La rimessione del processo (art. 45 e ss. c.p.p.)

Il principio fondamentale dell’indipendenza ed imparzialità del giudice trova la propria conferma e tutela nell’istituto della rimessione del processo (art. 45 c.p.p. e ss.), di cui la Corte costituzionale (sentt. n. 50 e n. 109 del 1963) ha sottolineato la natura di suprema garanzia di giustizia, a conferma, e non in deroga, del principio del giudice naturale precostituito per legge sancito dall’art. 25 Cost. (così S.U. sent. n.13687/2003).

Vi possono essere casi, infatti, nei quali è pregiudicata l’imparzialità non del singolo giudice persona fisica, ma dell’intero ufficio giudicante territorialmente competente. In questi casi, il codice prevede lo spostamento della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale, con la medesima competenza per materia, situato presso il capoluogo del distretto di corte d’appello individuato ex art. 11 c.p.p.

Casi di rimessione

Dispone l’art. 45 c.p.p.:

“In ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, ovvero la sicurezza o l’incolumità pubblica o determinano motivi di legittimo sospetto, la corte di cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell’imputato , rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell’articolo 11”.

Evidente come il legislatore riconosca che il contesto ambientale in cui un processo si svolge possa influire sui giudizi, alterandoli e finanche deviandone l’esito, allorchè dalla grave situazione locale sia derivato un sentimento di indiscriminato sospetto e di generale sfiducia sugli uffici giudiziari nel loro complesso, facendo venir meno la serenità nella formazione della decisione giurisdizionale, a protezione della quale è posto l’istituto della remissione.

A tal fine possono acquistare un particolare rilievo, ai fini dell’accoglimento della richiesta, anche le manifestazioni di piazza, le dichiarazioni pronunciate in pubblico ed in occasioni istituzionali da parte di rappresentanti della magistratura e della politica, tutti fenomeni esterni alla normale dialettica processuale quando mirano ad eccitare la suggestione dell’ambiente, tenendolo in costante allarme.

La rimessione dei procedimenti costituisce una deroga alla competenza territoriale, ovvero un’eccezione al principio del giudice naturale precostituito per legge: di qui la caratteristica dell’eccezionalità che connota l’istituto in discorso.

Ciò comporta necessariamente un approccio interpretativo rigoroso dell’istituto, che impone di considerare tassative, e dunque, soggette ad un criterio di stretta interpretazione, le fattispecie legittimanti il trasferimento del processo.

Non può negarsi che i motivi, a fondamento dei quali può essere presentata richiesta di rimessione, sono indicati dalla legge in modo generico ed indeterminato, ma ciò non può e non deve tradursi in una valutazione superficiale e poco ponderata dei motivi stessi. Occorre, al contrario, un accertamento rigoroso – e prudente –  in ordine alla sussistenza di condizioni obiettive ed ambientali tali da giustificare fondati dubbi sulla possibilità dello svolgimento tranquillo ed imparziale di un determinato procedimento.

Occorre, in particolare, accertare che la grave situazione locale sia tale da riverberarsi sull’intero ufficio giudiziario astrattamente considerato, non sui singoli magistrati o su un singolo organo in cui si articoli (potendo, in tale ultima ipotesi, ricorrersi all’istituzione della ricusazione).

Il pregiudizio della libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, cui fa riferimento la norma, va individuato, secondo la giurisprudenza e la dottrina, nel condizionamento che queste persone subiscono, in quanto soggetti passivi di una vera e propria coartazione fisica o psichica che, incidendo sulla loro libertà morale, impone una determinata scelta, quella della parzialità o della non serenità, precludendone altre di segno contrario.

Il legittimo sospetto è, invece, il ragionevole dubbio che la gravità della situazione locale possa portare il giudice a non essere, comunque, imparziale o sereno, dovendo intendersi per imparzialità la neutralità del giudice rispetto al risultato, rispetto all’esito del processo (S.U. sent. n.13687/2003, già cit.).

Si capisce, dunque, come il tema della grave situazione locale sia il nodo cruciale dell’istituto della rimessione del processo. Nessun dubbio per la dottrina e la giurisprudenza di maggioranza che essa alluda ad una situazione locale, empiricamente verificabile, estranea alla dialettica processuale.

Deve quindi trattarsi di una situazione ambientale extragiudiziaria, che nasce e si stabilizza fuori dal processo e che, successivamente, riverbera i suoi effetti all’interno della vicenda giudiziaria, sicché non deve essere la vicenda processuale a ingenerare una tale situazione, proiettandosi all’esterno, ma esattamente l’opposto.

La “situazione” di cui si discorre, oltre ad essere locale/territoriale nel senso appena visto, deve essere anche grave, per ciò dovendosi intendere che la situazione deve essere tale da rendere pressoché inevitabile la sua negativa incidenza sul corretto svolgimento del processo (Cass., 8 settembre 1992, Di Muro).

Richiesta di remissione ed effetti

La “richiesta motivata”, di cui parla l’art. 45 c.p.p., è costituita da un atto scritto contenente l’indicazione delle ragioni per le quali si richiede il trasferimento del processo ad altra sede.

Ai sensi dell’art. 46, co. 1 , c.p.p. la richiesta deve essere depositata, con i documenti che vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice ed è notificata entro sette giorni a cura del richiedente alle altre parti.

L’onere della notifica alle altre parti è chiaramente preordinato alla realizzazione del contraddittorio, nonché a rendere possibile ad eventuali coimputati di associarsi alla richiesta.

Il successivo comma 2 prevede, invece, che la richiesta dell’imputato deve essere sottoscritta da lui personalmente o a mezzo di persona munita di procura speciale ex art. 122, ciò al fine di «maggiormente responsabilizzare l’imputato circa la gravità della relativa richiesta di rimessione» (Rel. prog. def., 169).

Ogni decisione sulla richiesta di rimessione è riservata – ai sensi dell’art. 48 –  alla competenza funzionale della Corte di Cassazione, dovendo limitarsi il giudice che procede a trasmettere la richiesta a detta Corte a norma della disposizione di cui all’art. 46., co. 3, c.p.p

È stato escluso che il giudice del processo principale, cui sia stata presentata la richiesta di rimessione, possa dichiararne l’inammissibilità per manifesta infondatezza, anche quando ne appaia palese la pretestuosità o risulti evidente la violazione delle forme e dei termini dettati dal codice in materia (Cass. Sez. III, 14 gennaio 1992, Certosino).  Lo stesso giudice può sindacarne il contenuto al solo fine di stabilire se l’istanza medesima sia o meno fondata su elementi nuovi rispetto a quelli di altra già rigettata o dichiarata inammissibile, conformemente al precetto contenuto nel secondo comma dell’art. 47.

L’art. 47, co. 1, c.p.p. prevede la sospensione facoltativa del processo, che può essere disposta sia dal giudice del processo principale sia dalla Corte di Cassazione. Il provvedimento sospensivo, adottato con la forma dell’ordinanza, è fondato sulla valutazione prognostica del contenuto della richiesta di rimessione e sul riconoscimento dell’esistenza del fumus boni iuris, tale da fare apparire probabile l’accoglimento dell’istanza.

Ai sensi del successivo comma 2, il giudice è, comunque, tenuto a sospendere il processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della discussione e non possono essere pronunciati il decreto che dispone il giudizio o la sentenza, quando vi è notizia dalla Corte di Cassazione che la richiesta di rimessione è stata assegnata alle Sezioni Unite ovvero a sezione diversa dall’apposita sezione di cui all’art. 610, co. 1, c.p.p.

È comunque fatta salva la possibilità di compimento degli atti urgenti anche durante il periodo in cui il processo rimane sospeso.

La cessazione degli effetti della sospensione si verifica allorquando sia intervenuta l’ordinanza che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di rimessione, sicché il processo principale riprende il suo corso dinanzi allo stesso giudice a seguito della definizione del procedimento incidentale in senso negativo per il richiedente (art. 47, co. 3).

La sospensione del processo  determina la sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159 c.p. e, se la richiesta di rimessione è stata proposta dall’imputato, la sospensione dei termini di custodia cautelare (art. 47, co. 4).

La fase preliminare del procedimento di rimessione prende inizio con l’arrivo della richiesta di rimessione nella cancelleria della Corte di Cassazione. Essa viene sottoposta ad un vaglio delibativo da parte del presidente della Corte per individuare se, ad un primo sommario esame, sussistano cause di inammissibilità

Allorchè venga positivamente superato il vaglio iniziale di ammissibilità, viene  assegnata ad una delle altre Sezioni della Corte per la trattazione con le forme del procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 127.

La Corte di cassazione ha la facoltà di assumere le opportune informazioni qualora lo ritenga necessario ai fini della decisione. In materia di rimessione del processo la Corte di Cassazione è giudice anche del fatto, essendo titolare di poteri di ricerca e di valutazione delle prove della effettiva esistenza dei presupposti legittimanti la rimessione.

La decisione emessa dalla Corte di cassazione ha la forma dell’ordinanza motivata, il cui contenuto può consistere in una pronuncia di accoglimento, di rigetto o di inammissibilità.

Con l’ordinanza di rigetto e con quella dichiarativa dell’inammissibilità della richiesta di rimessione proposta dall’imputato, la Corte può condannare il richiedente al pagamento a favore della cassa delle ammende al fine di scoraggiare l’uso strumentale dell’istituto per manovre dilatorie o pretestuose per il processo.

L’ordinanza di accoglimento della richiesta di rimessione fa, invece, venir meno la competenza del giudice che procede e determina l’immediata attribuzione della cognizione del processo al giudice designato in base all’art. 11 c.p.p..

Il giudice designato dalla Corte di cassazione deve provvedere alla rinnovazione degli atti compiuti anteriormente al provvedimento che ha accolto la richiesta di rimessione, quando una delle parti ne faccia richiesta e non si tratti di atti di cui è divenuta impossibile la ripetizione.

Nuova richiesta di remissione

L’art. 49, co. 1, c.p.p. prevede che – dopo l’accoglimento della richiesta di rimessione – possa chiedersi la revoca dell’ordinanza che ha disposto la rimessione del processo o la designazione di un altro giudice (ovvero, una nuova richiesta di rimessione).

Si tratta di situazioni caratterizzate dal comune presupposto di una già intervenuta rimessione del processo e differenziate dal fatto che mentre la revoca tende a far perdere efficacia alla precedente translatio iudicii e a fare ritornare il processo al giudice naturale originariamente competente, la nuova richiesta di designazione di altro giudice implica che anche presso la sede giudiziaria, alla quale il processo è stato trasferito, sussistano gravi situazioni ambientali tali da impedire un giudizio sereno e imparziale. Ne consegue che, in questa seconda ipotesi, il provvedimento di accoglimento della richiesta non si traduce nel ritorno del processo al primo giudice, ma nell’ulteriore trasferimento ad un terzo giudice, designato sempre sulla base del criterio enunciato dall’art. 11.

La richiesta di revoca del provvedimento di rimessione di un procedimento è inammissibile se non fondata su elementi sopravvenuti alla disposta rimessione, idonei, per la loro intrinseca rilevanza, a far venir meno i motivi per i quali la traslatio iudicii era stata disposta.

Il provvedimento di rigetto e quello dichiarativo dell’inammissibilità per manifesta infondatezza della richiesta di rimessione producono effetti preclusivi limitati rispetto alla presentazione di una nuova richiesta, che è, difatti, proponibile soltanto quando sia fondata su elementi nuovi: al contrario, la dichiarazione di inammissibilità per ragioni diverse dalla manifesta infondatezza non crea alcuna preclusione, sicché a base della reiterazione della richiesta possono essere dedotti i medesimi motivi indicati nella precedente istanza di rimessione.

Nel silenzio dell’art. 49, si è ritenuto che i modi e le forme della nuova richiesta, della richiesta di revoca e di quella di designazione di altro giudice siano identici a quelli stabiliti dall’art. 46.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.