’utilizzo di espressioni differenti adoperate rispettivamente nel comma 1 (“è sempre disposta”) e nel comma 2 (“può essere disposta”).

Prevalente la tesi secondo cui si tratti, in entrambe le ipotesi di confisca obbligatoria, quale sanzione principale e autonoma rispetto alle altre pure previste nello stesso decreto legislativo. Si è osservato che l’uso della locuzione “può”, contenuta nel comma 2 dell’art. 19 D.Lgs. 231/2001, non trasforma in sanzione facoltativa la confisca di valore, ma sottolinea semplicemente che affinché abbia luogo questo tipo di confisca il giudice debba preventivamente verificare una serie di condizioni, in presenza delle quali l’ablazione del profitto o del prezzo resta comunque obbligatoria.

E’ evidente l’importanza della determinazione di cosa debba intendersi per “profitto del reato” per l’applicazione della confisca, atteso che in nessuna disposizione legislativa è possibile rinvenire una sua definizione.

La giurisprudenza è orientata ad attribuire al termine un significato più ampio rispetto a quello economico o aziendalistico (secondo cui il profitto corrisponde all’utile netto, ossia ai ricavi meno i costi) ed a ritenere che la nozione di profitto del reato possa essere diversa a seconda del tipo di reato di cui si discute.

Il profitto del reato va, inoltre, tenuto distinto dal prodotto e dal prezzo del reato, e va individuato in qualsiasi vantaggio economico che costituisca un beneficio aggiunto di tipo patrimoniale, che abbia una diretta derivazione causale dalla commissione del reato (c.d. “relazione di pertinenzialità”).

Il concetto di profitto, anche in relazione alla figura particolare della confisca per equivalente, non si può estendere fino a ricomprendere qualsiasi vantaggio anche immateriale. Non costituisce profitto del reato un qualsivoglia vantaggio che, pur derivante dal reato, tuttavia sia futuro, sperato, eventuale, solo possibile, immateriale o non ancora materializzato in termini strettamente economico-patrimoniali.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.