La contestazione probatoria

La contestazione probatoria, regolata dagli artt. 500 e 503 c.p.p., mira a mettere in dubbio la credibilità della persona che in dibattimento rende una versione dei fatti differente o a permettere allo stesso soggetto di ricalibrare quanto affermato in dibattimento o di spiegare le ragioni per cui ha fornito una diversa versione.

Affinchè si possa parlare di contestazione probatoria, con conseguente applicazione delle disposizioni ad essa relative, occorre:

– che oggetto di contestazione siano precedenti dichiarazioni, i cui verbali sono contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero;

– che tali dichiarazioni siano state rese dalla stessa persona che in dibattimento sta dichiarando cose diverse;

– che la contestazione avvenga solo dopo che sui fatti e sulle circostanze contestate il testimone abbia già deposto (ciò al chiaro scopo di evitare che al teste sia suggerita la risposta).

Si è discusso se possa procedersi a contestazione qualora il teste rimanga silente. La prassi è nel senso dell’ammissibilità della contestazione, qualora il dichiarante affermi di non ricordare più come si sono svolti i fatti, ovvero ometta rilevanti particolari in precedenza invece descritti. Qualora invece il teste rifiuti di rispondere, si ritiene invece che non è possibile procedere a contestazione (v. contra Cass. sez.  V, 21 novembre 2002, Casamenti).

Le modalità di effettuazione della contestazione probatoria consiste nel leggere la dichiarazione rilasciata in precedenza e chiedere conto al deponente dei motivi di tali contraddizioni.

Ove il testimone non rettifichi, a seguito di contestazione, la dichiarazione resa in dibattimento, si pone il problema dell’utilizzabilità del verbale delle precedenti dichiarazioni ai fini della decisione.

Al riguardo, l’art. 500 al comma 2 dispone che le dichiarazioni lette per le contestazioni possono essere valutate esclusivamente ai fini della credibilità del teste.

A tale regola generale si contrappongo, tuttavia, alcune eccezioni previste dal medesimo art. 500, che consentono l’utilizzo delle precedenti dichiarazioni come prova del fatto narrato. Trattasi:

  •  della minaccia sul dichiarante: quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinchè non deponga o deponga il falso. Si tratta di un’applicazione diretta dell’art. 111 comma 5 Cost., che consente una eccezione al principio del contraddittorio in caso di provata condotta illecita;
  • della dichiarazioni rese all’udienza preliminare: essa è utilizzabile soltanto nei confronti delle parti i cui difensori hanno preso parte alla loro assunzione;
  • dellaccordo delle parti: le dichiarazioni, come qualsiasi altro atto, contenute nel fascicolo del Pubblico Ministero sono utilizzabile dal Giudice ai fini della decisione se vi è consenso delle parti.

La medesima disciplina ora esposta con riguardo alla deposizione testimoniale, si applica anche nel caso di deposizione resa dall’imputato di un procedimento connesso e collegato, chiamato a rendere l’esame ex art. 210 c.p.p. (v. art. 500, comma 5 c.p.p.).

Quando a rendere dichiarazioni in dibattimento è invece l’imputato, la norma che regola le contestazioni probatorie non è l’art. 500 c.p.p., bensì l’art. 503, che contiene una disciplina particolare in merito all’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni da questi rese.

Ebbene, mentre le precedenti dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria che agiva di propria iniziativa rimangono utilizzabili solo per valutare la credibilità dell’imputato, le dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria delegata o al Pubblico Ministero, alle quali il difensore dell’imputato aveva diritto ad assistere, sono utilizzabili anche come prova del fatto rappresentato.

Sono altresì utilizzabili per la valutazione del fatto, le dichiarazioni resa dall’imputato al Giudice:

  1. nell’interrogatorio di garanzia ex art. 294 c.p.p.;
  2. nell’interrogatorio reso in sede di revoca della misura cautelare ex art. 299 c.p.p.;
  3. nell’interrogatorio reso in sede di convalida dell’arresto o del fermo;
  4. nell’interrogatorio reso in udienza preliminare.

L’art. 503 non disciplina l’ipotesi in cui il procedimento si svolga contro più imputati. Ci si è pertanto chiesti se le precedenti dichiarazioni resa da uno degli imputati nei confronti di un altro, siano utilizzabili come prova del fatto narrato anche nei confronti di quest’ultimo. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale (sent. 1 luglio 2009, n. 197) affermando che le precedenti dichiarazioni rese da un imputato non possono essere usate nei confronti di altro coimputato come prova del fatto narrato dal primo, perché ciò violerebbe il principio del contraddittorio. Eccezionalmente possono essere utilizzate se il coimputato vi consente oppure se ricorra un’ipotesi di minaccia o subornazione sul dichiarante.

L’art. 503 disciplina anche le contestazioni probatorie durante l’esame delle altre parti diverse dall’imputato (responsabile civile e civilmente obbligato al pagamento della pena pecuniaria). Quanto all’utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni usate ai fini della contestazione, essa resta limitata alla valutazione della credibilità del dichiarante.

Va infine detto della disciplina riguardante l’ipotesi in cui un teste, esaminato da una delle parti, si rifiuti di essere esaminato da una delle altre parti processuali. L’ipotesi è oggi disciplinata dal 3 comma dell’art. 500 c.p.p., disponendo che nei confronti della parte nei cui confronti il teste si è rifiutato di deporre le dichiarazioni da questi rese all’altra parte non sono utilizzabili, salve restando le sanzioni penali applicabili al dichiarante reticente.

Così esprimendosi, il Legislatore ha evidentemente voluto estendere la tutela del principio del contraddittorio, riconosciuta dall’art. 111 comma 4 Cost. al solo imputato, a tutte le parti processuali.

Fonti:

  • Manuale breve di diritto processuale penale, P. Tonini, Giuffrè, 2016.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.