Le condizioni di capacità del giudice penale (art. 33 c.p.p.)

capacità del giudice

L’esercizio della giurisdizione penale è, ai sensi dell’art. 1 c.p.p. (v. anche art. 102 Cost.), riservato ai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudiziario.

La qualità di giudice è, infatti, il risultato di un rituale atto di investitura di potere regolato dalla legge, e precisamente dalle leggi di ordinamento giudiziario.

Stabilisce l’art. 178 co. 1 c.p.p. che è sempre prescritta a pena di nullità l’osservanza delle disposizioni concernenti: a) le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle leggi di ordinamento giudiziario.

Ebbene, tale norma va letta in combinato disposto con l’art. 33 c.p.p. , il quale dispone – nel suo comma di apertura – che le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi giudicanti sono stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario.

La capacità del giudice penale viene generalmente intesa secondo due diverse accezioni:

capacità generica, che concerne la nomina e l’ammissione alla funzione giurisdizionale;

capacità specifica,  che fa riferimento alla regolare costituzione del giudice nell’ambito di un determinato processo e alla sua idoneità a svolgere la funzione giurisdizionale con terzietà e imparzialità. In mancanza di tali condizioni si avrà una situazione di “incompatibilità”, di cui agli artt. 34 , 35, e 36 c.p.p. , la quale non ha nulla a che vedere con le condizioni di capacità del giudice; gli atti compiuti dal giudice incompatibile non infatti sono nulli, ma possono essere dichiarati inefficaci con il provvedimento che accoglie la dichiarazione di astensione o ricusazione.

La norma di cui all’art. 33 assume, tuttavia, rilievo per i due commi successivi, che hanno l’effetto di circoscrivere la rilevanza di alcune situazioni sul disposto del citato co. 1 dell’art. 178 lett. a).

Il seconda comma dispone che non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla sua destinazione (…) agli uffici, sulla formazione dei collegi e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici (artt. 7 bis e 7 ter ord. penit.).

È agevole rilevare che si tratti di questioni non tanto inerenti alla capacità del giudice, quanto alla distribuzione di regiudicande tra giudici tutti ugualmente legittimati all’esercizio della funzione giurisdizionale (si pensi alle sostituzioni, ai trasferimenti, alle promozioni, alle supplenze, etc). A tal fine le leggi sull’ordinamento giudiziario impongono massima trasparenza agli organi amministrativi, dovendosi far luogo a criteri predeterminati e resi pubblici dalla stessa amministrazione per l’individuazione dei giudici naturali.

Ne consegue che è legittima la destinazione in supplenza di un magistrato in servizio in altro circondario, disposta dal Presidente del Tribunale (o di altro ufficio giudiziario), sussistendo una situazione di incompatibilità degli altri magistrati appartenenti all’ufficio.

Invero, il tenore di tale disposizioni è ispirato ad una serie di motivi di opportunità, quali la difficoltà di previsione di una disciplina sulla individuazione del giudice tanto rigorosa da eliminare qualsiasi spazio alla discrezionalità degli organi amministrativi-giudiziari, nonché le complicazioni che si riverberebbero sul processo allorchè si prevedesse la sanzione della nullità assoluta anche per questioni sottoponibili al sindacato amministrativo.

L’aver sancito l’irrilevanza di tali violazioni in ordine all’applicabilità dell’art. 178, co. 1 lett. a), fa sorgere l’interrogativo circa ciò che in via residuale abbia ancora una tale rilevanza.

Nessun dubbio sulla forte carica patologica insita nella situazione del soggetto che non sia investito del potere giurisdizionale: un vizio tanto forte da implicare non la nullità assoluta degli atti da questi compiuti, ma addirittura la loro inesistenza. Ma, se si prescinde da questo caso limite, l’unico attributo rilevante ai fini di un’eventuale incapacità del giudice sembra essere quello della qualifica richiesta per l’esercizio delle funzioni giudiziarie che è chiamato a svolgere. Si pensi, ad esempio, alla Corte d’Assise che – ai sensi dell’art. 3 L. 287/1951 – deve essere presieduta da un magistrato avente qualifica non inferiore ad un magistrato di appello.

La generale operatività dell’art. 33, co. 2 , c.p.p. trova un limite esclusivamente in quelle situazioni extra ordinem, caratterizzate dall’arbitrio nella designazione del giudice e realizzate al di fuori di ogni previsione tabellare, proprio per costituire un giudice ad hoc (Cass. sez. I, n. 13445/2005).

L’assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell’ufficio può incidere sulla costituzione e sulle condizioni di capacità del giudice non in caso di semplice inosservanza delle disposizioni amministrative, ma solo quando si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell’ordinamento giudiziario, per la violazione di norme quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l’obbligo di motivazione dei provvedimenti (Cass. sez. VI, n. 13833/2015).

Per quanto invece concerne il terzo comma dell’art. 33, trattasi di una norma – è bene chiarirlo – collegata alla riforma relativa all’istituzione del giudice unico di primo grado, conseguente alla soppressione della figura del pretore. Esso stabilisce, infatti, che l’attribuzione degli affari al giudice in composizione collegiale o monocratica non si considera attinente alla capacità del giudice né al numero dei giudici necessario per costituire l’organo giudicante.

Anche in questo caso, al pari del comma 2, ci si trova innanzi a disposizioni che attengono all’organizzazione interna dell’ufficio, con l’effetto di limitare che la inosservanza dei criteri concernenti il riparto di attribuzioni si traduca in una nullità assoluta.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.