La tutela dei terzi creditori nel procedimento di prevenzione patrimoniale

Il procedimento di prevenzione patrimoniale coinvolge, a vario titolo, numerosi soggetti diversi dal proposto alla misura, definiti genericamente terzi interessati, i quali – in virtù degli interessi di cui si fanno portatori – sono posti in grado di intervenire nelle diverse fasi giudiziarie.

Alcuni terzi sono interessati ad intervenire nel procedimento in quanto vantano diritti di proprietà o altri diritti reali di godimento sul/sui bene/i ritenuti nella disponibilità indiretta del proposto (c.d. terzi intestatari); altri, in quanto eredi o aventi causa del proposto, perché hanno necessità di tutelare il loro diritto dall’ablazione in favore dello Stato; altri, ancora, perché sono parte di un giudizio avente a oggetto domande giudiziali trascritte prima dell’inizio del procedimento.

Un’importante categoria di terzi interessati è rappresentata dai terzi creditori, soggetti titolari di diritto di credito nei confronti del proposto o dell’azienda nella disponibilità di questi, muniti o meno di diritti reali di garanzia sui beni sequestrati o comunque candidati alla confisca.

E’ evidente che si tratti di soggetti che rischiano di vedere, proprio in ragione del procedimento di prevenzione, svanire quella garanzia patrimoniale su cui avevano costruito l’affidamento nei riguardi del soggetto portatore di pericolosità sociale, ovvero di persone o aziende con questo variamente collegate.

Pur essendo innegabile l’opportunità di prevedere una forma di tutela in favore dei terzi creditori, è mancata per lungo tempo una disciplina sul punto, soprattutto per la difficoltà di far convergere le anzidette esigenze di tutela con quelle tipiche della funzione del procedimento di prevenzione patrimoniale. Occorre, infatti, tenere conto dei rischi derivanti dalla precostituzione di posizioni creditorie di comodo, dirette ad aggirare gli esiti dell’azione di prevenzione.

La devoluzione allo Stato del bene confiscato, privo di oneri e pesi (pertanto, con scioglimento dei contratti aventi a oggetto un diritto personale di godimento e con estinzione dei diritti reali di godimento o di garanzia), comporta tuttavia che sia proprio all’interno dello stesso procedimento di prevenzione che debbano essere affrontate e risolte tutte le problematiche relative alla tutela dei terzi titolari di diritti di credito, di diritti reali di garanzia, diritti reali o personali di godimento e di diritti derivanti da azioni trascritte anteriormente sui beni oggetto d’ablazione. Proprio a quest’ultimo riguardo, è infatti espressamente prevista la sospensione delle azioni esecutive e la loro estinzione all’esito della confisca, nonché il divieto di intraprendere azioni esecutive successivamente all’inizio del procedimento.

La L. n. 575/1965, originariamente, nulla prevedeva riguardo ai terzi titolari di diritti di credito sorti prima del sequestro. La giurisprudenza, attesa la lacuna normativa, tendeva ad assicurare tutela solo ai crediti assistiti da diritti reali di garanzia sui beni oggetto del provvedimento ablativo, purché costituiti in data certa anteriore al sequestro e il loro titolare dimostrasse la propria buona fede o l’affidamento incolpevole. Nessuna tutela veniva invece accordata ai restanti creditori, salvo che nell’ipotesi di confisca di azienda, in cui si procedeva al pagamento dei debiti aziendali essenziali, per evitare la paralisi dell’attività imprenditoriale.

Con l’approvazione del Codice Antimafia (decreto legislativo n. 159 del 2011), la materia ha ricevuto autonoma disciplina negli artt. 52 e ss.  per i soli procedimenti iniziati dopo il 13 ottobre 2011, introducendo un sistema organico di tutela esteso alla generalità dei creditori del proposto, caratterizzato da un procedimento incidentale di verifica dei crediti in contraddittorio e dalla successiva formazione di un piano di pagamento, sulla falsariga di quanto previsto dalla procedura fallimentare.

La ratio del d.lgs. 159/2011 rivela l’intenzione del Legislatore, per un verso, di escludere dalla tutela i crediti scaturiti da prestazioni connesse ad attività illecite o a quella di reimpiego dei suoi proventi (salva la dimostrazione da parte del creditore dell’incolpevole ignoranza), e dall’altro, di evitare che il proposto possa eludere gli effetti della confisca precostituendo posizioni creditorie di comodo o simulandone a posteriori l’esistenza.

Con L. 228/2012 è stata poi estesa analoga disciplina anche per i procedimenti che restavano esclusi dalle modifiche introdotte col Codice Antimafia (e cioè a quelli sorti in data anteriore al 13 ottobre 2011), limitando però la tutela ai soli creditori muniti di ipoteca iscritta anteriormente al sequestro, o che avessero anteriormente iscritto un pignoramento o che nello stesso fossero intervenuti.

La tutela dei terzi creditori nel codice antimafia

Come anticipato, attraverso il Codice Antimafia il Legislatore ha provveduto a introdurre nella disciplina delle misure di prevenzione patrimoniale uno specifico corpus normativo funzionale alla verifica dei diritti dei terzi coinvolti nel procedimento di prevenzione patrimoniale.

Viene, innanzitutto in rilievo l’art. 23 che impone la citazione – a cura del Tribunale e con decreto motivato, contenente la fissazione dell’udienza in camera di consiglio – dei terzi che risultino proprietari o comproprietari dei beni sequestrati (comma 2), oltre che di coloro che vantino diritti reali o personali di godimento nonché diritti reali di garanzia sui beni in sequestro (comma 4; tale categoria di soggetti è stata interpolata dalla legge n. 161 del 27 settembre 2017 di riforma del Codice Antimafia, in vigore dal 19 novembre 2017).

Costoro possono quindi partecipare al giudizio e, in udienza, svolgere le loro deduzioni con l’assistenza di un difensore, chiedendo altresì l’acquisizione di ogni elemento utile ai fini della decisione sulla confisca.

Si è affermato (cfr. Cass. Pen., Sez. I, n.28032 del 22/06/2007 – dep. 13/07/2007) che nel procedimento di prevenzione per l’applicazione di misure reali, l’omessa citazione del terzo non determina la nullità del procedimento, ma una semplice irregolarità che non inficia il procedimento medesimo e quindi l’applicazione della misura, ferma restando la facoltà dell’extraneus di esplicare successivamente le sue difese, provocando un incidente di esecuzione.

Per quanto concerne la tutela dei terzi titolari di diritti di credito, l’art. 52 d.lgs. 159/2011 prevede che l’istante debba dimostrare in primis l’anteriorità del diritto rispetto al sequestro. In caso di diritti di credito, tale requisito deve risultare da atto di data certa: per l’individuazione della data certa soccorrono le norme del codice civile, artt. 2699 e ss., e in specie l’art. 2704 in tema di scrittura privata; per i diritti reali di garanzia, rileva la data di costituzione secondo le regole civilistiche, per il pegno gli artt. 2784 e ss. e per l’ipoteca gli artt. 2808 e ss. del codice.

Nel caso di promessa di pagamento o riconoscimento del debito, e per il portatore di titolo di credito, occorre invece – al pari di quanto già previsto ante riforma – la prova del rapporto fondamentale.

In secondo luogo, occorre dimostrare l’indisponibilità di altri beni su cui lo stesso creditore possa esercitare la garanzia patrimoniale (salvo si tratti di crediti assistiti da cause legittime di prelazione sui beni sequestrati).

La novella 161/2017 è intervenuta sul punto, opportunamente sostituendo il requisito previgente della previa escussione del patrimonio del proposto con la più agevole dimostrazione che il proposto non disponga di altri beni (rispetto a quelli attinti dalla misura di prevenzione) su cui esercitare la garanzia patrimoniale idonea a soddisfare il credito vantato, tenendo presente che tale accertamento possa essere anche compiuto d’ufficio dal giudice che dispone di tutti gli atti del procedimento funzionale alla confisca e, dunque, delle indagini patrimoniali svolte nei confronti del proposto.

La novella ha altresì modificato il terzo requisito: prima occorreva dimostrare la non strumentalità del credito rispetto all’attività illecita o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego, a meno che il creditore non dimostrasse di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità; oggi, invece, occorrerà provare sia la non strumentalità che la buona fede e l’inconsapevole affidamento.

Ne consegue che la sussistenza del nesso di strumentalità parrebbe oggi escludere di per sé l’opponibilità del credito nei confronti dello Stato, anche qualora il creditore sia stato in buona fede, buona fede del creditore che si profila, in conclusione, quale precondizione fondamentale per il riconoscimento del suo diritto.

D’altro canto, è da verificare come la giurisprudenza interpreterà tale disposizione sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio, potendosi ipotizzare due approcci interpretativi: quello secondo cui l’assenza di strumentalità e, in più, l’incolpevole affidamento debbano essere dimostrati dal creditore, trattandosi di fatti costitutivi del relativo diritto; ovvero, quello secondo cui quanto meno la strumentalità (con conseguente irrilevanza della buona fede) debba essere dimostrata dal pubblico ministero ovvero dal Tribunale delle misure di prevenzione..

Si propende per questa seconda lettura, anche in considerazione del principio di vicinanza della prova, ripetutamente valorizzato dalla più recente giurisprudenza, siccome – ad opinare diversamente – al creditore sarebbe richiesta la fornitura di una probatio diabolica, consistente nella dimostrazione della estraneità del credito erogato a qualunque attività illecita che ne costituisca il frutto o il reimpiego, onde il thema probandum atterebbe a vicende alle quali (nella normalità dei casi) il creditore è del tutto estraneo.

Il terzo per ottenere tutela del proprio credito deve allegare elementi idonei a rappresentare la sua estraneità all’illecito del proposto e, comunque, l’affidamento incolpevole sulla liceità del rapporto. Pertanto, diversamente dal principio civilistico secondo cui la buona fede si presume, nel procedimento di prevenzione l’onere probatorio grava sul terzo.

La legge precisa che il Tribunale nell’accertamento della buona fede tiene conto delle condizioni delle parti, dei rapporti personali e patrimoniali tra le stesse, del tipo di attività svolta dal creditore, anche con riferimento al ramo di attività, alla sussistenza di particolari obblighi di diligenza nella fase precontrattuale, nonché, in caso di enti, alle dimensioni degli stessi.

Particolare rilievo assume la valutazione della buona fede degli Istituti di credito, che rappresentano la categoria più ricorrente di terzo creditore nei procedimenti di prevenzione; nell’ambito di tale valutazione, risulta assai rilevante il rispetto delle prassi (volte alla valutazione del merito creditizio o della solvibilità del debitore) e delle normative previste.

La giurisprudenza ha elaborato numerosi criteri in ordine all’accertamento della buona fede degli istituti di credito, quali ad esempio la correttezza del procedimento di concessione del credito e della valutazione sul merito creditizio del destinatario del finanziamento, sulla sua solvibilità e di quella di eventuali fideiussori (cfr. Cass. 2894/2015; 6449/2015; 23299/2015).

Il rigetto definitivo della domanda di ammissione del credito per il mancato riconoscimento della buona fede, proposto da un soggetto sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, deve essere comunicato a quest’ultima a norma dell’art. 9 del D.lgs. 213/2007. La Banca d’Italia, valutate le ragioni del mancato riconoscimento della buona fede, dovrà infatti attivare l’istruttoria per la verifica delle eventuali violazioni delle disposizioni vigenti poste in essere dall’Istituto.

L’art. 53 dispone poi che i crediti verificati ai sensi dei criteri sopra esposti, sono soddisfatti dallo Stato nel limite del 60% del valore dei beni sequestrati o confiscati, risultante dal valore di stima o dalla minor somma eventualmente ricavata dalla vendita degli stessi, al netto delle spese del procedimento di confisca nonché di amministrazione dei beni sequestrati.

La legge di riforma ha poi introdotto opportunamente all’art. 54 bis la disciplina del pagamento dei crediti aziendali sorti anteriormente al sequestro, disponendo che “L’amministratore giudiziario può chiedere al giudice delegato di essere autorizzato al pagamento, anche parziale o rateale, dei crediti per prestazioni di beni o servizi, sorti anteriormente al provvedimento di sequestro, nei casi in cui tali prestazioni siano collegate a rapporti commerciali essenziali per la prosecuzione dell’attività”.

Si tende, cioè, a evitare con tale disciplina l’interruzione dei rapporti con i fornitori, che per via della pendenza del procedimento potrebbero essere scoraggiati dal proseguire i rapporti commerciali con l’azienda in amministrazione giudiziaria.

Il Tribunale dovrà valutare, seppur sommariamente, l’esistenza del credito certo, liquido ed esigibile e la sua rispondenza ai criteri di cui all’art. 52, nonché la necessità del pagamento per la prosecuzione dell’attività.

Il procedimento di accertamento dei crediti

Il procedimento di accertamento dei diritti dei terzi e la redazione del programma dei pagamenti in favore dei creditori è disciplinato dagli artt. 57 e seguenti del Codice Antimafia.

Il procedimento si svolge sotto la direzione del giudice delegato che si avvale dell’ausilio dell’amministratore giudiziario (sostituito dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, dopo la pronuncia della confisca in secondo grado) e si articola nelle seguenti fasi:

– formazione dell’elenco dei creditori e fissazione dell’udienza di verifica dei crediti;

– presentazione delle domande dei creditori;

– udienza di verifica dei crediti e formazione dello stato passivo;

– vendita e liquidazione dei beni;

– redazione del piano di pagamento;

– pagamento dei crediti.

Secondo quanto previsto dalla novella del 2017, oggi si procede alla verifica dei crediti solo dopo l’intervenuta confisca in primo grado, mentre la liquidazione dei beni avverrà solo dopo la confisca definitiva, investendo di tale attività l’Agenzia nazionale.

Va preliminarmente osservato, come ai sensi dell’art. 50, nelle ipotesi di confisca dei beni, aziende o partecipazioni societarie sequestrati, i crediti erariali si estinguono per confusione ai sensi dell’articolo 1253 c.c.

L’amministratore giudiziario è onerato della presentazione di due diversi elenchi; un primo elenco con i nominativi dei creditori anteriori al sequestro, compresi quelli aziendali, con l’indicazione dei crediti e delle rispettive scadenze, nonché di quelli ritenuti essenziali alla prosecuzione dell’azienda ex art. 54 bis; e un secondo elenco contenente i nominativi di coloro che vantano diritti reali, di garanzia o di godimento, o diritti personali di godimento sui beni, con l’indicazione dei beni interessati e del titolo su cui si fonda il diritto.

Successivamente al deposito del decreto di confisca di primo grado, il giudice delegato assegna ai creditori un termine perentorio non superiore a 60 giorni per il deposito delle istanze di accertamento dei rispetti diritti e fissa la data dell’udienza di verifica dei crediti entro i 60 giorni successivi. Il decreto è immediatamente notificato agli interessati, a cura dell’amministratore giudiziario.

La domanda di ammissione del credito deve contenere:

a)  le generalità del creditore;

b)  la determinazione del credito di cui si chiede l’ammissione allo stato passivo ovvero la descrizione del bene su cui si vantano diritti;

c)  l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda, con i relativi documenti giustificativi;

d)  l’eventuale indicazione del titolo di prelazione, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale.

Non oltre il termine di un anno dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, le domande relative ad ulteriori crediti sono ammesse solo ove il creditore provi, a pena di inammissibilità della richiesta, di non aver potuto presentare la domanda tempestivamente per causa a lui non imputabile

L’amministratore giudiziario esamina le domande e redige un progetto di stato passivo, accompagnato dalle proprie motivate conclusioni sull’ammissione o esclusione di ciascuna domanda. Il progetto in questione deve essere depositato almeno 20 giorni prima della data fissata per l’udienza di verifica. I creditori e i titolari di diritti possono presentare osservazioni scritte e depositare documentazione aggiuntiva fino a 5 giorni prima dell’udienza.

All’udienza di verifica, il giudice delegato, con l’assistenza dell’amministratore giudiziario e con la partecipazione facoltativa del pubblico ministero, assunte anche d’ufficio le opportune informazioni, verifica le domande e indica i crediti che ritiene di ammettere e le eventuali cause di prelazione, e quelli che ritiene invece di escludere, in tutto o in parte,  motivandone succintamente le ragioni. Dopodiché, procede alla formazione dello stato passivo, che viene reso esecutivo con decreto depositato in cancelleria e comunicato all’Agenzia.

Del deposito l’amministratore giudiziario dà notizia agli interessati non presenti a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento. Entro 30 giorni dalla comunicazione, i creditori esclusi possono proporre opposizione mediante ricorso al Tribunale che ha applicato la misura di prevenzione. Ciascun creditore può impugnare nello stesso termine e con le stesse modalità i crediti ammessi, ivi compresi quelli di cui all’articolo 54-bis.

Il Tribunale tratta in modo congiunto le opposizioni e le impugnazioni fissando un’apposita udienza in camera di consiglio, all’esito della quale decide con decreto ricorribile per Cassazione nel termine di 30 giorni dalla sua notificazione.

Dopo l’irrevocabilità del provvedimento di confisca, l’Agenzia procede al pagamento dei creditori ammessi al passivo in ragione delle distinte masse nonché dell’ordine dei privilegi e delle cause legittime di prelazione sui beni trasferiti al patrimonio dello Stato.

L’Agenzia, ove le somme apprese, riscosse o comunque ricevute non siano sufficienti a soddisfare i creditori utilmente collocati al passivo, procede alla liquidazione dei beni mobili, delle aziende o rami d’azienda e degli immobili. La liquidazione dei beni è dunque eventuale, sempre che l’Agenzia non ritenga che dalla redditività dei beni si possano conseguire risorse necessarie al pagamento dei crediti, nel qual caso può ritardare la vendita degli stessi non oltre un anno dall’irrevocabilità del provvedimento di confisca.

I crediti  sono soddisfatti nel seguente ordine:

1)  pagamento dei crediti prededucibili (sono considerati tali quelli così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione del procedimento di prevenzione, incluse le somme anticipate dallo Stato ai sensi dell’articolo 42);

2)  pagamento dei crediti ammessi con prelazione sui beni confiscati, secondo l’ordine assegnato dalla legge;

3)  pagamento dei creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito per cui ciascuno di essi è stato ammesso, compresi i creditori indicati al n. 2), per la parte per cui sono rimasti insoddisfatti sul valore dei beni oggetto della garanzia.

A tal fine, l’Agenzia redige il progetto di pagamento dei crediti che contiene l’elenco di quelli utilmente collocati al passivo, con l’indicazione delle eventuali cause di prelazione e degli importi da corrispondere a ciascun creditori.

Entro 10 giorni dalla comunicazione del progetto, i creditori possono presentare osservazioni sulla collocazione dei crediti, nonché sul valore dei beni o aziende confiscate; ovvero presentare opposizione innanzi alla sezione civile della Corte d’Appello del distretto della sezione specializzata o del giudice penale competente ad adottare il provvedimento di confisca.  Divenuto definitivo il piano di pagamento, l’Agenzia procede ai pagamenti dovuti.

Il pubblico ministero, l’amministratore giudiziario e l’Agenzia possono in ogni tempo chiedere la revocazione del provvedimento di ammissione del credito al passivo quando emerga che esso è stato determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi che non sono stati prodotti tempestivamente per causa non imputabile al ricorrente.

La revocazione è proposta dinanzi al Tribunale della prevenzione nei confronti del creditore la cui domanda è stata accolta. Nel caso di accoglimento della revocazione, i creditori che hanno percepito pagamenti non dovuti, devono restituire le somme riscosse, oltre agli interessi legali dal momento del pagamento effettuato a loro favore. In caso di mancata restituzione, le somme sono pignorate secondo le forme stabilite per i beni mobili dal codice di procedura civile.

Merita, infine, rilevare come la L. n. 161 del 2017 ha disposto la modifica dell’art. 12-sexies, comma 4-bis, nel senso che “le disposizioni in materia di amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati nonché quelle in materia di tutela dei terzi e di esecuzione del sequestro previste dal codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, si applicano ai casi di sequestro e confisca previsti dai commi 1 e 2-ter del presente articolo”.

Fonti:

– F. MENDITTO, Le misure di prevenzione e la confisca allargata (L. 17 ottobre 2017, n. 161), Giuffrè ed.;

– FORTE C., Il “nuovo” codice antimafia e la tutela dei terzi, in DPC fasc. 11/2017;

– AULETTA A., Sequestro e confisca antimafia: la tutela dei terzi alla luce della l. n. 161 del 2017, In executivis, pubblicato il 18/04/2018;

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.