Le prove atipiche: art. 189 c.p.p.

mezzi di prova  disciplinati dal codice di rito si definiscono tipici, in quanto regolamentati dalla legge. Essi sono:

Il codice non impone, tuttavia, la tassatività dei mezzi di prova. Viceversa, consente – al ricorrere di determinate condizioni – che possano essere assunte anche prove atipiche, e cioè mezzi di prova non regolamentati.

L’art. 189 c.p.p. (rubrProve non disciplinate dalla legge) dispone che “Quando è richiesta una prova non disciplinata dalla legge, il giudice può assumerla se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e non pregiudica la libertà morale della persona. Il giudice provvede all’ammissione, sentite le parti sulle modalità di assunzione della prova”.

In base al tenore dell’art. 189 c.p.p., pertanto, le prove atipiche possono essere ammesse se presentano due requisiti:

  • l’idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti (rectius, pertinenza);
  • l’idoneità ad assicurare la libertà morale della persona-fonte di prova, sulla base del principio generale di cui all’art. 188 c.p.p.

A tali due requisiti essenziali, si deve aggiungere che in ogni caso dovrà trattarsi di prove non vietate dalla legge, essendo da escludere che possano introdursi nel processo prove contrarie ad espressi divieti legislativi, o comunque difformi, per difetto di qualche elemento della fattispecie, dal modello della prova tipica.

Trattandosi di un mezzo di prova atipico, appunto non regolamentato, sarà il giudice a prescrivere le modalità della sua assunzione dopo aver sentito le parti sul punto. L’eventuale ordinanza di rigetto della richiesta di assunzione di una prova atipica potrà essere impugnata unitamente all’impugnazione della sentenza.

Presupposto di ammissibilità delle prove atipiche è naturalmente dato dalla mancanza di un mezzo di prova tipico idoneo a conseguire un determinato risultato conoscitivo.

Specialmente la dottrina, è infatti molto attenta nell’evidenziare la necessità che le prove atipiche non si risolvano in un mezzo per aggirare i requisiti delle prove atipiche, “contrabbandando omissioni o irritualità come semplici profili di atipicità” (P. Tonini).

Proprio in quest’ottica, è stata – ad esempio – molto dibattuta l’ammissibilità della c.d. ricognizione informale dell’imputato, che si verifica quando il pubblico ministero, in dibattimento, usa chiedere al testimone, nel corso della sua deposizione, se riconosce l’imputato in aula.

La giurisprudenza tende ad ammettere tale strumento probatorio, ritenendo lecito introdurre nell’assunzione di una prova tipica, qual è la testimonianza nel nostro esempio, un elemento atipico.

Tale soluzione non appare condivisibile a parere di chi scrive, dovendo la ricognizione essere assunta con modalità tali da suggestionare il meno possibile il ricognitore.  Ben più attendibile è un riconoscimento effettuato tra più persone somiglianti tra loro e abbigliate similmente, rispetto a quello effettuato nei confronti di una sola persona, già messa in evidenza per il fatto di sedere al banco degli imputati.

Pubblicato da Valeria Citraro

Laureata in Giurisprudenza con 108/110 presso l'Università degli Studi di Catania, con tesi in Diritto Processuale Penale dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e Valutazione Probatoria". Abilitata all'esercizio della professione forense il 30/09/2016 con votazione 405/420.